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KILL HILLARY! - LA CLINTON SOGNAVA TRUMP COME AVVERSARIO, MA ORA IL BILLIONAIRE E’ DIVENTATO UN INCUBO PER LA “MOGLIE DI BILL” - DONALD PRONTO A RISPOLVERARE LO SCANDALO LEWINSKY E NON SOLO
Vittorio Zucconi per “la Repubblica”
E il sogno di Hillary diventò l’incubo di un metro e novanta, sormontato da una visiera di capelli improbabili, capace di dire e fare qualsiasi cosa e deciso a combattere contro una “Guerra Assimetrica” alla quale lei non ha per ora risposta. Un incubo chiamato Donald Trump.
Insegna la saggezza popolare che occorre fare attenzione a esprimere desideri, perché si potrebbero avverare e Donald Trump era l’avversario che i Clinton e la macchina elettorale democratica desideravano avere.
Racconta Chris Cillizza, uno dei più raffinati reporter politici americani, che nel quartier generale di Hillary, a Brooklyn, nel team dell’ex First Lady, ex senatrice e poi Segretaria di Stato si sghignazzava al pensiero di trovarsi di fronte il miliardario bancarottiere seriale e si preparavano i piani di battaglia contro Jeb e il clan Bush, con qualche pensiero addizionale soltanto al “Golden Boy” della Florida, Marco Rubio.
Il primo è già distrutto, il secondo sta appeso come una noce di cocco matura alle palme delle future primarie nel suo Stato, fra due settimane. Ma lo scenario politico che i risultati delle primarie ormai nazionali hanno aperto è quello di una guerriglia, non di una guerra tradizionale condotta secondo i canoni classici.
Per improbabile che sia immaginare Trump come un Che Guevara della sierra elettorale o di un vietcong nelle paludi delle schede, lo schema del dominatore — fino a oggi — repubblicano sembra mutuato esattamente dai principi della guerriglia: colpire dove il nemico non s’aspetta, mordere e fuggire, evitare lo scontro campale e preferire incursioni rapide, essendo pronti a riparare nella confusione di smentite, controsmentite, tweet, facebook, instagram, se la sua propaganda eccede, che sono la moderna giungla dove i combattenti delle guerre asimmetriche si rintanano per poi attaccare.
Hillary è arrivata a guidare la implacabile aritmetica dei delegati alla convention democratica di luglio a Filadelfia, il congresso che deve incoronare il sovrano, seguendo il “playbook”, il piano di gioco che calcola debolezze dell’avversario e forze proprie. Il suo avversario, l’ammirevole e appassionato Bernie Sanders ha rispettato anche lui il vecchio e classico percorso degli alfieri della sinistra democratica, capaci in passato di grandi fiammate iniziali e poi di onorevoli ritirate.
Trump segue, invece, regole create da sè e per sè, facendo e dicendo cose che in passato avrebbero distrutto qualsiasi altro candidato nel “ciclo di 24 ore”, il ciclo delle televisioni.
La sua sfrontatezza, la sua anomalia ideologica che ne fa un gomitolo di contraddizioni non logicamente dipanabili, tra una sorta di “american fascism”, di nativismo, di xenofobia, di revanscismo bianco, avrebbe potuto quindi demolirlo in partenza o, come le infezioni che creano anticorpi quando non uccidono, renderlo immune agli attacchi classici.
Definire le donne che gli stanno antipatiche «grasse maiale ed esseri rivoltanti», sostenere di «non sapere esattamente di quali gruppi sia composto il KuKluxKlan» e che ogni musulmano è automaticamente un nemico da chiudere o sbattere fuori, sarebbe stata la fine di qualsiasi altro candidato in altri tempi. Ma questo non è “gli altri tempi”. È un tempo nuovo, senza sceneggiature conosciute.
bill clinton e monica lewinsky
Hillary è, per il Vietmiliardario, l’avversario ideale, esattamente il contrario di quello che i Clinton pensavano. Lo è perché la signora è l’incarnazione di quella politica da “insider” che gli elettori di “the Donald” aborrono. È la correttezza politica coi mezzi tacchi, che è il bersaglio prediletto dei “Trumpistas”, avendola individuata come tutto ciò che la loro rabbia odia, l’accoglienza degli immigrati, l’accettazione di tutte le forme di sessualità, la diplomazia internazionale, il governo dei piccoli passi e il soccorso della mano pubblica.
bill e hillary ai tempi della lewinsky
È, soprattutto, l’erede designata di quell’Obama che i repubblicani vogliono umiliare a posteriori per interposta candidata, vendicandosi dell’usurpazione di quell’alieno nero entrato nella bianca casa del piantatore padrone. Trump userà il bagaglio di Hillary con la spregiudicatezza violenta che ha segnato tutto il suo cammino verso il trionfo delle primarie.
Rivedremo il baschetto birichino di Monica Lewinsky, riascolteremo le accuse di libertinaggio, sentiremo — già lo abbiamo sentito — Hillary descritta come la “enabler”, la moglie complice che ha coperto e protetto il marito per calcolo, la super raccomandata. Tutta la letteratura e la cronaca anti clintoniana sarà escavata dalla discarica della storia perché Hillary porta quel nome, che è insieme la sua forza e il suo handicap.
Ora, se i mandarini repubblicani dilaniati e intontiti fra il terrore di Trump e il disprezzo per il suo unico avversario ancora in piedi, il texano Ted Cruz senatore detestato dai colleghi senatori, non decideranno di trascinare il duello fino alla loro convention e suicidarsi come fecero nel 1976 lottando giorno e notte per bloccare Reagan e nominare Jerry Ford, la “Clinton Machine”, deve decidere come rispondere al Vietcong dai capelli carota.
I mezzi non mancano, soprattutto finanziari, ma sono proprio quei fondi elettorali dei donatori di Wall Street che offrono all’autofinanziato Donald, lobbista di se stesso, una delle sue armi più efficaci.
Trump ha abbastanza scheletri personali, finanziari e ora anche giudiziari nell’armadio dei suoi 70 anni, compreso un processo per frode compiuta attraverso una fasulla Trump University fissato in agosto, per offrire elementi di contrattacco e di colpi bassi e scatenare, in quella che l’anchor televisivo, e repubblicano moderato Joe Scarborough ha chiamato una “guerra nucleare” a colpi di bombe atomiche di fango.
Ma uno scambio di atomiche fra Hillary e Donald assicura, proprio come una guerra nucleare, la reciproca distruzione. E minaccia di ridurre il processo elettorale nella democrazia cardine del sistema Occidente in un mare di rovine, ereditate dall’ultimo sopravvissuto ancora in piedi sui ruderi.