DA “FRANCESCO MARINI” A “BERLUSCONI PRESIDENTE SILVIO”, IL PARLAMENTO SI PREPARA AL RITO DELLA SCHEDA PAZZA PER “SEGNARE” IL VOTO E VERIFICARE QUANTO PUÒ REGGERE L’ACCORDO SU UN NOME - IL COSTITUZIONALISTA E DEPUTATO PD STEFANO CECCANTI: “LA PRESIDENZA HA SEMPRE MARGINI DI MANOVRA MOLTO AMPI DURANTE IL VOTO” - DALL’INSULTO A FANFANI ("NANO MALEDETTO NON SARAI MAI ELETTO") ALL’ELEZIONE DI MATTARELLA, OGNI SCRUTINIO FA STORIA A SÉ
Tommaso Labate per il Corriere della Sera
«Nano maledetto, non sarai mai eletto», impresso con inchiostro nero su carta intestata bianca del Parlamento in seduta comune e timbri di autenticità di Camera e Senato. Il messaggio si materializza per primo davanti agli occhi del presidente dell'Aula di Montecitorio Sandro Pertini, che sgrana gli occhi.
Il reale destinatario è il presidente del Senato, che sta seduto al suo fianco. E così, in una fredda giornata del dicembre 1971, Amintore Fanfani scopre sulla sua pelle quanto può essere sottile, fino a diventare di fatto inesistente, il confine tra la più vile delle lettere anonime e la più solenne delle schede, quella che serve a eleggere il presidente della Repubblica.
«Nulla!», cioè scheda nulla, gridò Pertini. Ma visto che attorno era pieno di testimoni, la più celebre delle schede non valide dell'elezione per il Colle - un messaggio rivolto a Fanfani con tanto di insulti - è rimasta impressa nella memoria collettiva dei cultori del Palazzo. A distanza di oltre mezzo secolo, il Parlamento si prepara al rito settennale della scheda pazza, con quelle bizzarrie dialettiche che servono a «segnare» il voto e a verificare quanto l'accordo su un nome può «reggere» oppure no. In vista della quarta votazione, se ci si arriverà, tutti coloro che hanno sottoscritto il patto per «Silvio Berlusconi al Quirinale» misureranno la tenuta delle truppe attribuendo al soldato di ciascuna divisione un modo diverso per votare.
Magari sarà «Berlusconi» per gli elettori di Forza Italia, «Berlusconi Silvio» per i leghisti, «Silvio Berlusconi» per Fratelli d'Italia e «Berlusconi presidente Silvio» per i centristi. Ma attenzione. Quest' ultima formula, di fronte a una presidenza - diciamo così - inflessibile, potrebbe non passare, visto che Berlusconi non ricopre alcuna carica istituzionale. Durante l'elezione del presidente del Senato, anno 2006, Oscar Luigi Scalfaro - che presiedeva la seduta in quanto senatore anziano - annullò i voti «Francesco Marini» semplicemente perché Franco Marini si chiamava per l'appunto «Franco» e non «Francesco». Per gli amanti del dettaglio, «Francesco Marini» era la firma degli elettori dell'Udeur di Clemente Mastella; nella votazione successiva, l'unico «Francesco Marini» fu considerato voto valido, nonostante anagraficamente non corretto.
Perché all'interno di ogni elezione del Parlamento, in seduta comune e non, ogni scrutinio fa storia a sé. Sempre Scalfaro, nel bel mezzo della votazione del presidente della Repubblica del 1992, fece montare il catafalco che nei primi scrutini non c'era. Un trucco per facilitare la scrittura dei franchi tiratori? Arnaldo Forlani, che era in campo, la intese così. E infatti si ritirò. «La presidenza ha sempre margini di manovra molto ampi durante il voto», ricorda il costituzionalista e deputato pd Stefano Ceccanti.
Potrebbe, per esempio, diramare delle prescrizioni sulla modalità di espressione del voto, limitando alla sola indicazione del cognome, inapplicabile all'epoca di Franco Marini (che aveva degli omonimi tra i parlamentari); oppure il presidente della Camera, in sede di spoglio, potrebbe limitarsi a enunciare la preferenza espressa senza entrare nel dettaglio di com' è stata scritta, mettendo così a rischio ogni controllo preventivo. Laura Boldrini, sette anni fa, lesse le schede per intero, «Mattarella», «Sergio Mattarella», «Mattarella esse puntato». E così si è fatto quasi sempre anche per le schede nulle. «Nani maledetti» esclusi, ovviamente.
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