FUGHE DI NOTIZIE - PIGNATONE: ''LA COLPA E’ DI CHI FA LE LEGGI, NOI LE APPLICHIAMO'' – I DANNI IRREPARABILI PRODOTTI ALLA PRIVACY: ''ABBIAMO DATO INDICAZIONE DI NON TRASCRIVERE LE INTERCETTAZIONI CHE NON RIGUARDANO DIRETTAMENTE LE INDAGINI''
Intervento di Giuseppe Pignatone pubblicato da la Repubblica
Caro direttore, nel dibattito pubblico sulla giustizia, tra gli addetti ai lavori ma non solo, le "fughe di notizie" con la violazione della privacy e della reputazione che spesso ne conseguono (la cosiddetta "gogna mediatica"), vengono costantemente indicate come uno dei problemi più gravi del momento. Anche per questo mi sembra opportuno definire con maggior esattezza i termini della questione per non alimentare la confusione che - più o meno involontariamente - viene da più parti suscitata.
Le vere "fughe di notizie" sono propriamente quelle che rivelano informazioni segrete (per esempio, l' iscrizione nel registro degli indagati, l' attività di intercettazione in corso). Tali propagazioni hanno come beneficiari, di regola, le persone coinvolte nelle indagini e altre volte - molto meno frequentemente di quanto si creda - gli organi di informazione. In tutti questi casi le indagini vengono più o meno gravemente danneggiate e la divulgazione delle notizie è spesso strumentale al raggiungimento di obiettivi che nulla hanno a che vedere con il processo e la ricerca della verità. Ai miei occhi, questo è un reato gravissimo.
Ma viene punito dal Codice penale, all' art. 326, con la pena massima di tre anni, che non consente di adottare misure cautelari né di disporre intercettazioni per tentare di risalire alle fonti. Tale impossibilità, unita al diritto del giornalista al segreto professionale, contribuisce a rendere estremamente difficile individuare il responsabile della rivelazione, anche perché la notizia "segreta" viene necessariamente a conoscenza di un numero non esiguo di persone (magistrati, loro collaboratori, personale di polizia giudiziaria) e, ancora, perché la moderna tecnologia consente di trasmettere notizie e documenti senza lasciare traccia.
Queste rivelazioni, pur estremamente gravi, sono però una parte minima di quelle che il dibattito pubblico definisce "fughe di notizie". La quasi totalità di esse, infatti, è in realtà costituita dalla divulgazione di notizie o atti non più segreti: in base alle norme, infatti, il carattere di segretezza viene meno quando l' atto può essere conosciuto dall' indagato o dal suo difensore e comunque al termine delle indagini preliminari (art. 329). Non sono quindi "segreti", per esempio, l' interrogatorio dell' indagato, l' ordinanza di misura cautelare, un sequestro o una perquisizione, l' avviso di garanzia notificato, le intercettazioni depositate e molti altri atti.
Sono proprio questi gli atti e le notizie che riempiono ogni giorno le pagine dei giornali e degli altri media, non perché siano "fuggite", ma perché legittimamente in possesso di tutti i soggetti interessati. E sono queste stesse notizie, nella loro oggettività o nell' uso che i mass-media ne fanno, che possono incidere, anche in modo gravissimo, sulla privacy e sulla reputazione dei cittadini divenendo in alcuni casi un' autentica "gogna mediatica".
Per questo genere di notizie non più segrete, però - e ripeto che si tratta della quasi totalità dei casi - non può essere sollevato un problema di tutela del segreto. Esiste, invece, il problema di stabilire un punto di equilibrio tra quattro ordini di interessi, tutti di rilievo costituzionale: il diritto dello Stato di svolgere le indagini sui reati, specie quelli più gravi, e punirne i responsabili; il diritto di difesa (che esige la conoscenza degli atti); il diritto all' informazione e alla libertà d' espressione; il diritto alla privacy. È evidente che è compito del legislatore trovare questo (difficile) punto di equilibrio. Ed è altrettanto evidente come fino a oggi questo compito non sia stato assolto.
In estrema sintesi, il Codice si limita a stabilire il divieto di pubblicazione degli atti prima che essi siano oggetto della pubblica udienza. Si tratta però di una norma farisaica che tradisce la cattiva coscienza del legislatore. La sua violazione da parte del giornalista è punita infatti con l' ammenda da 51 a 258 euro e può essere oggetto di oblazione, perdendo così ogni rilievo penale. Il risultato dell' indifferenza del legislatore è quello che vediamo ogni giorno: il sacrificio, non sempre indispensabile, del diritto alla privacy e alla reputazione.
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Naturalmente, il punto più delicato e sensibile è costituito dalle intercettazioni, specie quelle ambientali, che entrano nella vita privata delle persone, rivelandone a volte anche gli aspetti più intimi. Di fronte alla gravità del problema e in assenza di iniziative legislative, un anno e mezzo fa la Procura di Roma ha impartito precise direttive alla polizia giudiziaria e ai magistrati per limitare la trascrizione delle intercettazioni - primo passaggio indispensabile per portare gli atti a conoscenza di tutti gli interessati - a quelle realmente rilevanti ai fini dell' indagine, prestando ogni possibile attenzione al rispetto della privacy delle persone intercettate, specie quando non indagate.
Altre Procure hanno poi adottato direttive analoghe, tanto che il Consiglio Superiore della Magistratura ha emanato una circolare che va nella stessa direzione. E il Parlamento sta per approvare un disegno di legge delega di (parziale) riforma della disciplina delle intercettazioni il cui principio base è proprio quello di inserire negli atti processuali solo le conversazioni rilevanti. Il legislatore ha voluto compiere un deciso passo in avanti verso una maggiore tutela della privacy a scapito della libertà di pubblicare, come oggi avviene, in assenza quasi sempre di self restraint degli operatori dell' informazione, qualsiasi notizia emerga dalle indagini. Solo la concreta attuazione delle norme ci dirà se l' obiettivo sarà raggiunto e, soprattutto, che non siano sacrificati il diritto di difesa e il diritto dello Stato di perseguire i reati.
Resta, ed è bene dirlo, un punto cruciale. Il concetto di "rilevanza ai fini di indagine" di una conversazione intercettata va definito in relazione al caso concreto: sarà ben difficile, per esempio, ritenere irrilevanti i contatti, anche se di per sé di contenuto lecito, di un mafioso con amministratori e uomini politici o quelli di un "faccendiere" al centro di una rete corruttiva con imprenditori e pubblici funzionari.
Un'ultima considerazione di carattere più generale. Credo che vi sia un preciso interesse pubblico a che i cittadini possano conoscere, naturalmente secondo le regole di legge, quello che la magistratura fa e che abbia un rilievo nella vita sociale: perché una persona viene arrestata e poi assolta o condannata, perché un' azienda viene sequestrata, perché un delitto eclatante rimane irrisolto. Questa conoscenza, infatti, è la premessa necessaria per il controllo democratico su qualsiasi forma di potere e di attività pubblica.
giovanni canzio andrea orlando
I giudici spiegano le loro decisioni con le sentenze; anzi, la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione da qualche tempo diffondono brevi note informative prima del deposito delle motivazioni. Anche le Procure a mio avviso, devono soddisfare questa esigenza di comunicazione rispettando le regole di sobrietà e di imparzialità. Il resto dipende dai mezzi di informazione, nella loro libertà e responsabilità che costituisce il vero antidoto a un' informazione inadeguata o, peggio, manipolatrice.