PORPORE INFUOCATE - OUELLET RISPONDE A DOLAN E AI CARDINALI USA CHE ASPETTANO LA CACCIATA DI BERTONE: “LA RIFORMA DELLA CURIA SI FARÀ”

Matteo Matzuzzi per il "Foglio"

"La riforma della curia ci sarà" e si tratterà di qualcosa di "importante". Non si tratta più di indiscrezioni giornalistiche né di anticipazioni rivelate da anonime fonti dei sacri palazzi sulle prossime mosse autunnali di Papa Francesco. A dirlo, nella tranquillità di Rocamadour, uno dei "plus beaux villages de France", è il cardinale Marc Ouellet, prefetto della congregazione dei Vescovi.

E' lì, in occasione della festa dell'Assunzione, che il porporato canadese, già arcivescovo di Québec e strettissimo collaboratore di Benedetto XVI (è membro associato della rivista Communio, creatura di Ratzinger e Von Balthasar), ha spiegato che Bergoglio ha le idee ben chiare su ciò che dovrà cambiare nella gestione del governo vaticano. D'altronde, spiega Ouellet, questo "è il momento giusto per fare la riforma e per Francesco sarà più facile attuarla, visto che viene da lontano, è più libero e può agire più facilmente" rispetto al predecessore.

Certo, neppure per il gesuita preso alla fine del mondo che all'Angelus parla di panna e torte - "vivere la fede non è decorare la vita con un po' di religione, come se fosse una torta e la si decora con la panna", ha detto domenica scorsa -, la strada è priva di ostacoli. Il suo stile, qualche volta, crea incomprensioni tra chi in curia lavora da tempo, come dimostra l'assenza al concerto di fine giugno organizzato nell'Aula Nervi: "E' stato uno choc", dice Ouellet al Figaro, chiarendo subito che la rinuncia all'evento mondano era dovuta agli incontri con i nunzi giunti a Roma da tutto il mondo.

"Il Papa non fa le cose a metà, le decisioni che prende sono ragionate", aggiunge. Un commento che sa tanto di risposta anche a quei settori del collegio cardinalizio che iniziano a mostrare segni di insofferenza per l'attendismo di Jorge Mario Bergoglio circa la rivoluzione della curia da più parti invocata nelle congregazioni generali che hanno preceduto il Conclave dello scorso marzo.

"Noi volevamo anche qualcuno con buone capacità manageriali e di leadership, e fino a oggi ciò non si è visto molto", diceva qualche settimana fa al National Catholic Reporter l'arcivescovo di New York, Timothy Dolan. La questione centrale, chiariva il cardinale americano, è la mancata sostituzione del segretario di stato, Tarcisio Bertone: "Mi aspetto che dopo la pausa estiva si concretizzi qualche segnale in più in merito al cambiamento nella gestione", aggiungeva.

L'ESEMPIO DELLA CHIESA ORTODOSSA
Eppure, l'impronta di Francesco nel governo della Santa Sede inizia a vedersi. Con i tempi giusti, senza clamori o rumorosi amoveatur. A inizio agosto, il Papa ha rimosso l'elemosiniere, mons. Guido Pozzo, nominandolo segretario della Pontificia commissione Ecclesia Dei. Un ritorno al passato, nel posto che Pozzo aveva occupato fino allo scorso novembre, quando Benedetto XVI aveva deciso di promuoverlo. Dietro la repentina sostituzione, si dice, c'è la volontà di Francesco di riaprire il dialogo con la Fraternità San Pio X, da mesi bloccato.

E Pozzo è l'uomo giusto, visto che per tre anni (dal 2009 al 2012) ha gestito quel dossier. Al suo posto, Bergoglio ha scelto il polacco Konrad Krajewski, cerimoniere pontificio che ha accompagnato il Pontefice anche nel recente viaggio in Brasile.

Si tratta di piccoli cambiamenti in attesa della tre giorni di riunioni del consiglio degli otto cardinali incaricati di studiare l'aggiornamento della costituzione apostolica "Pastor Bonus" che regola il funzionamento della curia. I porporati (già in costante contatto con Francesco) si incontreranno a Roma a inizio ottobre e Francesco sarà presente.

Sarà lì che si deciderà come riformare il governo della chiesa universale. Qualche idea c'è già, dice al Catholic Register il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e membro del consiglio nominato da Jorge Mario Bergoglio: "Si parla di predominio italiano (in curia, ndr) e questo è stato uno dei punti critici", anche perché "la chiesa è universale".

Il futuro, chiarisce il porporato indiano, è una più forte sinodalità, "come è stato nella chiesa dei suoi primi milletrecento anni e come è ancora oggi nella chiesa ortodossa". L'importante, alla fine, è che la chiesa "si apra al mondo", senza pensare troppo alle "nazionalità dei membri della curia e ai parrocchialismi locali".

 

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