KARL ROVE TORNA DAL VIAGGIO DI NOZZE A CAPRI E SI DEDICA AL SUO SPORT PREFERITO: PORTARE I REPUBBLICANI ALLA CASA BIANCA - “IL PIANO 3-2-1 STA FUNZIONANDO. DEI TRE STATI REPUBBLICANI CHE DOVEVAMO RIPRENDERE, INDIANA E NORTH CAROLINA SONO FATTI, E LA VIRGINIA È PARI” - KARL GALVANIZZA I FINANZIATORI E LI SPINGE AD APRIRE I PORTAFOGLI: “SI DECIDE TUTTO IN FLORIDA, HO CHIAMATO JEB BUSH. CHI VINCE QUI VA A WASHINGTON…”

Paolo Mastrolilli per La Stampa

Si vedono le nuvole nere dell'uragano Isaac, sull'orizzonte, dalle finestre di questa spettacolare penthouse al venticinquesimo piano di un grattacielo in riva al mare. Scaricano pioggia su Tampa e puntano minacciose verso New Orleans. Il dramma della natura scatenata si sovrappone alla storia delle presidenziali americane, che i repubblicani cominciano a sentire a portata di mano.

Perciò uno dei più ricchi finanziatori della campagna di Romney ha invitato a casa i leader del Gop, per una cena che serve a lanciare la Convention, ma soprattutto a pianificare la corsa finale per vincere a novembre. Sui tavoli imbanditi, vicino ad un albero vero di mangrovie, ci sono tutte le varietà più pregiate di pesce, Brunello di Montalcino, champagne, e tortine alle preziose noci macadamia delle Hawaii.

Intorno, invitati che valgono quanto il pil della Florida, gente di spettacolo tipo Jon Voight, senatori e deputati. L'ospite d'onore è il presidente del Gop, Reine Priebus, che porta i saluti di Mitt direttamente via telefono, e soprattutto Karl Rove, appena rientrato dalla luna di miele a Capri con la terza moglie Karen Johnson.

Karl sarà pure innamorato, ma la passione per la politica è più forte. La sua organizzazione, American Crossroads, si è impegnata a raccogliere almeno 300 milioni di dollari per sloggiare Obama dalla Casa Bianca, e gli mancano solo due milioni e mezzo per tagliare il traguardo. Intanto lui fa il consigliere e il «kingmaker» del partito.

La parola va prima al presidente Priebus, che parla a nome di Romney: «Obama ha un problema col sogno americano, perciò è vulnerabile. I miei genitori mi hanno insegnato che quando vedo una persona di successo, non devo invidiarla, ma lavorare duro per superarla. Obama, invece, disprezza il successo. Ma questo non è il modo in cui ragioniamo in America».

Rove sorride e alza la mano: «Abbiamo spiegato perché il presidente non è adatto alla sua carica. Ci aggiungerei che è anche stanco, come dimostrano le sue ultime gaffe, tipo quella sugli americani che non hanno costruito le loro imprese. Finora gli hanno fatto fare 205 eventi di raccolta fondi: non so come abbia resistito, ma è un segno di debolezza. Infatti è stanco, e si vede. Questo ci dà un vantaggio».

L'uomo che ha portato due volte Bush figlio alla Casa Bianca sa di cosa parla, e passa a spiegare il tema centrale della campagna: «L'economia, chiaro. La disoccupazione. Però dobbiamo drammatizzare il tema. Con Paul Ryan abbiamo fatto i conti: il 2013 è l'ultimo anno utile per iniziare a contenere il debito. Se non si interviene ora, finiamo come la Grecia. Rischiamo di smettere di essere l'America. Bisogna far capire all'elettorato che siamo davanti ad una scelta così drammatica».

La debolezza più grave di Romney finora è stata la «likability», ma Karl pensa che sia arginabile: «É molto più simpatico e diretto di quanto sembri. Verrà fuori, durante la Convention. Nei nostri sondaggi vedo già segnali di cambiamento». Più difficile ribattere alle critiche dei democratici sul fatto che non paga le tasse, e ragiona come un ricco lontano dalla gente normale.

Un finanziatore suggerisce che la risposta potrebbe stare nel pubblicizzare tutta la beneficenza fatta da Mitt: sommata alla percentuale ridotta di tasse pagate per i capital gains, lo farebbe apparire come una persona che restituisce alla società molto più del suo avversario.

Rove annuisce, convinto solo a metà, e aggiunge un altro punto debole: «Gli ispanici sono gente religiosa, dedicata alla famiglia, buoni imprenditori: dovrebbero stare con noi, per natura. Invece votano democratico, per le nostre posizioni sull'immigrazione. Bisogna lavorarci di più, perché sono il gruppo decisivo del futuro».

Karl passa a spiegare la strategia per le ultime settimane di campagna: «Il piano 3 - 2 - 1 sta funzionando. Dei tre stati repubblicani che dovevamo riprendere, Indiana e North Carolina sono fatti, anche se Obama terrà la Convention a Charlotte, e la Virginia è pari. Nei due stati contesi più grandi, Ohio e Florida, stiamo facendo progressi.

Per il sesto stato da recuperare possiamo scegliere: il Wisconsin è tornato competitivo grazie a Paul (Ryan), Iowa e Colorado sono aperti, e adesso persino l'Oregon è incerto. La chiave, perciò, è diventata la Florida». Silenzio tra gli invitati: «La Casa Bianca si vince qui. L'ho detto alla campagna, che è d'accordo. Ho chiamato Jeb (Bush), che si è impegnato, e adesso ne parlo con voi. Avete fatto un lavoro meraviglioso, ma serve uno scatto per queste ultime settimane. Vincere qui significa tornare a Washington».

I bicchieri si alzano, i portafogli si apriranno. Gli chiediamo se ci crede davvero, e lui sorride: «Sono ottimista. Da qualche giorno molto ottimista». Sulla porta lo aspetta Karen. La prende per mano, saluta e vanno via, sotto la pioggia dell'uragano che non smette.

 

 

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