ENRICHETTO GIOCA IN CONTROPIEDE: DOPO LE DIMISSIONI DI FASSINA, VUOLE INCONTRARE IL ROTTAM’ATTORE PER DISCUTERE IL RIMPASTO E FRENARNE IL DELIRIO - SUPERPROMOZIONE PER DELRIO?

Tommaso Ciriaco per "la Repubblica"

La notizia arriva con un sms. Il testo, brutalmente sintetico, è di Stefano Fassina: «Enrico, mi dimetto». Era nell'aria, ma Letta resta comunque scosso. Senza perdere un minuto, contatta il viceministro. Tenta di trattenerlo.

Discute anche con un preoccupato Giorgio Napolitano della novità piombata su palazzo Chigi. Senza esito, però: «Sono dispiaciuto per le dimissioni - tira le somme il premier a sera - ho provato a dissuaderlo. Senza riuscirci». Proverà ancora a convincerlo, nelle prossime ore. Non perché speri davvero nella possibilità di far cambiare idea a Fassina, piuttosto per muovere una pedina nel risiko intrapreso con Matteo Renzi. Il governo, intanto, precipita nel caos.

La sfida, ormai, è aperta. Un braccio di ferro «politico» che va oltre la casella dell'esecutivo occupata dall'esponente dem. Certo, in passato i due hanno duellato sui dossier economici. Ma Letta si confronta spesso con il suo viceministro e gli ha chiesto di seguire in Parlamento l'ultima legge di stabilità. «Hanno un rapporto franco e corretto», giurano gli staff. Dovesse convincerlo a restare, il premier segnerebbe un punto nel confronto con Renzi.

In pista per la successione, però, c'è già il renziano Yoram Gutgeld. È una battaglia che si nutre di affondi e reazioni quotidiane. Prima le unioni civili e la Bossi-Fini, poi il rilancio sulla legge elettorale. Infine quel «Fassina chi?» capace di far tremare Palazzo Chigi. Il segretario del Pd, d'altra parte, non sembra intenzionato a cambiare rotta. L'aveva promesso: «Non arretro neanche di un centimetro». E infatti non è disponibile ad alzare il piede dal pedale neanche stavolta: «La mia era solo una battuta - minimizza a sera - Lui non vuole più stare al governo e ha colto il pretesto per lasciare».

Una battuta, forse. Capace però di terremotare i già fragili equilibri che reggono l'esecutivo. Non è un caso che in soccorso di Fassina siano subito intervenuti i big della minoranza dem guidati da Gianni Cuperlo - ma anche esponenti dell'ala governista della maggioranza che non militano del Pd. Il timore è che l'incidente possa provocare una slavina.

Consapevole dei rischi, Letta studia da giorni le contromosse. L'obiettivo è imbrigliare il nuovo leader democratico con il rimpasto. Vuole incontrarlo, pensa a una faccia a faccia subito dopo la Befana. Per scoprire le carte, giura: «Una volta che si ragiona del patto di governo, si ragiona su tutto. Io sono pronto».

Conosce i rischi di mettere mano alla squadra. Potrebbe rimandare l'avvicendamento dei viceministri dimissionari (agli Esteri ha lasciato anche Bruno Archi), oppure semplicemente lasciar cadere la cosa. Ma al Presidente del Consiglio interessa di più l'opportunità di frenare il pressing renziano. Per questo, alzerà l'asticella e tornerà alla carica per proporre la «promozione» di Graziano Delrio, unico ministro vicino al sindaco. Interni, Difesa
o Giustizia: questo è il ventaglio sottoposto a Renzi.

Il segretario, per adesso, prende tempo. Reclama innanzitutto un'intesa sulla legge elettorale, ha buon gioco a chiedere una scossa «sui problemi, non sulle poltrone». I suoi, poi, sembrano scatenati. Sentite Ernesto Carbone: «È la seconda volta che Fassina annuncia dimissioni in otto mesi. È una pantomima ridicola, l'obiettivo politico di chi non si rassegna al voto di milioni di elettori del Pd. Per noi, comunque, è buona la seconda... «. Altro discorso, però, vale per la pancia dei gruppi parlamentari democratici, sempre più in ebollizione.

Per non parlare del trattamento riservato ad Angelino Alfano. Non passa giorno che un renziano non rinfacci al Nuovo centrodestra la folta pattuglia di cinque ministri. Sproporzionata, dopo la scissione del Pdl. Il vicepremier, dal canto suo, dosa ogni sillaba per evitare incedenti.

Tiene la posizione sulla Bossi-Fini, resta in trincea sui diritti civili. Ed è convinto di trovare nel premier una sponda sicura. Proprio Letta, non a caso, è sicuro che alcuni temi attengano «al dibattito parlamentare». Pronto, insomma, a sostenere che un esecutivo di larghe intese non possa partorire un patto di governo troppo sbilanciato su una forza politica.

Renzi cerca intanto di condurre in porto la trattativa sulla riforma del sistema del voto. Su questo, almeno, con Letta concorda. Per il premier «non c'è tempo da perdere» e per il segretario quasi tutto si gioca su questo terreno. Ha già pronto il calendario informale delle consultazioni. E aspetta di portare a casa i primi frutti del dialogo con le altre forze politiche, Forza Italia compresa. Si attendono scintille.

 

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