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CASA MORIC: “NON MI SONO CANDIDATA CON ‘CASA POUND’ PERCHE’ CON UNO SHOOTING FOTOGRAFICO DI QUALCHE ORA GUADAGNO TANTO QUANTO UN PARLAMENTARE. NON MI INTERESSA LA POLTRONA. E POI SI E’ CANDIDATO IL MIO FIDANZATO: SFIDERA’ NELL’UNINOMINALE A MILANO LA BOLDRINI E TABACCI. VUOI CHE NON VINCA?”
Ilaria Pedriali per “Libero Quotidiano”
Nina Moric è un vulcano. Esuberante, irruenta, incontenibile, una donna di pancia. O piace o non piace, non ci sono mezze misure. Da qualche tempo ha dato il suo endorsement a CasaPound, i cosiddetti "fascisti" del terzo millennio, e va in tv a difendere e a esporre alcune delle idee che il movimento diventato partito porta avanti. Cerca di parlare laddove gli esponenti di CasaPound vengono fatti tacere. Tanto che sono in molti ad aver pensato che il suo fosse uno dei volti di punta delle liste della tartargua frecciata.
Nina, perché non si è candidata?
«Perché non ambisco a una poltrona, né ad avere soldi pubblici. Ho già un lavoro e con uno shooting fotografico di qualche ora guadagno tanto quanto un parlamentare in un mese. E poi in CasaPound ci sono persone, più o meno giovani, che hanno meritano più di quanto merito io, si dedicano alla politica da anni. È giusto che vadano avanti loro. Io mi limito ad appoggiare CasaPound, a tifare per loro, li voterò perché grazie a loro sto imparando davvero molto. Ma ho preferito fare un passo indietro. Io la poltrona non la voglio».
In casa però ha un fidanzato che si è candidato con CasaPound.
“Sì, Luigi (Favoloso, in lizza alla Camera per l'uninominale a Milano, ndr), il mio compagno. Sfiderà la Boldrini e Tabacci. Vuoi che non vinca? Soprattutto dopo che la Boldrini ha detto di non votarlo? Fosse anche solo per un dispetto sono sicura che in molti lo voteranno. Il ragazzo è in gamba, ve lo assicuro».
Perché la passione per la politica estera?
NINA MORIC CON IL FIGLIO CARLOS
«Perché da quando mi sto informando dalla tv e dai giornali su quanto accade nel mondo ho voluto approfondire e andare a toccare con mano. Perché la realtà è ben diversa da quella che viene raccontata. E così ho deciso di partire. Quest'estate sono andata in Iraq, a Erbil e a Mosul, poi sono stata in Giordania, e l'ultimo viaggio è stato in Libano e Siria, dove e ho promesso di tornare. Quei bambini che ho incontrato nei campi profughi mi hanno rapito il cuore».
Com'è andata in Siria?
«Da turista».
Prego?
«Sì, grazie a un sacerdote sono riuscita a avere il visto in tre giorni. Mi sono appoggiata alla Fondazione don Bosco, i salesiani. Tra loro c'è don Shadi, un prete siriano che ha vissuto in Italia. Lui si è occupato di tutto e siamo riusciti a partire. Era poco prima di Natale e per me è stato un regalo grandissimo. Ero felicissima, mi sono sentita fortunata».
Milano, Damasco, via Beirut però.
«Sì. Siamo partiti e la prima tappa è stata Beirut, qui ho visitato il campo profughi di Shatila, dove vivono i palestinesi dal 1948. Quello che più mi ha colpito di queste persone è l'attaccamento alle loro radici. Sono in Libano da decenni, ma continuano a sentirsi palestinesi e coltivano il sogno di tornare a casa loro.
Ci hanno accolto molto bene, perché loro alla fine hanno solo bisogno di sentirsi ascoltati e di poter raccontare le loro storie, di ricevere un po' di attenzione e di affetto. Ho giocato a calcio con questi bambini, il video l'ho postato su facebook e molte tv mediorientali lo hanno trasmesso. Per me l'incontro con questa realtà ha significato molto perché ho avuto l'opportunità di essere di nuovo madre. Per di più a Natale».
