LA THATCHER? PEGGIO CHE ANDARE IN MINIERA: “LADY DI FERRO ARRUGGINISCI IN PACE”

Claudio Gallo per "la Stampa"

Molti l'hanno ammirata, pochi l'hanno amata. Il risentimento, se non l'odio, nei suoi confronti è sempre stato vivo in una parte dei britannici. Solo l'anno scorso alla conferenza annuale a Brighton del Tuc, il principale sindacato nazionale, un banchetto (poi fatto sgombrare) vendeva magliette con scritto: «Una generazione di sindacalisti danzerà sulla tomba della Thatcher».

Due mondi che sembrano destinati a non incontrarsi mai, da una parte i titoli a tutta pagina dei giornali: «La donna che salvò il Paese», dall'altra gente come David Hopper, segretario del sindacato minatori dell'Inghilterra del Nord-Est, che esclama: «Un giorno meraviglioso! Sono deliziato. È il mio settantesimo compleanno, non potevo avere un regalo migliore».

Nel 1984 i minatori, definiti dalla Lady di Ferro «il nemico interno», erano circa 170 mila in 186 miniere, oggi ne restano 2 mila in 4 miniere. Forse sarebbero crollati comunque ma il ciclone Maggie li spazzò via insieme al potere dei sindacati che con le loro proteste avevano paralizzato il Paese. Chris Giles nota sul «Financial Times» che i risultati economici della Thatcher nel suo intero ciclo politico non furono poi così eclatanti e lasciarono «cicatrici durature». Al suo prezzo modernizzò il Paese ma la sua forza fu essenzialmente politica: creò un mito mondiale.

Bob Young oggi ha 69 anni, fa il consigliere comunale per il Labour a Dunfermline, in Scozia. Ricorda al telefono, con la voce ancora emozionata, quando la sorellina gli portò la lettera con il modulo P45, quello del licenziamento. Come presidente del sindacato dei minatori a Fife, era uno degli organizzatori dello sciopero. «Non voglio rallegrarmi della morte di una persona - dice - ma lei stava dalla parte opposta alla nostra. Ha distrutto l'industria pesante britannica, ha creato 3 milioni di disoccupati, soffocato intere comunità. Ha tolto ai poveri per dare ai ricchi».

Bob ha ancora negli occhi le immagini della battaglia di Orgreave, nello Yorkshire del Sud, dove nel 1984 migliaia di minatori che volevano bloccare l'impianto a coke della British Steel si scontrarono con la polizia. Celebre è la foto del leader dei minatori Arthur Scarghill col cappellino a visiera portato via da due Bobbies. Scargill, che ha fondato un suo partito socialista, è tra i pochi a evitare di parlare della Thatcher.

«Ho fatto il soldato, io - racconta Bob - ma non ho mai avuto tanta paura come quella volta. Non è vero che attaccammo noi, la polizia a cavallo ci caricò senza motivo». Un buco nero nella storia britannica su cui ancora l'altr'anno il Labour chiedeva un'indagine, dopo la scoperta che i rapporti della polizia erano stati alterati.

John Kane, 75 anni, minatore per quarant'anni, lavora oggi al museo delle miniere scozzesi. «È passato tanto tempo - dice al telefono - ma la gente di qui non potrà perdonarla mai. Non è mai stata amica della Scozia e delle miniere. Dicono che ha salvato il Paese? È questione di punti di vista, il mio Paese l'ha distrutto».

Tra i ranghi dei nemici della baronessa Thatcher non c'è soltanto la vecchia classe lavoratrice, sull'orlo dell'estinzione in tutto l'occidente, ma anche grosse fette di gruppi nazionali come gli irlandesi, gli argentini e i cinesi di Hong Kong. Questi ultimi due non l'amano per motivi opposti: perché in un caso intervenne e nell'altro no. Gerry Adams, presidente del partito nazionalista irlandese Sinn Féin, ha detto ieri: «Margaret Thatcher provocò grandi sofferenze in Irlanda e Gran Bretagna. Le comunità dei lavoratori furono devastate dalle sue politiche».

L'altro leader del Sinn Féin, Martin McGuiness, ha tuttavia chiesto ai militanti di non festeggiare la sua morte, com'è successo l'altra sera a Londonderry. «Non fu una donna di pace - ha dichiarato - ma è sbagliato lasciare che la sua morte avveleni le nostre menti». Il campione di cricket irlandese John Mooney è stato costretto a scusarsi per un tweet che diceva: «Spero che sia morta in un modo lento e doloroso».

Nel coro internazionale delle reazioni, in maggioranza positive, qualcuna critica, l'unico Paese che non ha detto nulla è l'Argentina. Buenos Aires non ha ancora digerito la sconfitta della guerra delle Falkland/Malvinas del 1982, in piena era Thatcher. Gli argentini hanno recentemente cercato di aprire una trattativa per ottenere l'isola contesa ma Londra ha fatto finta di non sentire.

 

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