GHE RENZI MI - MATTEO A SILVIO: “IL CAPO DELLO STATO LO VOTEREMO INSIEME. MA IL NOME LO SCELGO IO” - MAI NELLA STORIA I PREMIER SONO RIUSCITI A PIAZZARE I LORO FAVORITI AL QUIRINALE
Fabio Martini per “La Stampa”
È il segreto meglio custodito della coppia Renzi-Berlusconi, è il mistero che fa registrare il maggior numero di illazioni più o meno verosimili e in questo contesto persino il prudentissimo Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd, non si sottrae al principale «gioco di società» del momento e ammette: «Il Quirinale? Con Berlusconi ne abbiamo parlato, ci siamo confrontati sul metodo....».
Mica poco, aver concordato un metodo comune in vista di una partita complicata come quella del Quirinale e infatti dall’altra parte della «barricata» uno dei pochissimi negoziatori del Cavaliere conferma l’importanza della novità, va oltre e rivela: «Sì, se ne è parlato, si è convenuto che il nuovo Capo dello Stato lo eleggeremo assieme, ma il presidente del Consiglio si è riservato di fare lui il nome o i nomi del candidati...».
Dopo tante illazioni comincia in questo modo a prendere consistenza la trama sulla quale il presidente del Consiglio e il leader di Forza Italia hanno imbastito il Patto del Nazareno: i due hanno deciso di eleggere assieme il nuovo presidente della Repubblica, anche se la prima scelta tocca a Renzi. Nel corso degli incontri con Berlusconi il presidente del Consiglio di più non ha detto ed è naturale che sia così. Sarà lui, nel momento per lui più opportuno, a decidere se presentare un nome secco a Berlusconi o, più probabilmente, una rosa di nomi.
BERLUSCONI VERDINI ALFANO INAUGURAZIONE SEDE FORZA ITALIA FOTO LAPRESS
Ma intanto il primo step, i due hanno convenuto di salirlo assieme. E non è poco. Certo, Giorgio Napolitano è ancora al suo posto e non ha fatto trapelare possibili date circa le sue dimissioni, ma intanto la storia delle precedenti elezioni per il Quirinale sembra aver indicato una strada: in questa complicatissima partita, senza un metodo e uno schema condiviso tra i principali «azionisti» del Parlamento, non si va da nessuna parte.
Tutti i principali leader del dopoguerra - come player o come candidati - hanno subito cocenti delusioni. De Gasperi voleva Carlo Sforza e ripiegò su Luigi Einaudi, Amintore Fanfani e Aldo Moro non riuscirono mai ad eleggere i propri candidati ma neppure loro stessi. Idem Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani, per non parlare di Massimo D’Alema e Silvio Berlusconi. Se si esclude la regia di Ciriaco De Mita a favore di Francesco Cossiga, ogni volta la dura legge dei franchi tiratori ha ridimensionato i disegni più arditi.
Ecco perché l’accordo preliminare tra i due amici del Nazareno sullo schema di gioco è il primo, seppure non decisivo step. Certo, i numeri di partenza a prima vista sono schiaccianti a favore dell’asse Renzi-Berlusconi. Sulla carta la maggioranza (il Pd, Ncd, Scelta Civica, Udc più i vari frammenti) può contare su circa 600 «grandi elettori» (560-570 parlamentari, più i 33-35 delegati indicati dai Consigli regionali), ai quali aggiungere i 130 parlamentari di Forza Italia, più i 21-23 eletti dalle Regioni. Numeri che ballano perché in Parlamento, soprattutto al Senato, si contano diversi «non allineati», mentre la ripartizione dei delegati regionali sarà definita dopo la tornata elettorale del prossimo 23 novembre.
Ma in ogni caso, almeno sulla carta l’asse maggioranza-Forza Italia potrà contare tra i 740 e i 750 «grandi elettori»: considerando che il quorum richiesto per eleggere il Presidente della Repubblica è fissato a quota 504, teoricamente la coppia Renzi-Berlusconi si presenta ai nastri di partenza con un margine di quasi 250 voti. Tutto il resto della partita è ancora da scrivere.
Renzi lascia correre i nomi dei candidati più gettonati, a cominciare dalla pole position che nei mass media continua ad essere occupata da Roberta Pinotti, ministro della Difesa, donna, gradita agli ambienti Nato, dieci mesi di governo senza sovraesposizioni. Niente più che preliminari sospesi nel vuoto, anche perché soltanto in zona Cesarini si capirà se Beppe Grillo si limiterà a cavalcare candidature di bandiera o - come ha lasciato intendere - se proverà a rompere i giochi di Renzi. dichiarandosi disponibile su una personalità, per esempio Romano Prodi, destinata a provocare il mal di pancia ai grandi elettori Pd.