proteste in israele contro la deportazione dei migranti

MIGRANTI SUL GROPPONE - NETANYAHU ANNULLA L'ACCORDO CON L'ONU CHE PREVEDEVA LA RISISTEMAZIONE IN ALCUNI PAESI EUROPEI DI 16 MILA RICHIEDENTI ASILO PROVENIENTI DALL’AFRICA - IL PRIMO MINISTRO ISRAELIANO HA DOVUTO FARE I CONTI CON LE PROTESTE INCROCIATE DI UNA PARTE DELLA POPOLAZIONE, DI ALCUNI SUOI MINISTRI, DI ITALIA E GERMANIA

Da https://www.agi.it

netanyahu

 

Dopo averlo sospeso nel corso della notte, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annullato l'accordo con l'Alto Commissariato per i rifugiati dell'Onu (Unhcr) per la risistemazione in alcuni paesi europei di 16.000 richiedenti asilo provenienti dall'Africa e attualmente in Israele.

 

Il primo ministro israeliano ha deciso l'annullamento dopo aver fatto i conti con le proteste incrociate di una parte della popolazione e di alcuni suoi ministri, oltre che con le smentite di paesi come Italia e Germania, che hanno negato l'esistenza di alcun accordo per il ricollocamento dei richiedenti asilo (Corriere della Sera).

PROTESTE IN ISRAELE CONTRO LA DEPORTAZIONE DEI MIGRANTI

 

La decisione definitiva è arrivata in tarda mattinata, dopo che nel corso della notte Netanyahu aveva già preannunciato la sospensione dell'accordo, motivandola con la necessità di parlare oggi con gli abitanti delle aree meridionali di Tel aviv, quelle in cui la presenza di migranti africani è più forte.

 

LE PROTESTE DEI RESIDENTI DI TEL AVIV

PROTESTE IN ISRAELE CONTRO LA DEPORTAZIONE DEI MIGRANTI

Incalzato dalla proteste dei residenti, e anche dal ministro dell'Istruzione Naftali Bennett, che aveva definito stamattina la sospensione dell'accordo "insufficiente" invocando un suo annullamento, e dall'ex ministro e membro del Likud (il partito del premier) Gideon Saar, Netanyahu ha ceduto alle pressioni interne. In origine, l'accordo con l'Unhcr avrebbe dovuto sostituire un piano di espulsione di circa 40.000 migranti verso il Ruanda e l'Uganda, bloccato però dalla Corte suprema israeliana oltre che dal venir meno - secondo quanto riferito dallo stesso Netanyahu - della disponibilità del Ruanda (La Repubblica).

PROTESTE IN ISRAELE CONTRO LA DEPORTAZIONE DEI MIGRANTI

 

Il piano di deportazione aveva incontrato le proteste della cittadinanza, oltre che di intellettuali come Amos Oz, David Grossmann e Abrahamn Yehoshua. Secondo questo piano, ad ogni richiedente asilo africano che avesse accettato di lasciare Israele sarebbero stati garantiti 3.500 dollari e un biglietto aereo per il proprio Paese d'origine o per il Ruanda o l'Uganda. In caso di rifiuto, i migranti avrebbero rischiato la detenzione temporanea. La bocciatura della Corte suprema aveva così stimolato la conclusione di un accordo quinquennale con l'Unhcr, in base a cui circa 16.000 migranti sarebbero dovuti essere ricollocati in vari paesi europei (Il Giornale).

 

PROTESTE IN ISRAELE CONTRO LA DEPORTAZIONE DEI MIGRANTI

L'ACCORDO PER I MIGRANTI DIRETTI VERSO L'EUROPA

Per ogni migrante diretto verso l'Europa, Israele avrebbe concesso la "residenza temporanea" a un migrante nello Stato ebraico. Con questo accordo, nel primo anno e mezzo circa 6.000 migranti avrebbero dovuto lasciare Israele per l'Europa, mentre gli altri 10.000 lo avrebbero fatto nei successivi cinque anni.

 

Uno scenario che ha provocato ieri e stamattina le proteste dei residenti delle aree meridionali di Tel Aviv, con alcuni manifestanti riunitisi anche di fronte all'ufficio del premier a Gerusalemme e davanti la residenza del ministro delle Finanze Moshe Kahlon ad Haifa (La Stampa, The Washington Post).

 

PROTESTE IN ISRAELE CONTRO LA DEPORTAZIONE DEI MIGRANTI

In mattinata, quindi, Netanyahu - accompagnato dal ministro dell'Interno Aryeh Deri - ha incontrato presso la base delle Idf di Kirya, a Tel Aviv, i membri del "South Tel Aviv Liberation Front", che sostiene l'originario piano di deportazione bocciato dalla Corte Suprema. A margine dell'incontro il premier, che aveva già annunciato la sospensione dell'accordo con l'Onu in un post su Facebook nel corso della notte, ha deciso quindi per il suo definitivo annullamento (Il Fatto Quotidiano).

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