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"IN EUROPA RIVOGLIONO I TECNICI" - DOPO L’EDITORIALE DELL’ECONOMIST, CHE HA INVITATO A VOTARE 'NO', RENZI SI SENTE ACCERCHIATO - IN CASO DI SCONFITTA AL REFERENDUM, MATTEUCCIO LASCIA PALAZZO CHIGI A GRASSO O PADOAN CON BINI SMAGHI ALL'ECONOMIA E MONTI AGLI ESTERI

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Fabio Martini per la Stampa

 

L' autorevole Economist» vota No al referendum e auspica un governo tecnico al posto di quello guidato da Matteo Renzi? Raccontano che quando il presidente del Consiglio ha letto l' editoriale molto antipatizzante che gli ha dedicato il settimanale inglese, prima ha avuto un moto di fastidio, ma poi ha pensato di «valorizzarlo». Di trasformarlo in uno spauracchio da cavalcare nell' ultima settimana di campagna elettorale: cari italiani, state attenti che se cado io, arriva un governo tecnico.

 

Nelle segrete stanze il commento di Renzi è stato molto secco: l'«Economist» è stato chiaro, loro vogliono un nuovo governo Monti o qualcosa del genere, un governo che si allineerà, non fiaterà più in Europa, ma io non ci starò mai e lo racconterò agli italiani. Rilanciando lo spettro di quel «governicchio tecnichicchio» che Renzi - immaginandone la impopolarità - da tre settimane aveva qua e là ventilato, ma che ora è pronto a rilanciare con più energia di prima. .

renzi a piazza del popolo manifestazione pd referendumrenzi a piazza del popolo manifestazione pd referendum

 

L' editoriale dell' ultimo numero dell'«Economist» è un autentico pugno nello stomaco. Secondo il settimanale britannico, Renzi «ha sprecato quasi due anni ad armeggiare con la Costituzione. Prima l' Italia torna ad occuparsi delle riforme vere meglio è per tutta l' Europa». Per l'«Economist» le riforme vere sono «quelle strutturali, dalla giustizia all' istruzione», perché la riforma costituzionale proposta da Renzi «non si occupa del principale problema dell' Italia: la riluttanza a riformare».

 

Il settimanale inglese si produce anche in una analisi della psicologia collettiva degli italiani: «Nel tentativo di porre fine all' instabilità che ha portato 65 governi in Italia dal 1945 introduce la figura dell' uomo forte. E questo nel Paese che ha prodotto Benito Mussolini e Silvio Berlusconi ed è vulnerabile rispetto al populismo».

 

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Ma la parte più spiazzante è quella nella quale l'«Economist» si occupa anche dell' eventuale dopo-Renzi: in caso di vittoria del No, non è scontata «la catastrofe che tanti in Europa temono. L' Italia potrebbe mettere insieme un governo tecnico, come ha fatto tante volte in passato. Se, invece, la sconfitta ad un referendum dovesse innescare il crollo dell' euro, allora vorrebbe dire che la moneta unica era così fragile che la sua distruzione era solo una questione di tempo».

 

Certo l'«Economist» ha spesso il gusto per le prese di posizioni spiazzanti, programmaticamente diverse da quelle del «Financial Times» e tuttavia - restando espressione di quell' establishment collocato sull' asse Londra-Bruxelles - ovviamente non «parla» agli elettori italiani ma semmai agli investitori della City e non solo: per rassicurarli, per scongiurare collassi finanziari che nessuno in Europa vuole.

 

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E «parla» anche all' establishment politico europeo che non ama Renzi e col quale il presidente del Consiglio è entrato più volte in collisione. Sono arrivati anche a Roma i boatos che - tra Londra e Bruxelles - parlano di un nuovo governo - affidato al presidente del Senato Pietro Grasso o a Pier Carlo Padoan - con Lorenzo Bini Smaghi all' Economia e Mario Monti agli Esteri.

 

Renzi, pur considerando questi boatos fantasie, non sottovaluta l' ostilità che oramai lo accompagna a Bruxelles e soprattutto sa bene che la sconfitta dei Democratici negli Usa lo ha lasciato più solo in caso in cui il dopo-referendum, rivelandosi incerto e contrastato, chiamasse in causa le principali cancellerie internazionali. Come accadde nel 2011 con Mario Monti.

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