1. SCHIVATO IL TRAPPOLONE SU PREFERENZE E DONNE, RENZACCIO PASSA AL CONTRATTACCO CONTRO LETTIANI E BERSANIANI: “VOLEVANO FARMI FUORI, MA HO VINTO IO” 2. IL BLITZ DELLA MINORANZA PD SULLA LEGGE ELETTORALE NON RIESCE, NELLA NOTTE L’ITALICUM ARRIVA AL TRAGUARDO, STAMATTINA IL VOTO FINALE,IL PATTO RENZUSCONI REGGE 3. LA MINORANZA PD AFFILA I COLTELLI PER IL PASSAGGIO AL SENATO, MA A PALAZZO MADAMA NON C’È VOTO SEGRETO E IMPALLINARE LA LEGGE ELETTORALE SARÀ PIÙ DIFFICILE 4. MATTEUCCIO INCASSA E MENA I “VECCHI” CONGIURATI BINDI, BERSANI E LETTA: “VOLEVANO DIMOSTRARE CHE I NUMERI CE LI AVEVANO LORO, E INVECE NO, CE LI ABBIAMO NOI”

Claudio Tito per "La Repubblica"

In questi giorni non si è discusso di donne. Si è cercata un'operazione politica per dire che io non controllavo il Pd. Usando il voto segreto qualcuno ha tentato la rivincita sulle primarie, qualcuno ha cercato di farmi fuori. E non è passato. Ha perso. La legge elettorale va. Ed è solo il primo passo. Noi stiamo cambiando il Paese». Matteo Renzi è chiuso a palazzo Chigi. La «battaglia » sull'Italicum si è quasi conclusa.

Manca solo l'ultimo tornante, quello del voto finale. Gli scogli più alti per ora sono stati superati. Quello sulla parità di genere e quello sulle preferenze. Il patto con Forza Italia, insomma, ha retto. Anche se con qualche «ammaccatura».

Il premier sa che per un momento il suo governo ha rischiato di sprofondare. Il conflitto dentro il suo partito non è cosa da poco. E tra qualche settimana si trasferirà al Senato. E allora vuole immediatamente aprire un'altra partita. Al suo governo impone una road map piuttosto intensa. L'obiettivo ora è ridurre il cuneo fiscale e pagare i debiti della Pubblica amministrazione. «Mi gioco tutto su questo».

Cammina veloce tra il suo ufficio e quello del sottosegretario alla presidenza del consiglio, Graziano Delrio. Risponde anche alle telefonate che il centralino di Palazzo Chigi vorrebbe girare all'ex sindaco di Reggio Emilia. «Va bene - taglia corto - riferisco io a Graziano».

Il pacchetto all'esame oggi del consiglio dei ministri è nelle loro mani. Al secondo piano di Piazza Colonna c'è una sorta di "gabinetto di guerra". Renzi del resto considera queste misure cruciali. «Sarà un vero e proprio shock positivo. E basta con questa storia che non ci sono le coperture. Ce le abbiamo. Abbiamo trovato 20 miliardi e ne utilizziamo solo dieci».

Legge elettorale e riduzione dell'Irpef. Per il capo del governo sono due facce della stessa medaglia. Nelle sue parole è come se i due temi corressero sullo stesso binario. «Io voglio il cambiamento », ripete. «Sa che è successo in questi giorni a Montecitorio? Non si è votata solo una riforma, si è giocata una partita tra due modelli culturali. E anche se a costo di qualche ammaccatura, abbiamo vinto noi. Volevano dimostrare che sì, mi avevano lasciato il partito. Che sì mi avevano lasciato la presidenza del consiglio, ma che i numeri ce li avevano loro. Che loro potevano ancora essere determinanti. E invece no, i numeri li abbiamo noi». E in quel «loro e noi» si coglie tutto il senso del braccio di ferro che si è consumato nell'aula e nel Transatlantico della Camera.

Si ferma un momento. Prende fiato. Il telefono della linea fissa squilla di nuovo. Uno sguardo e poi torna al punto. «Alla fine - dice abbassando a questo punto il tono della voce - ci hanno messo la faccia i giovani come Speranza. E i trabocchetti sono finiti. Dall'altra parte c'era un'altra generazione, c'era la Bindi e c'erano i lettiani ».

