PERSO NELLA NEBBIA – IL PREMIER CAZZARO NON SA CHE PESCI PRENDERE PER IL SINDACO DI MILANO – SALA NON LO CONVINCE FINO IN FONDO, LA GENOVESE BALZANI “NON LA CONOSCE NESSUNO” E ALLA FINE POTREBBE PARTIRE UN NUOVO PRESSING SU PISAPIPPA
Roberto Rho per “la Repubblica”
Alla fine, servirà un nuovo incontro – quantomeno una lunga telefonata – tra Matteo Renzi e Giuliano Pisapia. Un colloquio che dovrebbe avvenire intorno alla metà della prossima settimana e che, allo stato, sembra l’unico modo per sbrogliare la matassa che, anche a Milano, s’è aggrovigliata parecchio.
Siamo a dicembre, a due mesi dalle primarie (7 febbraio, ma slitteranno di una o due settimane), a sei dalle Amministrative e la ritrovata “capitale morale”, la metropoli “con gli anticorpi”, non ha ancora un candidato sindaco della coalizione che l’ha governata, con successo, negli ultimi quattro anni e mezzo. O meglio: di candidati ce ne sono due – l’assessore al Welfare Pierfrancesco Majorino, sinistra Pd, e il parlamentare renziano Emanuele Fiano – ma nessuno è disposto a scommettere che sarà uno di loro a sfidare il centrodestra (in netto ribasso le quotazioni del direttore del “Giornale” Alessandro Sallusti) e il centrista Corrado Passera.
Tutti – da mesi – aspettano la risposta del commissario Expo Giuseppe Sala, il «candidato migliore», secondo la definizione di Renzi. Che, però, quando ne parla ai suoi collaboratori più stretti aggiunge una frase sibillina: «È il migliore, ma mentre lo dico mi rendo conto che c’è qualcosa che non mi convince fino in fondo».
La novità degli ultimi giorni è il gelo tra Pisapia e il commissario Expo. La candidatura di Sala non ha mai entusiasmato il sindaco, il quale però fin qui si era sostanzialmente tenuto fuori dalla partita (dopo l’annuncio, mai spiegato fino in fondo, della sua rinuncia al secondo mandato). Negli ultimi giorni qualcosa è cambiato. I tentennamenti e i continui rinvii della decisione di Sala («non prima di gennaio»).
La sua idea quasi “commissariale” anche della politica: vorrebbe un’investitura ampia e diretta, possibilmente evitando il fastidio delle primarie, e vorrebbe dal governo un’attenzione speciale per Milano anche per il post-Expo. Soprattutto il fatto che il suo nome spacca il “modello Milano”, cioè quella base sociale e politica ampia, dall’associazionismo cattolico ai centri sociali, compresi Pd, Sel e cespugli della sinistra radicale, che è la ragione del successo di Pisapia.
«Sala è una candidatura che divide – è il ritornello che il sindaco ripete da giorni – e non ho ancora capito quale sia la coalizione che lo appoggerà ». Lo hanno capito la sinistra Pd e Sel, per i quali «Sala è la prima incarnazione del renziano Partito della Nazione». Un’idea alla quale certamente contribuiscono gli apprezzamenti per il manager dell’Expo generosamente spesi dagli esponenti del Ncd e il fatto che Sala abbia incontrato neppure troppo riservatamente Maurizio Lupi.
Vista dal punto di osservazione di Sala, la candidatura a sindaco «non l’ho mai sognata, né cercata. Mi è stata proposta, ripetutamente. Ho sempre risposto – ha detto il manager milanese – che se la politica è in grado di esprimere una soluzione, a questa va data la priorità. Ora, dopo tutto quello che ho fatto per questa città mi si dice che il mio nome è “divisivo”. E io ripeto che se esiste una candidatura unitaria, è la benvenuta».
Di più: «Se si cerca una candidatura che unisca, perché Pisapia non si ricandida?». Una provocazione, voluta, che ha fatto definitivamente calare il gelo nei rapporti tra sindaco e commissario. E che segna senza possibilità di equivoco il fastidio di Sala per gli ondeggiamenti del sindaco: prima l’annuncio della rinuncia al secondo mandato, otto mesi di silenzio, poi l’improvviso ritorno al tavolo nel ruolo di colui che distribuisce le carte.
«Di una cosa sono convinto - ha detto ieri sera Sala ricevendo il premio dell’Ispi - che il valore e la linfa di questa città sono molto legati al cambiamento. Cambiando, innovando, si ottiene qualcosa di più». Un modo per ripetere, in parole più eleganti, un concetto già espresso qualche giorno fa: «Io non sono Pisapia».
È in questo quadro di tensioni che nasce e cresce il “piano B”, cioè la ricerca di una convergenza tra Pisapia e il Pd sul nome del vicesindaco Francesca Balzani, Pd ma non renziana, ex europarlamentare, buone sponde nel partito (il ministro Orlando e la vicesegretaria Serracchiani), accreditata di sensibilità politica, prudenza e capacità di piacere a tutti. Balzani è disponibile, a patto che la sua candidatura non sia contrapposta a quella di Sala e che, anzi, sia condivisa dall’intero centrosinistra. Ieri si è incontrata con Majorino: prime schermaglie, nessuno dei due si è scoperto, la sensazione è che il ticket si possa fare.
Ma c’è un “ma” grande come una casa. Francesca Balzani ha un evidente deficit di notorietà, a Milano e soprattutto fuori Milano. E Matteo Renzi, a Milano, non può rischiare di perdere. Si torna al punto di partenza: il premier e Pisapia si parleranno presto. Il sindaco gli spiegherà perché sul nome della Balzani si può tenere unito il centrosinistra e si può provare, con il tempo, a costruire una candidatura vincente. Renzi gli risponderà che ha già tanti problemi altrove, che Sala ha molte più chances della Balzani (i suoi uomini, ieri, l’hanno ripetuto a chiare lettere al segretario del Pd milanese in missione a Roma) e che Sala ha il profilo internazionale che serve a Milano.
Se non troveranno l’intesa su uno dei due nomi – intesa a oggi non semplice – è possibile, anzi probabile, che Renzi torni alla carica con Pisapia, ripetendogli ciò che gli ha già chiesto a metà luglio: «Ricandidati ». In fondo, quello del sindaco in carica è l’unico nome che metterebbe tutti d’accordo e, in una frazione di secondo, spazzerebbe dal tavolo dubbi, polemiche e perfino l’incombenza delle primarie. Fin qui Pisapia ha sempre detto no. Ma non ha mai detto «mai». Con chi ha insistito, in questi mesi, ha lasciato uno spiraglio: «Se tutto dovesse implodere…»