DIES IRAQ – HANNO TRA I 18 E I 25 ANNI I 50 ITALIANI DELL’ISIS – PER I NOSTRI SERVIZI SEGRETI SI SONO CONVERTITI SUL WEB E POSSONO CONTARE SU ALTRI 200 “UFFICIALI DI COLLEGAMENTO”
1. “GIOVANI E CONVERTITI, I 50 ITALIANI DELL’ISIS”
Virginia Piccolillo per “Il Corriere della Sera”
Sono almeno cinquanta. Giovanissimi. Reclutati e indottrinati spesso via Internet. Vengono dalle città del Nord: soprattutto Brescia, Torino, Ravenna, Padova, Bologna, e diversi piccoli centri del Veneto. Ma anche Roma e Napoli. La gran parte, almeno l’80 per cento di loro, sono italiani convertiti all’Islam da poco. E di colpo. Ma ci sono anche figli di immigrati, di seconda generazione. Tutti sono attualmente tra Siria e Iraq, pronti ad immolarsi per la jihad: la guerra santa.
Ecco l’identikit delle decine di «foreign fighters», i combattenti italiani arruolati dal terrorismo nelle schiere dell’Isis (Stato islamico dell’Iraq e del Levante) dei quali ha parlato ieri al Corriere il ministro dell’Interno, Angelino Alfano.
Nei rapporti riservati della nostra intelligence, che li ha posti sotto controllo, i «foreign fighters» sono la punta estrema di fanatismo in un fenomeno che non è coeso in un unico nucleo, ma frammentato. E che può contare su un gruppo più consistente di residenti in Italia che fungono da «ufficiali di collegamento» tra il nostro territorio e il terrorismo islamico. Secondo le relazioni della nostra intelligence, sarebbero almeno duecento questi ultimi soggetti «attenzionati», ritenuti molto pericolosi dai nostri servizi perché rientrati nel nostro Paese dopo un periodo di addestramento in basi segrete, per lo più in Afghanistan.
Rappresentano un fenomeno del tutto nuovo e in controtendenza rispetto agli altri Paesi europei come Gran Bretagna, Germania e Francia e Belgio. Lì la gran parte dei jihadisti reclutati, molto più numerosi di quelli italiani, vanno direttamente a combattere come volontari nei teatri di conflitto. Da noi è il contrario.
La maggioranza resta a fornire sostegno logistico, organizzativo e di reclutamento sul nostro territorio, ritenuto uno snodo nevralgico. Anche perché le politiche di integrazione e di accoglienza stanno rendendo sempre più difficile riconoscere, all’interno del popolo di disperati in arrivo sulle nostre coste, quei soggetti che tornano dalla Siria o dalla Libia con ruoli di primo piano. E capaci di fare da punto di riferimento per le nuove reclute.
I «foreign fighters», dalle indagini finora svolte, sono tutti molto giovani. Hanno tra i 18 e i 25 anni. E sono per lo più maschi. Non si hanno per il momento notizie di donne partite dall’Italia per combattere. Sono stati convertiti alla fede jihadista spesso attraverso il web. È la novità principale del fondamentalismo violento. Un’insidia molto difficile da combattere. L’indottrinamento avviene con tecniche pervasive e rapide, che in poco tempo fanno fare ai ragazzi il passo decisivo della partenza verso i teatri di guerra. Tecniche psicologiche manipolative potenti, sperimentate in Pakistan, nei campi di addestramento per giovani kamikaze.
Quando sono pronte, le reclute dell’Isis possono contare sugli ufficiali di collegamento che organizzano le loro trasferte spesso senza ritorno. Come è stato per una decina di questi ragazzi partiti dall’Italia e morti in Siria.
Molti combattenti nel nostro Paese sono stati reclutati al Nord. È in fermento la zona di Brescia, assieme alle città di Torino e Milano. Ma anche Ravenna e Bologna, l’area di Padova, la Valcamonica, oltre a Napoli e Roma. Mentre a Cremona era attivo Adhan Bilal Bosnic, ritenuto uno dei principali reclutatori dell’Isis e considerato dagli analisti uno dei sostenitori in Siria e del Califfato oltre che uno dei leader wahabiti integralisti. È noto sui siti Internet integralisti il suo video che inneggia alla distruzione degli Stati Uniti con slogan del genere: «Con esplosivi sul nostro petto costruiamo la via verso il paradiso».
Se il web aumenta la capacità pervasiva di radicalizzazione, secondo l’intelligence andrebbe certamente tenuta sotto maggiore controllo l’attività svolta nelle moschee. Mentre in molti Paesi islamici esiste un ministero degli Affari religiosi che a volte valuta in anticipo i sermoni tenuti da imam conosciuti e controllati, da noi no. E senza l’obbligo di pronunciare i discorsi in italiano diventa difficile capire quando la religione cede il passo alla violenza. E quando, invece di pregare per la fratellanza universale, si incitano i fedeli alla guerra santa.
L’allarme infiltrazioni è stato più volte lanciato in questi mesi di grandi sbarchi. E se il ministro dell’Interno, come aveva già fatto il sottosegretario con delega ai servizi Marco Minniti, ha minimizzato sull’incidenza tra i migranti di potenziali terroristi islamici, c’è comunque grande preoccupazione. Molti di quei circa duecento «ufficiali di collegamento» presenti sul nostro territorio nazionale sono rientrati in Italia da Paesi in guerra, inclusa la Siria: come distinguerli con certezza dai richiedenti asilo? Sono loro, del resto, a destare maggiori timori.
