QUANTO CI COSTEREBBE LASCIARE L’EURO? ALMENO 358,6 MILIARDI, OVVERO I CREDITI E LE PASSIVITÀ DELL’ITALIA NEI CONFRONTI DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA - UNA CIFRA IMMANE, DA SALDARE SUBITO, CHE EQUIVALE PIU’ O MENO A UN SESTO DEL NOSTRO PIL - LO HA SPIEGATO DRAGHI. ECCO COSA HA DETTO
Ugo Bertone per Libero Quotidiano
358.600.000.000.000. Euro più, euro meno è questo il conto che potrebbe essere presentato all'Italia il giorno in cui il Bel Paese decidesse di uscire dal sistema della moneta unica. È quanto si ricava dalla lettera con cui Mario Draghi ha risposto all'interrogazione presentata da due deputati italiani: Marco Valli (M5S) e Marco Zanni, ex grillino passato nelle fila dell'Enf.
I due parlamentari si erano limitati a chiedere una valutazione della banca centrale sull'incremento del debito italiano secondo il Target 2, che registra il passivo del Paese sul sistema di pagamento dell'Eurosistema, ormai ben oltre il record negativo toccato nell'agosto 2012, a ridosso dell' appello di Mario Draghi a difendere l' euro «a qualsiasi costo». Il quadro oggi non è altrettanto drammatico, rileva il presidente della Bce, perché buona parte dei movimenti si spiegano con gli acquisti di titoli da parte delle banche centrali collegati al programma di Quantitative Easing.
Ma il colpo da maestro il presidente della Bce lo riserva alle ultime righe: «Se un Paese» ha scritto «lasciasse l'Eurosistema, i crediti e le passività della sua banca centrale nei confronti della Bce dovrebbero essere regolati integralmente». Ovvero i 358,6 miliardi di passivo che oggi rappresentano il saldo passivo dell'azienda Italia verso il sistema andrebbero regolati a vista, pena l'esclusione della nuova moneta dal sistema dei pagamenti internazionali. Non è una grande novità.
Ma non è certo per caso che Draghi, ieri a Santena per ricevere il premio Cavour, ha voluto fare, per la prima volta, le cifre di un possibile divorzio. Perché? Mister euro ha probabilmente voluto svegliare l'attenzione della politica italiana convinta, a torto, che il sistema possa andare avanti all'infinito. Al contrario, ha detto ieri il banchiere rifacendosi allo statista piemontese, «a lui fu sempre chiaro che il rapporto con l'Europa sarebbe stato fertile se il Paese avesse appreso a progredire e a crescere anche da solo. Altrimenti, la sua stessa indipendenza sarebbe stata compromessa».
Fin qui la lettura «europeista». Ma Draghi, facendo le cifre, ha segnalato per la prima volta che l'adesione dell'Italia all'Eurozona (così come della Spagna o della stessa Francia) non è necessariamente per sempre, ma può essere rivisto. Certo, la cifra, pari più o meno ad un sesto del prodotto interno lordo italiano. Ma proprio la natura del Target 2, che registra il deflusso dei capitali dalla Penisola, dimostra che il problema è più politico che tecnico: al di là degli acquisti del Qe, il passivo è legato all'uscita degli investitori esteri dall'Italia, considerata sempre meno affidabile.
E non solo dagli stranieri. Attraverso gli acquisti di fondi di investimento o di altri prodotti finanziari investiti in beni oltre confine, le famiglie cercano uno sbocco alternativo al canale bancario. È un problema di mancanza di fiducia cui contribuiscono in egual misura i limiti della politica di casa nostra e la miopia della Commissione Europea concentrata nel rispetto delle regole «zero virgola» invece di imprimere una svolta vera, in linea con il pensiero di Cavour che non si tirò indietro quando si trattò di finanziare ferrovie e riforma agraria per stare al passo con l'Europa. Senza perder tempo: tra meno di due anni herr Draghi lascerà l'incarico a Francoforte. E per l'Italia il costo potenziale di un divorzio potrebbe essere più alto.