GHE RENZI MI - IL PREMIER VUOLE SCAVALCARE PADOAN (E SOPRATTUTTO IL RAGIONIERE GENERALE DANIELE FRANCO) E PRENDERE IN MANO PURE LA POLITICA ECONOMICA
Federico Fubini per “la Repubblica”
Il percorso delle decisioni, non solo il loro colpo d’avvio, si sposta ogni giorno di più verso Palazzo Chigi. La presidenza del Consiglio punta a diventare il cervello e la sala comandi che muove direttamente le leve per provare a emergere dalla recessione. Non è un percorso senza ostacoli. Per l’intero ministero dell’Economia e per la Ragioneria, per esempio, questa riforma istituzionale non dichiarata sta diventando fonte di enorme stress e di timori.
MATTEO RENZI E PIERCARLO PADOAN
Incardinata nel Tesoro, la Ragioneria è il centro di controllo degli equilibri dei conti: senza il suo timbro su ogni decisione, il governo sarebbe di fatto paralizzato. Nessun esecutivo può lavorare contro o senza il ragioniere generale dello Stato, una carica occupata oggi dall’ex economista di Banca d’Italia Daniele Franco. Ma per lui e la sua squadra l’intero processo che ha portato agli 80 euro in più in busta-paga per i redditi mediobassi è diventato una prova di tenuta alla pressione di Palazzo Chigi e agli attriti con gli uffici del premier. Alla fine, la struttura degli sgravi è stata fissata in dettaglio nella presidenza del Consiglio e, che si dimostreranno solide o no, così anche le coperture di bilancio.
Non è stato facile per Pier Carlo Padoan, soprattutto all’inizio. Renzi da subito aveva iniziato a sostenere l’idea del bonus Irpef da 80 euro in busta paga per i redditi medio bassi da lavoro dipendente. Il ministro dell’Economia invece ha debuttato indicando un’altra via: gli sgravi fiscali andavano concentrati sull’Irap, l’imposta che oggi pesa sulle imprese per 34 miliardi l’anno. Così Renzi e Padoan si sono messi al lavoro partendo da diagnosi e terapie opposte del male che paralizza il Paese. Il premier puntava a sostenere i consumi delle famiglie. Il ministro invece voleva che le imprese potessero diventare più competitive, per esportare di più e creare posti di lavoro. Erano modi diversi di interpretare ciò che è successo al Paese in questi anni.
Con i mesi poi i due hanno trovato imparato a coesistere e apprezzarsi. Oggi Renzi ascolta Padoan con molta più attenzione di prima e Padoan si impegna a difendere anche all’estero le scelte del governo. Ma niente di tutto questo incide sulla trasformazione in corso perché, più degli uomini, essa riguarda le istituzioni. Realizzata la prima promessa sugli sgravi, per Renzi l’idea di crearsi dentro Palazzo Chigi una squadra di politica economica sta diventando più di una tentazione. Molti premier prima di lui avevano nominato un consigliere, che teneva i rapporti con il Tesoro. Renzi invece sembra a un passo dal realizzare che ha bisogno di una vera e propria struttura: per proporre e poi mettere in musica, non solo per consultarsi con altri poi chiamati a farlo.
Non è tanto questo però che preoccupa l’altra sponda, la Ragioneria e il Tesoro. Lì la pressione e i timori derivano da ciò che Matteo Renzi ha solo promesso ma non ancora attuato: in campagna elettorale il premier ha detto che avrebbe esteso il bonus sull’Irpef ai pensionati a basso reddito, agli incapienti e ai lavoratori autonomi. Se davvero mantenesse la promessa, il conto per il bilancio pubblico potrebbe risultare esorbitante.
Solo i pensionati con reddito netto sotto i mille euro al mese in Italia sono oltre dieci milioni, dunque un nuovo ciclo di sgravi costerebbe al bilancio pubblico più di altri dieci miliardi l’anno. Dopo le tensioni fra Ragioneria e premier nella stagione degli 80 euro, il nuovo passaggio rischierebbe di dimostrarsi ancora più difficile. I conti sarebbero messi a dura prova.
Resta da capire se il Tesoro accetterà che la prima linea dei suoi dirigenti venga depotenziata quasi per intero, a partire dal direttore generale Vincenzo La Via. La storia dei governi recenti è stata diversa, anche con il centrosinistra. Da premier, Romano Prodi ha sempre voluto un ministero del Tesoro a pieno regime: nel primo il direttore generale era Mario Draghi e ministro Carlo Azeglio Ciampi; nel secondo toccò a Vittorio Grilli e a Tommaso Padoa-Schioppa. Anche Silvio Berlusconi in parte ha proseguito la tradizione dei ministri economici forti, con Giulio Tremonti di fatto capace di mettere veti sull’azione di tutti gli altri ministeri.
Ora invece la violenza della crisi ha scardinato gli equilibri: Renzi reclama tutta la capacità di disporre e agire, e con essa la responsabilità dei risultati.