LA GUERRA COL MEGAFONO - LE NAVI GIAPPONESI E CINESI SI AFFRONTANO QUASI OGNI GIORNO NEI MARI DELLE ISOLE SENKAKU, CONTESE TRA TOKYO E PECHINO: CHI LE CONTROLLA, CONTROLLA IL MAR DELLA CINA, I SUOI PESCI, IL SUO GAS E FORSE ANCHE IL PETROLIO. IL REGIME DI XI JINPING ACCUSA SHINZO ABE DI VOLER CAMBIARE LA COSTITUZIONE NIPPONICA (CHE VIETA LA GUERRA) E DI CERCARE UNA SCUSA CON LO SCONTRO IN MARE. E TRUMP IN MEZZO È TOTALMENTE IMPREVEDIBILE…
Francesco Olivo per ''La Stampa''
Le navi si affrontano a colpi di megafono praticamente tutti i giorni: «Queste sono acque giapponesi, tornate subito indietro». «Queste sono acque cinesi, non avete l'autorità per respingerci». Lo scontro per ora è verbale, acustico, ma l'escalation è dietro l'angolo e in questi giorni la tensione è tornata a salire in maniera preoccupante. «Sta cambiando tutto», si preoccupano a Tokyo. Il teatro della sfida sono le isole Senkaku (Diaoyu in cinese), un arcipelago abitato solo da albatros e capre, ma strategico, sia per posizione, siamo al centro del Mar cinese orientale a metà strada tra Taiwan, Giappone e Cina, zona fondamentale per il passaggio marittimo delle merci, sia per le risorse che nasconde questo mare, ricco di pesce e più nel profondo di gas naturali e forse persino di petrolio.
yoshitaka nakayama sindaco ishigaki
Le isole contese sono sotto amministrazione giapponese, ma la Cina e Taiwan ne rivendicano, con differente livello di intensità, la sovranità. Nel 2010 un incidente tra un peschereccio cinese e una nave della guardia costiera giapponese ha provocato una crisi diplomatica, che ha portato il governo nipponico, nel 2012, ad acquistare le isole da un privato che ne era diventato il proprietario. Un gesto che ha suscitato le proteste di Pechino, rinnovate nelle scorse ore. Quella che era una delle molte dispute degli oceani sta diventando qualcosa di più serio.
Nella base della Guardia Costiera sull'isola di Ishigaki, la più meridionale del Giappone, mostrano un grafico dove si dimostra che le incursioni cinesi nelle acque nipponiche aumentano costantemente «in media tre volte a settimana» calcola, mostrando un grafico, il comandante della guardia costiera, Hiroyasu Hanai. La flotta cinese «resta a ridosso delle acque territoriali», continua Hanai «poi a gruppi di quattro entrano, spesso fanno il giro delle isole, restando circa un'ora e mezza o due ore prima di andarsene». Queste incursioni inquietano il Giappone, non solo in queste isole remote, ma anche nella capitale «usiamo la guardia costiera per evitare uno scontro tra mezzi militari», spiegano fonti del ministero degli Esteri.
Ma la prudenza potrebbe non durare per sempre. Negli ultimi giorni si sono alzati i caccia da combattimento dalla base della provincia del Fujian, per scortare le navi della guardia costiera e controllare le attività del vicino. Anche a Ishigaki si stanno attrezzando, fra poco partiranno i lavori di una base militare, che ha diviso gli abitanti, ma che il sindaco Yoshitaka Nakayama vede come necessaria, negando la possibilità di un referendum: «La nostra gente si sente insicura». La base, che ospiterà circa 300 soldati, sarà dotata di missili anti nave e terra aria e mezzi anfibi. Il turismo, risorsa di queste isole bellissime, «non ne risentirà».
Il numero di incursioni alle Senkaku va letto come un effetto di un fenomeno molto più ampio, ovvero l'aumento esponenziale delle spese militari cinesi e, in particolare, del rafforzamento della Marina. Al quale, pur nei limiti imposti dalla costituzione pacifista, ha risposto il Giappone con un bilancio record: 42 miliardi di dollari. Uno sforzo economico controverso, ma fortemente richiesto dagli Stati Uniti, l'amministrazione Trump, come già con gli alleati della Nato, ha chiesto a Tokyo di contribuire maggiormente nelle spese militari. Il trattato di sicurezza tra Giappone e Usa vincola questi ultimi a intervenire nel caso di aggressione. Ma non il contrario, proprio in virtù dell'articolo 9 della Costituzione nipponica, imposto dopo la guerra dagli americani e che oggi il premier Shinzo Abe non riesce a cancellare.
isole contese senkaku ishigaku diaoyu
Secondo Pechino, il Giappone enfatizza i rischi di scontro per convincere l'opinione pubblica a cambiare la Costituzione, ha scritto il Global Times, organo di riferimento del partito «Tutti sentiamo la pressione cinese - spiega un alto funzionario del governo nipponico -, ma la differenza tra voi occidentali e noi è la distanza dalla Cina». Il messaggio è: voi avete a che fare con l'espansionismo commerciale (e al limite culturale), noi temiamo quello territoriale. E in questo quadro, le Senkaku sono una barriera, «se i cinesi ci costruissero una base militare, assumerebbero il controllo del Mar cinese orientale, così come stanno tentando con quello meridionale» sottolineano al ministero degli Esteri di Tokyo.
Quello tra Giappone e Cina è un rapporto complesso che va molto al di là delle dispute territoriali. Prima della pandemia, i numeri di commercio e turismo mostravano un'interdipendenza ormai quasi totale, il 30% dei turisti stranieri sono (erano) cinesi, mentre 2 milioni di giapponesi visitano Muraglia cinese e dintorni. «Pressione e dialogo vanno avanti insieme - ragiona un diplomatico occidentale - Pechino ha un ruolo fondamentale sulla questione coreana. Shinzo Abe vuole vedere Kim, ma non può farlo senza la mediazione cinese». Altra incognita per il Giappone è il rapporto con l'alleato naturale degli ultimi 75 anni: gli Stati Uniti. L'imprevidibilità di Trump destabilizza: «Il nostro popolo non ama gli imprevisti».