Più che una discussione - sebbene cruenta - sulla riforma elettorale si è dunque giocata l'ennesima resa dei conti dentro il partito Democratico. Generazionale ma anche culturale. E per certi versi si sono fronteggiate anche due opposte visioni "sentimentali" della sinistra. «Ma adesso avverte il premier - bisogna cambiare registro. Nessuno può pensare di andare avanti così. I numeri ora sono chiari e al Senato non si può fare così. Le cose devono cambiare. Anche lì».

Un messaggio piuttosto esplicito a chi dovesse pensare di imbastire anche a Palazzo Madama il tentativo di far fallire la riforma, di incrinare l'accordo con Forza Italia e quindi spingere l'esecutivo sulla via della crisi. Poi certo, spiega, «miglioreremo pure la legge elettorale. Ma adesso da posizioni di forza».

Stesso discorso sulle misure che oggi saranno all'esame del consiglio dei ministri. La premessa è roboante. «Faremo la più impressionante operazione politica mai fatta a sinistra di recupero di potere d'acquisto per chi non ce la fa. Su questo tema ci giochiamo tutto, non sulle alchimie interne. La sinistra è dove si combatte la povertà, non dove sta Rosy Bindi».

Renzi snocciola le cifre: «abbiamo recuperato 20 miliardi, ma ne utilizziamo dieci ». Soldi frutto della spending review, riduzione dei tassi sul debito pubblico, accordo fiscale con la Svizzera, l'Iva sul pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione.

«È una barzelletta che non ci sono e - scandisce ogni singola parola - ci siamo cattivamente impegnati a prenderli. Sa qual è il problema? È che ci siamo trovati dinanzi il potere dei tecnocrati. Non parlo di Padoan con il quale la sintonia è perfetta. Ma di certa tecnocrazia. Solo che ora si sono trovati due sindaci come me e Delrio che sanno come vanno queste cosee certe furbizie non le possono fare. Il gioco delle tre carte è finito».

Probabilmente oggi in consiglio dei ministri i provvedimenti adottati non prenderanno la forma del decreto. «Ma il punto - ripete il segretario del Pd - non è questo. Il punto è che il prossimo 27 aprile i lavoratori si ritroveranno cento euro in più in busta paga. Dal 27 aprile». «Noi - insiste - vogliamo dare quei soldi in modo tale che chi guadagna 1200 o 1300 euro mese possa dare qualcosa in più alla famiglia.

Voglio che un padre possa dare 20 euro in più al figlio magari solo per andare a mangiare una pizza. Che una madre possa trovarsi nella sua borsa 50 euro in più per fare la spesa e per comprarsi qualcosa di cui sente il bisogno da tempo. Questa è sinistra. Questa è la manovra più di sinistra degli ultimi anni: dare a chi ha un reddito basso 1000 euro in più l'anno».

Nel frattempo, però, sia dalla Confindustria sia dalla Cgil piovono un bel pò di critiche. Gli industriali perché nel pacchetto di provvedimenti non si parla di riduzione dell'Irap e la Camusso perché reclama maggiore attenzione ai ceti più deboli. «Lo so che protestano - dice ora con un soffio di voce - ma lo fanno perché questa manovra la facciamo senza consultarli. Io non voglio parlare a loro. Voglio parlare alle maestre, alle zie, alle persone normali. E poi la verità è un'altra: loro non protestano per il merito ma perché hanno capito che questo governo non accetta la loro mediazione. Noi, se così si può dire, vogliamo "disintermediare" ».

Renzi alla fine si fa sfuggire che anche per gli imprenditori, oggi potrebbe esserci una «sorpresa». Ma il punto, ritorna al punto di partenza prima di rientrare nella stanza di Delrio, è che «adesso c'è la speranza di cambiare le cose. Variamo questi provvedimenti, approviamo la legge elettorale, e poi pensiamo al Senato, alla giustizia e a tutto il resto. Nonostante i tanti che vogliono frenare l'Italia sta già cambiando. Ma qualcuno non se ne vuole accorgere».

 

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