A capo di piccoli gruppi di intervento, dediti per lo più alla raccolta di fondi e al reclutamento, secondo gli esperti sarebbero pronti, nel momento in cui arrivasse l’ordine, a trasformarsi in micro-cellule terroristiche. O a fornire supporto logistico per l’organizzazione internazionale di eventuali attentati.
2. STEFANO ALLIEVI: “ATTIRATI DA UNA GUERRA SANTA ESOTICA DOVE TROVANO IDENTITÀ”
Luca Mastrantonio per “Il Corriere della Sera”
La conversione all’Islam di italiani che partano per la jihad non è un fenomeno nuovo. Ma sono nuovi i mezzi e i luoghi dell’arruolamento, e i moventi, meno politici, più psicologici. Il campo di battaglia poi è tornato a essere reale, localizzabile, raggiungibile. Per questo «la forza attrattiva dell’Isis è superiore a quella di Al Qaeda, e molto più pericolosa». È l’analisi di Stefano Allievi, professore associato di Sociologia a Padova, che da più di vent’anni studia dinamiche e caratteristiche dell’Islam in Italia.
Cosa può spingere un italiano a partire per la guerra santa in Siria o Iraq?
«Ci sono tanti fattori, per lo più psicologici e individuali, insondabili e non spiegabili, semplicemente, con un disagio sociale. L’Islam radicale può offrire una forte struttura della personalità a chi non ce l’ha, e la guerra santa apre scenari di avventura esotici per chi non è preparato e non sa cosa sia realmente la guerra. E poi: come nella politica, anche nella religione figure carismatiche e retoriche estremiste stanno sovrastando strutture tradizionali, moderate come i vecchi partiti. Questo discorso vale per l’Italia come per altri Paesi europei e riguarda gli immigrati e gli italiani che entrano in contatto con loro e si convertono».
La diffusione del radicalismo è frutto di una integrazione fallita?
«Direi che si è complicato lo scenario rispetto a dieci anni fa: non s’è compiuta del tutto, per gli immigrati islamici, l’assimilazione secolare alla cultura occidentale auspicata da Olivier Roy. Per esempio è cresciuta tra le seconde generazioni la componente neo-salafita, di valori tradizionali, di puritanesimo nei rapporti tra generi e generazioni. Nulla di pericoloso sul piano politico, che però crea una corrente di simpatia diffusa per i più radicali, che sognano il ritorno al califfato. Attenzione, l’idea di uno stato islamico unificato non era presente nelle generazioni precedenti, né nei Paesi musulmani di provenienza; ma va incontro alla necessità dell’islamismo europeo di definire nettamente la propria identità».
Ma c’è uno specifico italiano?
«È utile un confronto con il passato. A fine anni 70 e 80, si convertivano all’Islam radicale esponenti di estrema destra o estrema sinistra. Chi veniva da Ordine nuovo o Avanguardia nazionale trovava nella guerra santa dei valori sacri, alti, puri, di comunità, da cavalieri templari, benché mori: come il culto della gerarchia e della disciplina; e poi rifondavano il loro anti-ebraismo. Chi veniva da Lotta continua o Proletari in divisa, o andava in Marocco in cerca di fumo, poteva venire affascinato dall’idea di egualitarismo, di solidarietà comunitaria, di interclassismo multi-razziale, di internazionalismo; e poi riciclava l’odio per l’Occidente e gli Stati Uniti. Come vede, l’offerta dell’Islam è molto ampia».
Qualche nome?
«Claudio Muti, che viene da destra. Da sinistra veniva Hamza Piccardo, tra gli animatori dell’Unione delle Comunità ed Organizzazioni islamiche in Italia, l’Ucoii. Ma stiamo parlando di intellettuali, rispetto a chi si converte oggi, che è un autodidatta e meno preparato».
Si riferisce a Giuliano Delnevo, il ragazzo jihadista genovese?
«Bisogna stare attenti a dare il giusto peso ai reclutatori, perché non è che ci sono dei cattivi che vengono da fuori ad adescare dei poveri ragazzi. Sono i giovani a cercare, attraverso la Rete, informazioni e contatti, e spesso di livello molto basso. Faccio un esempio inglese: sa quale libro aveva acquistato su Amazon un ragazzo convertitosi all’Islam due mesi prima di partire per la guerra santa? Islam for dummies («Islam per principianti»). Fatto più significativo di quello che immaginiamo».
iraq anche bambini tra i terroristi dell isis
Ma se la provenienza non è più limitata alle ali estreme della militanza politica ideologica, il bacino potenziale dei convertiti armati si è allargato?
«Sì. Per un motivo semplice, che rende l’Isis più pericoloso di Al Qaeda: c’è un luogo fisico dove andare a combattere, l’Iraq o la Siria, un’idea di Stato islamico, mentre Bin Laden usava l’Afghanistan solo come base operativa e trascurava l’ideologia internazionale del califfato. Oggi c’è uno scenario di guerra fisicamente raggiungibile, più simile all’Afghanistan dove alcuni italiani andarono a combattere la jihad contro l’invasione sovietica.
E ancora: la struttura in cui oggi si vuole entrare è più accessibile, perché l’Isis cerca combattenti sul campo, non solo persone da infiltrare per attentati terroristici, come Al Qaeda, che era un’organizzazione diffidente. Senza alcun paragone riguardo a contenuti politici o storici, la facilità di arruolarsi nell’Isis oggi ricorda la guerra civile in Spagna, dove fascisti, anarchici, comunisti, intellettuali e avventurieri da tutto il mondo andarono a ingrossare le fila dei vari fronti».