GRASSO, CHE SOLA! - ALTA TENSIONE TRA GOVERNO E PALAZZO MADAMA PER IL PASTICCIO SUL SALVA-ROMA: LETTA SE LA PRENDE COL PRESIDENTE DEL SENATO - POI RE GIORGIO COSTRINGE L’ESECUTIVO ALLA RETROMARCIA

Goffredo De Marchis per ‘La Repubblica'

Uno scambio di parole dette a mezza bocca perché tutti capiscono che la deflagrazione di un conflitto del genere farebbe saltare il sistema. Enrico Letta infatti commenta cercando di mantenere un equilibrio sopra la follia di un provvedimento che doveva "salvare" la Capitale e qualche altra amministrazione locale ed è stato riempito di finanziamenti a pioggia. «Va bene così - dice il premier - . Era necessario dare il segno di una volontà precisa: mettere ordine e pulizia nell'attività legislativa». Parole prudenti ma che in quel termine "pulizia" certificano lo scontro con le Camere.

Ma Giorgio Napolitano non ha accettato la logica di una battaglia tra i poteri dello Stato, ha temuto uno "scaricabarile" istituzionale che avrebbe fatto solo il gioco delle opposizioni. La sua telefonata prima a Letta e poi a Franceschini, alla vigilia di Natale, ha chiuso la partita. E il governo è stato costretto a incassare una lezione per il futuro.

In particolare, nel mirino dell'esecutivo c'è il Senato. Lì il decreto è stato tirato da una parte e dall'altra. I senatori ci hanno infilato di tutto, lo hanno cambiato completamente e, secondo il governo, il presidente di Palazzo Madama Piero Grasso non avrebbe vigilato abbastanza. Poteva e doveva cassare o dichiarare inammissibili gli emendamenti che non c'entravano niente con lo spirito originario della legge.

I decreti devono mantenere l'omogeneità della materia, lo dice la Corte costituzionale. Se si occupano di aiutare alcuni enti locali in difficoltà non possono servire per assumere centinaia di agenti doganali, per dirne una. Si racconta di un'irritazione di Palazzo Chigi nei confronti degli uffici del Senato. E in altre occasioni la presidente della Camera Laura Boldrini aveva, per lettera, chiesto a Grasso di verificare meglio l'ammissibilità degli emendamenti, la loro coerenza con la legge in discussione.

Ma al di là dei problemi parlamentari è stato il governo a mettere la fiducia sul testo uscito da Palazzo Madama. Emendamenti fuori contesto compresi. Dunque, la responsabilità cade anche sulla sua testa. Giorgio Napolitano, con la sua bocciatura, ha voluto rimarcare una sottovalutazione dell'esecutivo. Prima del suo intervento, Letta e il ministro delle Riforme Dario Franceschini avevano la possibilità di metterci una pezza: ritirando il decreto o facendolo decadere. Non è successo e la "bacchettata" del Quirinale è stata inevitabile.

Anche se i pasticci, come ha precisato il Colle, erano intervenuti durante la conversione, ossia li avevano fatti i parlamentari e non il governo. Perché allora Palazzo Chigi non ha stoppato il decreto senza aspettare il Colle? Eppure i segnali che aveva ricevuto erano forti e chiari. Dalle commissioni della Camera. Dal Pd e dalla componente renziana. «Avevamo visto il pasticcio nato al Senato e lo avevamo segnalato all'esecutivo», racconta la responsabile delle Riforme del Pd Maria Elena Boschi. «Per evitare l'assalto alla diligenza i nostri erano stati anche attenti a non infilare nel decreto niente che riguardasse Firenze».

Letta dunque conosceva il pericolo. Franceschini anche. Come dimostrano le sue parole pronunciate al momento di mettere al fiducia sulla legge di stabilità. «Il governo e i due rami del Parlamento devono porsi un problema, da affrontare prima dell'approvazione dei provvedimenti, che riguarda i requisiti di omogeneità e di urgenza dei decreti legge, che secondo la Corte costituzionale valgono non soltanto per il decreto-legge ma anche per la legge di conversione», aveva detto il ministro.

Si riferiva proprio al Salva Roma. La situazione è stata pesata. Non si può dire sia stata affrontata con leggerezza o superficialità. Si è tirare dritto anche per timore di un'offensiva dei 5 stelle sui deputati fannulloni e impegnati con le ferie di Natale. Perchè la fiducia doveva essere votata entro oggi, 27 dicembre. «Non c'erano marchette, come dicono i 5 stelle - spiega una fonte del governo - . C'erano risorse per l'alluvione, per il terremoto dell'Emilia. Ma la lezione è stata pesante, ci servirà per le prossime volte».

Renzi, parlando coi suoi fedelissimi, sottolinea i problemi di «un governo che non tiene la barra dritta». Alcuni renziani hanno trovato anche una risposta all'inerzia del governo davanti al decreto stravolto. «Non volevano dare uno schiaffo al Senato. Dove i numeri della maggioranza sono ballerini e il potere contrattuale di ogni singolo senatore è alto».

Angelo Rughetti, uno dei deputati più vicini al sindaco di Firenze, attacca: «Letta ha sottovalutato l'effetto degli emendamenti al decreto». La sua proposta è sospendere «per 6 mesi l'attività legislativa e i decreti». Una provocazione, è ovvio. Ma Rughetti ce l'ha anche con Napolitano e il suo "interventismo": «Un provvedimento che ha già avuto la fiducia del Senato e sta per essere votato anche alla Camera non può essere spazzato via così. Semmai il presidente della Repubblica poteva, dopo l'approvazione, rinviarlo al Parlamento».

 

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