IL PAPA IN TRINCEA - BENEDETTO XVI IN LIBANO TRA I CARRI ARMATI SCHIERATI E I FEDELI TENUTI A DISTANZA - “MAI PENSATO DI DESISTERE DA QUESTA VISITA”: RATZINGER IN PIENA BUFERA ANTI-OCCIDENTE (COINCIDENZA?) INCORAGGIA IL “RINNOVAMENTO DELL’INSIEME MILLENARIO DI CRISTIANI E ARABI CHE NON POSSONO NON VIVERE INSIEME” - IL PATRIARCA MELCHITA LA BUTTA IN POLITICA E CHIEDE IL RICONOSCIMENTO DELLO STATO PALESTINESE…
Giacomo Galeazzi per La Stampa
«Sono qui come pellegrino di pace, amico di tutti». Benedetto XVI entra in punta di piedi nel Medio Oriente in fiamme: sa che ogni passo può essere un inciampo. In strada sono schierati i carri armati, studenti delle scuole cattoliche e scout in divisa salutano il blindatissimo corteo papale mentre al passaggio si ritraggono donne avvolte in teli neri e uomini con lunghe barbe. Dal Nord del Libano arrivano bagliori di morte, l'atmosfera è silenzio surreale.
Il Papa cammina appoggiandosi al bastone ma la sua linea d'azione è sicura. Tende la mano alla Primavera Araba, condanna il fondamentalismo, esorta i cristiani assediati dalla marea islamista a «non avere paura» e restare nella loro terra, bolla come «peccato grave» il commercio di armi che alimenta il bagno di sangue in Siria.
L'incidente diplomatico si materializza nella cattedrale melkita di Harissa, quando alle parole alte di Joseph Ratzinger («nell'attuale contesto difficile e doloroso occorre ritrovare il perdono che vince sulla vendetta») si contrappone la propaganda del patriarca melchita Gregorios III Laham: «Il riconoscimento dello Stato palestinese è il bene più prezioso che il mondo arabo possa ottenere».
à uno dei viaggi più difficili del pontificato, sia per le lacerazioni contingenti o storiche del Medio Oriente, sia per la complessa architettura di fedi ed etnie che caratterizza il Libano. Nel bel mezzo di anniversari terribili: 11 settembre e massacro di Sabra e Chatila. «Nessuno mi ha mai consigliato di desistere da questa visita né io ho pensato di farlo: più la situazione è complicata più è necessario dare speranza di pace», assicura Ratzinger.
La Siria è lo spettro di centinaia di migliaia di profughi. Anziché armi, «importiamo creatività per rendere visibile il rispetto reciproco». Servono educazione, progetti concreti, aiuti materiali. La «rinnovata identità araba» deve implicare il «rinnovamento dell'insieme millenario di cristiani e arabi che non possono non vivere insieme».
Le rivoluzioni in atto sono un «grido di libertà » che deve però «rispondere al dialogo e non alla dominazione di uno sull'altro». La lotta ai dittatori è espressione di una «gioventù formata culturalmente e professionalmente», che «desidera più partecipazione nella vita sociale», dunque la primavera araba «è una cosa molto positiva e salutata come tale anche da noi cristiani». Nonostante i rischi, insiti in ogni rivolta, di sconfinare «nell'odio e nelle violenze».
All'uscita da ogni incontro, c'è un vuoto angosciante. Avvicinarsi al Papa per i fedeli è un'impresa. Un cordone di soldati li tiene ovunque a distanza. Ma il messaggio raggiungerà ugualmente le nuove catacombe. «Un profeta non ha armi, non ha una politica e la presenza qui di Benedetto XVI sta molto nel solo fatto di esserci», commenta il portavoce vaticano, padre Lombardi.