MAFIANDO CHE MAFIA TI FO - LA CASSAZIONE VUOLE VEDERCI CHIARO SULLE ACCUSE DEI PM DI CALTANISSETTA SULLA TRATTATIVA STATO-MAFIA: “VALUTEREMO SE SONO ACCUSE O CRITICHE” - I PM NISSENI: “SI RISCHIA DI VANIFICARE IL LAVORO DI UNA VITA” - ACCUSE CONTRO L’EX MINISTRO DELL’INTERNO MANCINO E CONTRO FANTOMATICI POLITICI “SMEMORATI”: NELLE CARTE È TUTTO “VEROSIMILE” E “PROBABILE” SULLA BASE DI INDIZI “NON SUFFICIENTI A DELINEARE NESSUNA RESPONSABILITÀ PENALMENTE APPREZZABILE”…

Riccardo Arena per "la Stampa"

La Procura generale della Cassazione chiede le carte: vuole leggere quelle pagine in cui i magistrati di Caltanissetta parlano di politici smemorati e di amnesie istituzionali sulle stragi, su via D'Amelio in particolare. Le pagine in cui il Gip nisseno Alessandra Giunta dà per certa la trattativa fra Stato e mafia e parla, fra gli altri, dell'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, che fu anche vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. E che i pm ritengono sia a conoscenza delle interlocuzioni con esponenti di Cosa Nostra nel periodo delle stragi.

L'iniziativa dell'ufficio diretto da Vitaliano Esposito è, almeno per adesso, conoscitiva e appare avere un'unica finalità: la Procura generale della Cassazione infatti non agisce come organo di coordinamento, né si interessa al merito delle indagini delle singole Procure; è piuttosto titolare dell'azione disciplinare nei confronti dei magistrati e dunque la valutazione delle carte ha un solo obiettivo: capire se negli atti dell'inchiesta il gip o il pm siano andati oltre il seminato.

E dunque se possano o meno essere passibili di iniziative di competenza del pg della Suprema Corte, che divide col ministro della Giustizia la possibilità di proporre l'azione disciplinare al Csm. «Non sono sentenze, sono solo ipotesi ancora da valutare - chiosa un membro del Csm - e dunque va valutato se e quanto si possano spingere sul terreno della critica e dell'accusa nei confronti di persone non indagate».

La richiesta è stata fatta al pg di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, che l'ha a sua volta girata al capo della Procura, Sergio Lari. L'atto proveniente dal Palazzaccio non è motivato, ma fa riferimento solo a un articolo del Fatto del 9 marzo scorso, in cui Marco Travaglio ricostruiva i contenuti dell'ordinanza di custodia con cui, il giorno prima, erano state arrestate cinque persone. Ora nell'ufficio nisseno c'è sconcerto e preoccupazione per un'iniziativa che, comunque la si valuti, rischia di demotivare o delegittimare il complesso lavoro svolto dalla Procura.

«Ci sono quattro anni della nostra vita, in questa indagine - dice Lari - e le ricostruzioni sulla smemoratezza sono ancorate a dati di fatto precisi. Va letta, in particolare, la nostra richiesta di custodia cautelare». E non è escluso che la prossima richiesta del pg della Cassazione sia proprio questa.

Nelle carte mandate al gip, con le quali tra l'altro Lari e i suoi aggiunti Domenico Gozzo e Amedeo Bertone hanno scagionato mafiosi in galera da dieci e più anni, si ipotizza «la conoscenza della trattativa da parte dell'onorevole Mancino... Nuovi importanti indizi sono stati acquisiti al riguardo, ma non sono tuttavia allo stato sufficienti a delineare alcun tipo di responsabilità penalmente apprezzabile». E sempre nella richiesta di custodia ci sono passaggi molto duri sulla classe politica dell'epoca: «Rimane accertato un quadro certamente fosco di quel periodo della vita democratica di questo Paese. Quadro che, allo stato, comunque, non ci consegna alcuna responsabilità penale di uomini politici allora al potere».

Fra coloro che erano stati chiamati in causa anche ex ministri come Virginio Rognoni e Giovanni Conso, per ciascuno dei quali manca però sempre un elemento che possa delineare eventuali responsabilità penali. Mentre sulla responsabilità politica le valutazioni rimangono dure: «Poteva un governo di transizione, che voleva prefigurare una nuova Italia, permettersi di trattare apertamente con la mafia? Ecco, dunque, la necessità di agire senza clamore. Ecco, dunque, il verosimile motivo di tante amnesie da parte di uomini di Stato, che per alcuni sono durate 17 anni, per altri continuano, probabilmente, a perdurare ancora oggi».

 

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