HANNO FATTO UN DISASTRO E L’HANNO CHIAMATO ILVA - IL 6 DICEMBRE AL RIESAME IL RICORSO CONTRO IL SEQUESTRO - FABIO RIVA HA FATTO PERDERE LE TRACCE - DOVE E’ NASCOSTO IL “BOTTINO”? NEL MIRINO DEI PM LA “RIVA FIRE” - 9 MILIARDI ANNUI DI FATTURATO, ZERO INTERVENTI DI RISANAMENTO AMBIENTALE - PER ESEGUIRE LE DISPOSIZIONI DEL DECRETO, CI VOGLIONO 4 MILIARDI: CHI CE LI METTE? A RISCHIO-SEQUESTRO LE AZIONI DI ALITALIA…
Carlo Bonini e Giuliano Foschini per "la Repubblica"
Il decreto legge firmato dal Capo dello Stato non chiude la partita giudiziaria sull'Ilva. Piuttosto, le imprime un nuovo giro che rimette al centro del lavoro dei pubblici ministeri il patrimonio e le scelte della famiglia Riva, che di questa storia sono e restano il cuore.
E tutto questo, al netto di quelle che saranno le iniziative procedurali della Procura e del giudice dell'udienza preliminare di qui a giovedì prossimo, 6 dicembre, giorno dell'udienza fissata di fronte al Riesame per il ricorso contro il sequestro dello stabilimento (è possibile che, in quella sede, vengano sollevate o un'eccezione di costituzionalità delle nuove norme, ovvero sollevato conflitto dinanzi alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Anche se entrambe le decisioni sono da ieri sera appese alla valutazione giuridica che la magistratura di Taranto darà del decreto così come corretto dal Quirinale).
In cima all'agenda del lavoro istruttorio tornano dunque i «sequestri per equivalente». Vale a dire lo strumento con cui la Procura della Repubblica di Taranto intende mettere al riparo, congelandole, le risorse necessarie a far fronte non solo al potenziale risarcimento dei danni provocati dallo stabilimento in questi 17 anni (stimati dalle organizzazioni ambientaliste in 6 miliardi di euro e quantificate da una prima citazione pilota in 9 milioni per 149 parti civili del quartiere Tamburi), ma anche a garantire l'obbligo che il decreto pone a carico della proprietà di investire 4 miliardi di euro di qui ai prossimi sei anni in interventi di tutela ambientale. Anche se, a questo punto, e proprio alla luce del decreto (che al suo articolo 4 reimmette la famiglia nel possesso e nell'uso del siderurgico), i sequestri saranno ragionevolmente al di fuori del perimetro dello stabilimento, con un'aggressione diretta al patrimonio dei Riva.
LA CASSAFORTE ITALIANA
In questa prospettiva, assume un peso processuale decisivo la fuga di Fabio Riva, uno dei due figli del patron Emilio, ormai ufficialmente latitante dopo un'ultima beffa ai pm cui aveva lasciato intravedere la possibilità di consegnarsi e dunque ora ricercato in tutti i Paesi dell'area Schengen cui è stato trasmesso il verbale di vane ricerche e l'ordine di arresto. E in cui sicuramente non è (da giorni tacciono anche le tracce delle sue carte di credito).
Una fuga significativa agli occhi dei pm non fosse altro per il ruolo di vertice che l'ultimo dei Riva ancora libero ricopre. Fabio è infatti vicepresidente oltre che consigliere della Riva Fire spa, la holding del Gruppo. Ed è su questa cassaforte di famiglia che si sta concentrando la Guardia di Finanza.
I dati più recenti parlano di un utile al 31 dicembre del 2011 di 31 milioni e mezzo di euro (erano 10,3 nel 2010), con immobilizzazioni salite da 2,3 a 5 miliardi, un patrimonio netto cresciuto a 812 milioni contro i 780 dell'anno precedente e debiti verso le banche di 1,9 miliardi (100 milioni in meno rispetto al 2010).
«A dimostrazione - osserva in queste ore una qualificata fonte investigativa - di un Gruppo che viaggia su un fatturato annuo intorno agli 8, 9 miliardi di euro e che, a fronte di un sostanziale immobilismo sul fronte degli interventi a tutela dell'ambiente, ha continuato a fare utili. In parte reinvestititi nella produttività degli impianti. In parte messi nelle cassaforti di famiglia».
LA QUOTA ALITALIA
Nel portafoglio delle partecipazioni della "Fire" c'è anche il controllo indiretto del 49 per cento del veicolo societario con cui la famiglia Riva controlla il 10,6 per cento di Alitalia. Acquistato nel novembre del 2008 per 120 milioni di euro, il valore di carico di quelle azioni in bilancio è oggi sceso a 71 milioni. E l'idea che possano essere anche queste aggredite in tutto o in parte da un eventuale sequestro è da qualche giorno oggetto di valutazione molto attenta tra gli inquirenti. Non fosse altro per la delicatezza di una decisione che potrebbe avrebbe forti ripercussioni sul titolo.
LA HOLDING IN LUSSEMBURGO
Del resto, che la partita giudiziaria che si andrà a giocare di qui alle prossime settimane sia tutt'altro che agevole o indolore è data proprio dalla difficoltà degli inquirenti di mettere le mani o comunque trovare il "tesoro" di famiglia. Quello che si ipotizza sia stato "distratto" in questi anni dalle risorse destinate alla tutela ambientale.
Ne è prova la recentissima comunicazione ai mercati con cui, proprio la scorsa settimana, i Riva hanno indicato in 52 milioni di franchi svizzeri (43 milioni di euro) le perdite aggregate della loro holding estera, la lussemburghese "Utia". Società di cui è ammini-stratore delegato Adriano Riva (fratello di Emilio), che partecipa del 39 per cento nella cassaforte italiana (la "Fire") e a sua volta controllata dalla "Monomarch holding", società di diritto olandese.
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