DI HUGO CHÁVEZ SI PUÒ DIRE DI TUTTO, MA NON CHE NON AVESSE DELLE CAPACITÀ DEMAGOGICHE FUORI DAL COMUNE - QUANDO VENNE A ROMA VOLLE PARLARE A MONTESACRO, LÌ DOVE BOLÍVAR GIURÒ DI COMBATTERE LA DOMINAZIONE SPAGNOLA - AMAVA SCONVOLGERE I PIANI ALTRUI, COME QUANDO VOLLE CANTARE CON AL BANO O QUANDO PORSE LA MANO SINISTRA AL BANANA “PERCHÉ È LA MIGLIORE” - IL POMPETTA INCASSÒ: POTERE DEL PETROLIO...
Maurizio Caprara per il "Corriere della Sera"
Hugo Chávez Frias non è stato soltanto un personaggio che prima di diventare capo di Stato in Venezuela aveva indossato l'uniforme di colonnello dei paracadutisti e aveva tentato due golpe. Comunque lo si giudichi, è stato un demagogo di particolari capacità e di sicuro ingegno. Accumulava nelle sue mani parecchio potere non soltanto per avere avuto dimestichezza con l'uso della forza: da militare era riuscito a riconvertirsi in artigiano della politica.
Una notte del 2005 volle andare a Monte Sacro. Era il 16 ottobre. Chávez aprì il programma di una delle sue visite a Roma dentro un parco pubblico, dopo il tramonto, salendo su una collinetta per rievocare una storia che in tanti non ricordavano più. Due secoli prima l'indipendentista latino-americano Simón BolÃvar (1783-1830) aveva giurato lì di impegnarsi a combattere la dominazione spagnola.
La figura di questo rivoluzionario (generale e dirigente politico, a sua volta) serviva da tempo al nazionalista Chávez per dotare di un'aureola di mitologia e di un ancoraggio a tradizione le sue teorie sul «Socialismo del siglo XXI», ideologia populista in un'era con pochi numi. Davanti a decine di immigrati venezuelani convogliati sulla collina dall'ambasciata della República Bolivariana de Venezuela il presidente non si accontentò di appagare il proprio narcisismo, simile a quello di molti personaggi pubblici, incassando applausi dai circa 300 radunati, in parte ammiratori, in parte precettati.
«¿Cómo te llamas?», come ti chiami?, domandava puntualmente ad alta voce l'ex paracadutista ai fan più calorosi che lo circondavano per stringergli la mano, chiedergli un autografo, pregarlo di accarezzare un figlio. Il venezuelano di turno rispondeva, per esempio: «Fernando, Presidente!».
Consapevole di quanto convenga a un politico dare importanza a un cittadino comune, che ne ricava gratificazione, Chávez rilanciava: «¿De dónde eres?», di dove sei? Fernando, per esempio, rispondeva: «Sierra Imataca». E giù allora domande sulla situazione in Sierra Imataca. Stessa scena con la persona successiva. «¿Cómo te llamas?». «Maria Gabriela». «¿Cuántos hijos tiene usted?», quanti figli hai? La domanda successiva virava sui nomi dei figli, le età e così via.
Avere presa a distanza sul pubblico delle televisioni serve, ma non basta. Benché da propagandista del XXI secolo conducesse un programma in tv, Aló, Presidente, Chávez lo sapeva. Aveva imparato che oltre a stringere patti, marpioneggiare e tenere la scena occorre farsi toccare dal vivo da qualcuno del popolo per essere eletti in via diretta capo dello Stato, come gli era riuscito nel 1999 e nel 2002. Nell'ostentare la vicinanza al pueblo, spesso, si toglieva un gusto: far accartocciare il protocollo, il cerimoniale, altrui.
In una delle trasferte a Roma per incontri bilaterali e interventi alla Fao (volle anche cantare con Al Bano, nell'agenzia dell'Onu), l'ex parà nazionalista si piazzò all'hotel Parco dei Principi, vicino alla residenza dell'ambasciatore degli Stati Uniti. Arrivarono politici, l'amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni, potenti vari. El Presidente costrinse più d'uno a lunghe anticamere. Per dare udienza, prima, a una delegazione di studenti romani «in lotta».
à forse anche per la comune tendenza a irridere i cerimoniali che il presidente venezuelano ogni tanto giocava a gatto e topo con Silvio Berlusconi. Una volta il Cavaliere, di centro-destra, gli porse la mano. La destra, come si usa. Chávez gli diede la sinistra, «perché la izquierda è migliore». Non ne nacque un incidente: il Venezuela era tra i principali produttori di petrolio. Berlusconi, in un incontro del 2005, per accorciare le distanze con un interlocutore coriaceo ricorse ad Aida Yespica, venezuelana dell'Isola dei famosi. Le telefonò e gliela passò.
L'anno seguente, avendolo intervistato in precedenza, chi scrive chiese a Chávez un'altra intervista. El Presidiente decise di parlare sull'auto che lo portava all'aeroporto di Ciampino. Una delle domande fu con quali armi pensasse di combatte la «guerra di resistenza» che aveva ipotizzato se attaccato da George W. Bush. Chávez si voltò verso l'interprete, Costanza Gruber. E rispose: «Una donna ha tante armi, alcune sono segrete. Hanno intuizione, intelligenza, poi altre che non posso dire. Noi, una strategia di difesa basata su militari, riservisti...».
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