LA VERSIONE DI MUGHINI - A DIFFERENZA DI NINA MORIC, SABRINA FERILLI O PIERO PELÙ, MI ERO GUARDATO BENE DALL’ANNUNCIARE IL MIO INTENTO PER IL REFERENDUM. OVVIO CHE NON SAREI ANDATO A VOTARE. QUANDO IL NOCCIOLO DEL VOTO È UNA TALE STRONZATA, UN LEADER POLITICO RESPONSABILE HA TUTTO IL DIRITTO DI INVITARE AD ANDARE AL MARE
Lettera di Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, a differenza di altri noti pensatori contemporanei quali Nina Moric, Sabrina Ferilli o Piero Pelù, mi ero guardato bene dall’annunciare al mondo come avrei votato per il referendum di domenica scorsa, se dire sì o no al nulla che ne costituiva l’essenziale. Ovvio che avevo deciso dal primo istante che non ci sarei andato affatto a votare una questione insussistente, ossia se l’autorizzazione a trivellare in certi luoghi del Mediterraneo sarebbe stata prorogata di tot mesi o di tot mesi più uno.
E siccome, a differenza di molti dei giornalisti del “Fatto” (di cui vedo oggi un titolo di prima pagina che indica noi “non votanti” come correi e complici del noto criminale politico Matteo Renzi), ho i capelli bianchi, e dunque ho vissuto in prima persona e in prima fila le emozioni dei grandi referendum della storia repubblicana, quello sul divorzio e quello sull’attenuazione della scala mobile, adesso che si è spenta la eco provocata dalle dichiarazioni, adesso lo posso dire.
Quando il nocciolo del referendum è una tale stronzata, un leader politico responsabile ha tutto il diritto di invitare noi cittadini repubblicani ad andare al mare il giorno della votazione. Lo dico perché trent’anni fa io mi sono comportato all’opposto di oggi, quando Bettino Craxi (che aveva perfettamente ragione) disse che il referendum sulla “preferenza unica” sollecitato da Mario Segni era una gran stronzata ed era meglio andarsene al mare.
Quel referendum era un’ubbia cara a quel galantuomo (e suicida politico) che era Mario Segni. Imponendo agli elettori di mettere un solo nome sulla scheda elettorale, e non invece le tre o quattro che si potevano indicare prima del referendum, lui pensava di soffocare le alchimie losche all’interno di ciascun partito e dunque di creare una sorta di “telefono rosso” tra ciascun elettore e i candidati più pregevoli.
Era il tempo aurorale della campagna contro la “casta” dei vari partiti, campagna che a me stava a fagiolo, e perciò abboccammo tutti all’esca offerta da Segni. Nell’idea di migliorare la qualità della politica repubblicana, andammo a votare in massa e Craxi e il suo invito ne furono umiliati (cominciò lì l’agonia terminale della Prima repubblica).
Naturalmente la qualità della democrazia repubblicana non ne migliorò affatto. Votare un unico candidato non poteva non premiare i candidati più ricchi, con maggiore visibilità, quelli che più degli altri garantivano “un voto di scambio”.
Loro ne venivano premiati, non i candidati la cui silhouette assomigliava di più a quella di San Francesco d’Assisi. Sono decenni che mi mordo le mani per essere accorso a quell’inutilissimo referendum: ricordo che qualche giorno prima della votazione, eravamo a cena da Angelo Rizzoli jr, mi trovai di fronte Claudio Martelli al quale dissi che sulla questione del referendum ero contro il suo partito, di cui invece avevo approvato entusiasticamente la posizione assunta sul referendum/scala mobile. Ancora me ne mordo le mani.
L’avevo bevuta che quel referendum fosse una pugnalata al costato degli aspetti più loschi della partitocrazia. Ubbie.
La questione dell’eventuale antinomia tra limpidezza del mare e utilità (assoluta) del petrolio che ricaviamo dalle trivellazioni è ovviamente importante. Solo che non è questione da referendum, un sì o un no. Lo possono decidere 100 specialisti dell’argomento, gente che sappia calcolare al millimetro i relativi vantaggi e svantaggi, altro che un sì o un no assoluti. Non è questione da sottoporre ai gran numeri della cittadinanza repubblicana, a quelli che non leggono un giornale nemmeno morti e che si nutrono di televisione nazionalpopolare.
Peggio ancora, a quelli che pur di dare un calcio negli stinchi al noto criminale politico Matteo Renzi farebbero un referendum persino sulle camicie che porta. Non è così che intendeva il referendum quello che negli anni Settanta, a forza di bancarelle messe per strada, è stato il padre fondatore di questo istituto della democrazia moderna, Marco Pannella.
matteo renzi e agnese landini al voto a pontassieve 9
Il sì o no sul divorzio. Decine e decine di milioni di italiani che erano toccati in prima persona dalla questione e sapevano di che cosa si stesse parlando. A cominciare dai miei genitori separati.
Giampiero Mughini