IN TURCHIA S’È ROTTO IL PATTO TRA I DUE PARTITI ISLAMICI: ERDOGAN CONTRO FETULLAH GÜLEN, IL MILIARDARIO DELLA PENNSYLVANIA - DIMISSIONI PER TRE MINISTRI
Da âIl Foglio'
Sa di essere l'obiettivo finale, il premier turco Recep Tayyip Erdogan, sa che alla fine arriveranno a lui i giudici che dieci giorni fa hanno fatto scoppiare il più grande scandalo politico della storia della Turchia democratica, hanno ordinato arresti per corruzione tra le più alte sfere dell'Akp, il suo partito, sono arrivati a lambire il governo e hanno provocato le dimissioni non esattamente spontanee di tre ministri.
"Se cercheranno di arrivare a me", ha detto Erdogan ieri in conferenza stampa, "rimarranno a mani vuote". Intanto però mercoledì il governo è stato costretto a un grosso rimpasto, dieci ministri sostituiti dopo le dimissioni di quelli dell'Economia e dell'Interno, i cui due figli sono stati arrestati con l'accusa di aver accettato tangenti.
Le dimissioni erano state imposte da Erdogan e i due, come è prassi dentro l'Akp, si sono piegati al volere del premier, ma un terzo ministro finito nei guai, quello dell'Urbanizzazione e dell'Ambiente, Erdogan Bayraktar, da sempre vicino al premier, non ne ha voluto sapere, ha detto che le dimissioni gli sono state imposte, che Erdogan era a conoscenza di tutto quello che faceva e che se deve cadere lui, allora anche Erdogan deve lasciare.
Il primo ministro resiste, invoca "una nuova guerra di indipendenza" e contrattacca, dando l'impressione che quella in corso sia una lotta tra due "deep state", tra due compagini (tutte religiose, interne al mondo islamico: i laici sono tagliati fuori) che si muovono dentro lo stato.
Una è quella di Erdogan, l'altra fa capo a Fetullah Gülen, il miliardario leader religioso che dalla Pennsylvania governa l'unica forza (un conglomerato di media, centri educativi, imprese e uomini fedeli in tutti i gangli dello stato) capace di tenere testa al premier. I procuratori spiccano mandati contro l'Akp, Erdogan fa rimuovere i procuratori (l'ultimo, ieri, ha lasciato le indagini dicendo in un comunicato che la polizia si rifiutava di eseguire gli ordini).
Erdogan fa approvare norme per sottoporre i procuratori al controllo di capi più docili, il Concilio dei giudici blocca l'operazione come incostituzionale. Intanto ieri la lira turca, con i mercati sconvolti dal caos politico, ha sfondato molti record al ribasso. Sono stati i kemalisti laici del partito di opposizione Chp a tirare fuori la metafora del "deep state", e questo è stato il loro unico contributo al più grande sommovimento politico degli ultimi decenni. In questa lotta tra i due colossi dell'islam turco, per molto tempo alleati, tutto quello che resta della società laica è una piazza che protesta da giorni, ma ha perso il suo slancio dopo la repressione di quest'estate e oggi va al traino dell'islamista Gülen.
"Everywhere is Taksim", urlano i manifestanti, ricordando la piazza dove è iniziato tutto. Si protestava contro la costruzione di un centro commerciale a giugno, oggi buona parte delle inchieste è legata ai grandi appalti e progetti edilizi dell'Akp e della cricca di costruttori che fa riferimento al nucleo di potere del premier. Per Erdogan piazza Taksim è una maledizione, è lì che l'occidente ha iniziato a vederlo con occhi diversi. "Democratico o sultano?", si era chiesto l'Economist mentre la polizia turca reprimeva i manifestanti, a giugno.
La forma era dubitativa, ma l'illustrazione di copertina era chiara, Erdogan era un ottomano magnifico, e lui stesso, che forse democratico ancora un po' ci si sentiva, nei panni del despota orientale si è trovato inaspettatamente a proprio agio. Sono iniziati allora i riferimenti a oscure "cospirazioni straniere" che quest'estate giustificavano le proteste e oggi le inchieste, è diventata visibile allora la debolezza del modello turco, quel mix di democrazia, islam moderato e crescita economica con cui Erdogan voleva essere il faro delle primavere arabe. E l'Europa, ormai spettatrice di quel che avviene ai suoi confini, non può che chiedersi se abbia fatto bene a non voler mai davvero integrare la Turchia nella sua Unione.







