1- RIGOR MONTIS SAPEVA BENE DEL RITORNO DEL PUZZONE DI HARDCORE TANT’È CHE IERI HA “CELEBRATO” COSÌ LA QUARTA SCESA IN CAMPO(SANTO) DEL CAVALIER POMPETTA: “AL G20 DI CANNES BERLUSCONI È STATO SOTTOPOSTO A UNA PRESSIONE IMMAGINO SGRADEVOLISSIMA E, CREDO PER LUI E PER IL PAESE, PROSSIMA ALL’UMILIAZIONE” 2- A ROMA ARRIVERANNO ISPETTORI DEL FMI PER SEGUIRE I PROGRESSI DEL GOVERNO CON BERLUSCONI CHE REAGISCE DA CITTADINO DELLA COSTA SMERALDA: “LA CRISI È SOLTANTO PSICOLOGICA, NON VEDETE CHE I RISTORANTI SONO PIENI E SUGLI AEREI NON SI TROVA MAI POSTO?”. TEMPO DIECI GIORNI E SALIRÀ AL QUIRINALE PER DARE LE DIMISSIONI 3- L’AVVISO: NELL’ULTIMO MESE MONTI HA EVOCATO UN PO’ TROPPO SPESSO LE PRESSIONI PERCHÉ L’ITALIA RICORRESSE AL FMI. SEGNO CHE IN TANTI, TRA BERLINO E WASHINGTON, SONO PREOCCUPATI CHE ROMA DIVENTI IL POTENZIALE DETONATORE DELL’EURO

Stefano Feltri per il "Fatto quotidiano"

Se davvero Silvio Berlusconi ha intenzione di candidarsi premier per tornare a Palazzo Chigi, è bene che tutti si ricordino che Italia aveva lasciato. Il premier Mario Monti parla all'assemblea dell'Abi e invita a confrontare la situazione di oggi e quella del "G20 a Cannes all'inizio di novembre dell'anno scorso".

In quella riunione, la più drammatica di una lunga lista, Monti non c'era ma di quel summit sa tutto, perché il suo governo è nato di fatto in quelle sale del Palais du Cinéma: "Tutte le testimonianze mi dicono che il mio predecessore presidente Silvio Berlusconi è stato sottoposto a una pressione immagino sgradevolissima e, credo per lui e per il Paese, prossima all'umiliazione".

Le pressioni erano perché Roma, come Atene, capitolasse chiedendo aiuto al Fondo monetario internazionale, ma questo "avrebbe portato l'Italia a cedere buona parte della propria sovranità sulla politica economica".

I fantasmi di quel vertice di Cannes sono il fondamento, solido e al tempo stesso fragilissimo, del governo dei tecnici. Per capirlo bisogna rievocare quelle ore lunghissime, tra il 4 e il 5 novembre 2011. Nella zona rossa di Cannes, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, con il supporto delle istituzioni europee, affondano il governo di George Papandreou: l'idea del premier socialista di fare un referendum sulla permanenza nell'euro viene considerata un affronto. Papandreou viene costretto a ritirare il referendum (che poi la Germania, cambiato parere, proverà a imporre nella campagna elettorale greca) e dopo pochi giorni lascia il governo a Lucas Papademos, il Monti greco.

Sistemata la Grecia, Merkel e Sarkozy passano all'Italia. Il 4, Silvio Berlusconi si riunisce a porte chiuse con la cancelliera, il presidente francese e le altre figure chiave della reazione alla crisi. Giulio Tremonti è preoccupato, da mesi sta tenendo i rapporti con il Fondo monetario internazionale, l'unico organismo in grado di sostenere l'Italia in caso di emergenza, anche chiamando a Roma come consulente del governo l'ex direttore operativo John Lipsky.

Poi in estate è arrivata la lettera della Bce, firmata da Mario Draghi e Jean-Claude Trichet, che ha permesso al governo Berlusconi di sopravvivere, ma ne ha dettato la politica economica. A novembre è chiaro che il Cavaliere non sta rispettando gli impegni e che i mercati (e la politica sensibile alle loro istanze) chiedono la sua uscita. "Giulio, la Merkel e Sarkozy mi hanno voluto con loro, in una riunione solo tra capi di governo. E meno male che non volevano neppure farsi fotografare con me, stiamo tornando tra i grandi", esulta Berlusconi.

L'allora ministro dell'Economia non ritiene opportuno fargli notare che soltanto un altro capo di governo ha ricevuto lo stesso trattamento in quel vertice: Papandreou. Dopo meno di un'ora Berlusconi richiama Tremonti: "Caro Giulio, sono tutti al nostro fianco, Christine ci ha offerto 60 miliardi a un prezzo assolutamente ragionevole. Non è una bella notizia?". Tremonti quasi sviene: il Fondo monetario di Christine Lagarde sta provando a prendere il controllo dell'Italia senza neppure salvarla dal suo debito di 2mila miliardi, ma offrendo peanuts, noccioline, 60 miliardi bastano per un mese.

Anche Mario Draghi è sulla stessa linea: farà notare più volte all'amica Lagarde che il Fmi non può impegnarsi troppo nella crisi europea se non ha risorse all'altezza delle ambizioni. Alla fine a Cannes prevale un compromesso umiliante, per usare le parole di Monti, ma sempre meglio del modello Grecia: a Roma arriveranno ispettori del Fmi per seguire i progressi del governo Berlusconi.

L'Italia viene spedita, per la conferenza stampa conclusiva, all'ultimo piano, lontano da tutti. Meglio così, perché Berlusconi reagisce a modo suo: "La crisi è soltanto psicologica, non vedete che i ristoranti sono pieni e sugli aerei non si trova mai posto?". Tempo dieci giorni e salirà al Quirinale per dare le dimissioni.

Ricordi lontani. O forse no: nell'ultimo mese Monti ha evocato un po' troppo spesso le pressioni perché l'Italia ricorresse al Fmi. Segno che in tanti, tra Berlino e Washington, sono preoccupati che Roma diventi ancora il potenziale detonatore dell'euro. A differenza di Berlusconi, Monti ha risposto attaccando: niente umiliazioni, ma un meccanismo anti-spread che permetta all'Italia di usare le risorse dei fondi Salva Stati europei per stabilizzare il debito sui mercati, senza sottoporsi a condizioni troppo stringenti, perché i conti li ha già in gran parte risanati.

Il progetto sta funzionando, c'è stato il consenso politico a fine giugno nel vertice di Bruxelles e ora si tratta sui cruciali dettagli tecnici. Per ora l'Italia non vuole chiedere l'aiuto anti-spread, dice Monti, ma "sarebbe ardito" escludere l'eventualità. Magari dopo le elezioni. Magari con Berlusconi di nuovo al potere. Ammesso che in quel caso lo scudo anti-spread sia sufficiente.

 

 

 

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