Ma lei mamma lo è davvero.
«Sì, però il fatto che un giudice abbia deciso che io possa vedere mio figlio solo un'ora alla settimana e sempre alla presenza di un educatore mi destabilizza. Non posso parlare da sola con lui, anche a Natale ho potuto fargli gli auguri solo al telefono, ma in vivavoce perché la nonna ascoltava. E il dolore più grande l'ho avuto sapendo che con la mia ex suocera e mio figlio c'era anche mia madre a festeggiare la notte di Natale.
Io non provo rancore per loro, perché non ci sono madri perfette e non ci sono figlie perfette. Vorrei solo poter tornare a essere la madre di mio figlio. Quando ero a Beirut quei bambini li sentivo tutti miei figli. E questo mi ha dato tanta forza perché l'ho visto come un riscatto nei confronti della mia situazione, in cui mi stanno portando via tutto quanto ho di più caro al mondo. Non vedo santi intorno a me. Mi sono fatta un esame di coscienza ma non posso pagare all'infinito per errori che non ho commesso».
luigi mario favoloso e alberto dandolo a m2o
Torniamo alla Siria. È andata anche in tv a Damasco.
«Da Beirut siamo andati alla frontiera e lì è successa una cosa bellissima. Al controllo passaporti c'era un uomo che quando ci ha visti ci ha chiesto se eravamo cristiani e gli si sono illuminati gli occhi perché anche lui lo era e ci ha abbracciati. Mentre ero a Damasco mi hanno invitata a una trasmissione tv. Ho parlato di Siria, di quello che stavo vedendo, e delle assurdità sulla guerra che vengono raccontate da noi, dove si sente che il colpevole è solo il presidente Assad.
Non è così. Lui è l'unico scudo contro l'Isis. E io penso che si debba partire dalla Siria per trovare la pace nel mondo intero. Damasco è una città bellissima, in un post sui social facendo una battuta ho detto che sembra Sesto San Giovanni, ma con meno jihadisti. Era per dire che è un posto tranquillo, almeno il centro città, dove si può girare senza problemi. Certo, in periferia la cosa è diversa. Ma a Damasco io andavo a messa tutte le mattine alle 7, il tragitto dall'hotel era di una decina di minuti a piedi e nessuno mi ha mai dato fastidio».
Scontata la battuta sulla via di Damasco...
«La svolta umanitaria ha subito un'accelerata a causa della vicenda di mio figlio. Io ho un forte istinto materno e sento il bisogno di esprimerlo. Ma la Siria mi ha riavvicinato molto a Dio. Mi sono confessata dopo molti anni, e il prete mi ha detto che devo liberarmi dai miei sensi di colpa. Ho iniziato l'anno facendo la Comunione.
Ho conosciuto le suore dell'ospedale Don Bosco, dove ci sono anche tre sorelle italiane. Sono donne meravigliose, curano bambini, soldati, chiunque. E poi ho potuto vedere la straordinaria realtà dell'orfanotrofio di Bab Tuma, dove ci sono ragazze cristiane, la più piccola ha 8 anni. È gestito da una donna di 70 anni, una specie di casa famiglia. Qui vive un ragazza che ha visto sgozzare dai miliziani dell' Isis la famiglia intera. Oggi non parla più, però mi ha abbracciata. Una realtà quella di Bab Tuma dove nessuna ong, nemmeno l'Onu, aiuta».
Ha il dente avvelenato contro le ong?
«Ma no. Solo che prima del primo viaggio mi ero rivolta all'Unicef e a Save The Children per capire se potessi appoggiarmi a loro. Ho ancora le loro mail, per cui non temo smentite, in cui dicono che non erano interessati e che per in Siria o a Mosul sarebbe stato possibile andare solo se avessi lasciato una lauta donazione. Allora mi sono arrangiata. Ho parlato con i salesiani. Almeno loro il bene lo fanno senza chiedere niente in cambio».
nina moric
nina moric
nina moric luigi mario favoloso
nina moric luigi mario favoloso
nina moric luigi mario favoloso
nina moric luigi favoloso