
GUIDI, LA GARANZIA DEL PATTO DEL NAZARENO - DI LEI BERLUSCONI DISSE: "ABBIAMO UN MINISTRO PUR STANDO ALL’OPPOSIZIONE" - LA GUIDI NON ERA LA PRIMA SCELTA DI RENZI CHE ALLO SVILUPPO AVREBBE VOLUTO LA DG DI CONFINDUSTRIA, MARCELLA PANUCCI (MA SQUINZI SI OPPOSE)
Roberto Mania per “la Repubblica”
Alla fine Federica Guidi, ministra un po’ per caso, ha dovuto mollare. Si è dimessa dopo una telefonata dagli Stati Uniti con il premier Matteo Renzi. Ma non era questa la sua linea. Puntava a resistere, asserragliata nel suo ufficio al terzo piano del sontuoso palazzo di Via Veneto che fu anche quello delle Corporazioni e per questo ne fu inquilino pure Benito Mussolini.
«HO la coscienza a posto », ha ripetuto la Guidi a tutti i suoi interlocutori durante l’interminabile pomeriggio quando ha scoperto di essere stata intercettata nelle conversazioni telefoniche con il suo compagno Gianluca Gemelli, imprenditore anche lui, vicepresidente dei Giovani di Confindustria quando era lei a guidarli. Una storia che l’ha inguaiata. Politicamente, almeno.
Non si aspettava le intercettazioni, non aveva messo in conto le sue dimissioni. Le ha accettate per non essere rimossa, dimissionata. Aveva annullato – questa sì – la sua partecipazione all’ambasciata della Germania a un incontro tra imprenditori tedeschi e italiani. Aveva preparato una linea difensiva.
Nessun conflitto di interessi, nessuna interferenza perché l’emendamento al decreto “Sblocca Italia” non riguardava, da una parte, le attività del suo compagno (insieme hanno un figlio) e, dall’altra, il contenuto era ben noto a tutti gli addetti ai lavori. Gemelli ha vinto un appalto della Total, ma non aveva alcun interesse nella costruzione del cosiddetto pontile per lo sbocco a Taranto dell’oleodotto Tempa Rossa.
È scivolata sui conflitti di interesse, la Guidi. Lo ha ammesso alla fine, a quanto pare, in uno sfogo in serata con un amico: «Ho fatto una scelta irreversibile. Ho un conflitto di interesse. Non posso restare». E che il suo tallone d’Achille fosse quello del conflitto di interesse era chiaro fin dall’atto della sua nomina. Le avvisaglie c’erano state tutte. Renzi voleva una donna, quarantenne, imprenditrice e famosa allo Sviluppo economico, ministero che ha anche la delicata competenza delle comunicazioni, tv comprese.
GIORGIO SQUINZI FEDERICA GUIDI
La prima scelta era stata Marcella Panucci, direttore generale della Confindustria, ma Giorgio Squinzi, presidente di Viale dell’Astronomia, non la mollò, e Renzi ripiegò sulla Guidi. Non di sinistra, senza alcuna precedente ambizione politica per quanto non avesse nascosto il suo apprezzamento per Margaret Thatcher, la “lady di ferro”, e non solo per la vittoria contro i minatori guidati da Arthur Scargill.
Fu Angelino Alfano a proporgli una candidatura e per lungo tempo fu Silvio Berlusconi a corteggiarla per farla entrare in Forza Italia e che - pare – quando l’imprenditrice venne nominatal’ex Cavaliere si lasciò sfuggire: «Abbiamo un ministro pur stando all’opposizione». Guidi rifiutò tutte le offerte, tranne quella di Renzi due anni fa.
In un convegno a Santa Margherita Ligure dei Giovani industriali lanciò l’idea di superare il sistema della contrattazione collettiva per passare ai contratti individuali. Dietro quella proposta, assai hard, molti videro la sagoma del padre Guidalberto, figura ingombrante nella vita pubblica della figlia, e autentico falco confindustriale sul terreno delle relazioni industriali. Giurò al Quirinale, Federica Guidi, con il peso dei potenziali conflitti di interesse.
Perché la Ducati Energia (l’impresa familiare dove la Guidi tornerà), molto delocalizzata, ha lavorato con aziende pubbliche, partecipate dal Tesoro: Enel, Poste, Ferrovie dello Stato. «Dei 150 milioni di fatturato, solo 20 li facciamo in Italia», si difese. Una concezione soft del conflitto di interessi. L’Antitrust, tuttavia, le diede ragione anche perché si dimise da tutte le cariche aziendali. Dalle intercettazioni, però, Federica Guidi non è riuscita a sfuggire.