berlusconi quadri

QUEL CHE RESTA DELLA CULTURA BERLUSCONIANA –  IL CAV, CHE POTEVA VANTARE UNA COLLEZIONE DI 24MILA OPERE D’ARTE, HA SPESSO LANCIATO UN SASSO PER DENUNCIARE LA PALUDE AUTOREFERENZIALE DELLA CULTURA ITALIANA, CONTROLLATA PER COOPTAZIONE DALLE ÉLITE RADICAL-CHIC E DI SINISTRA - PANZA: "CON L’ACQUISIZIONE DI MONDADORI, BERLUSCONI NON AVVIÒ ALCUNA POLITICA EDITORIALE PRIVILEGIANDO L’ATTENZIONE AI CONTI: I PRINCIPALI OPPOSITORI DI SILVIO, TIPO SAVIANO, PUBBLICARONO CON MONDADORI. COME HA RACCONTATO GIAN ARTURO FERRARI,  AL CAVALIERE NON FREGAVA ASSOLUTAMENTE NIENTE E LASCIAVA GLI EDITOR TOTALMENTE LIBERI…"

Pierluigi Panza per https://fattoadarte.corriere.it

 

berlusconi e la passione per l'arte

Tra gli innumerevoli articoli dedicati a Silvio Berlusconi non ce n’è uno – salvo sul “Manifesto” a firma Norma Rangeri – che accenni a Berlusconismo e Cultura. Bella forza, direte voi, la Cultura è uno dei pochissimi campi che a Berlusconi e al Berlusconismo non interessava per niente. Però, un attimo: se per Cultura intendiamo il modo d’essere dell’uomo sulla terra, la sua identità, i suoi rapporti sociali… essa è una spugna che assorbe e trasforma. In questo senso possiamo affrontare il tema del berlusconismo e la Cultura italiana.

 

La tesi ricorrente degli oppositori al Cavaliere, già espressa dieci anni fa in «La cultura delle destre. Alla ricerca dell’egemonia culturale in Italia» di Gabriele Turi è nota: estendendo il termine «cultura» all’intrattenimento popolare, con le sue televisioni, le sue squadre di calcio ecc. Berlusconi ha intorpidito le menti.

berlusconi e la passione per l'arte

 

L’intrattenimento televisivo e la cultura evenemenziale postmoderna sono stati null’altro che il corrispettivo degli alberi della cuccagna e delle sfilate di nani, ballerine e «belle etiopi» dell’Ottocento (vedi Donald Sassoon La cultura degli europei dal 1800 a oggi) e ciò è stato il fecondo terreno culturale che la destra ha reso funzionale ai suoi obiettivi politici, di controllo delle masse e di potere (il famoso Berlusconi che è in noi di Nanni Moretti).  A ciò si sono aggiunti meno incisivi tentativi di Revisionismo storico e creazioni di Think tank assai poco influenti, se non sul quotidiano “Il Foglio” diretto da Giuliano Ferrara (la campagna antiabortista, ad esempio).

berlusconi ispira opere d'arte 18

 

Questa, però, è una solo una narrazione della Cultura nel trentennio di Berlusconi, che ha in sé una verità quasi scontata e ineludibile qualunque sia la forma di Governo delle nazioni (ovvero “panem et circenses” per il popolo) e che tralascia elementi, che ora vediamo, riassumibili in questo: Berlusconi ha spesso lanciato un sasso per denunciare la palude autoreferenziale della cultura italiana, controllata per cooptazione dalle élite radical-chic e di sinistra a partire dall’ottica gramsciana, ma mai, o quasi mai, ha poi mosso le forze necessarie per trasformare questa palude, preferendo, semmai, costruire ex-novo qualcosa di alternativo.

berlusconi ispira opere d'arte 17

 

Tanto che il mondo di pagine culturali, premi letterari, festival, comunità degli scrittori, artisti, architetti, mondo dei teatri, cinema è rimasta una cittadella, maldifesa, ma intoccata nell’appartenenza ideologica. Stesso esito per scuola e università. E i protagonisti non allineati sono sempre rimasti in balia di loro stessi, taluni traditi da un iniziale sogno di rinascita di cultura liberale alla Spadolini e Visentini (quella dei vari Urbani, Pera) tentata sulle pagine de “Il Giornale” a partire da Montanelli. Ma a causa della lotta ideologica innescata da una parte del Paese (in particolare da “la Repubblica” e dalla Magistratura) ci fu sempre poco spazio o nullo per lo sviluppo di una cultura aperta, apolitica, alta e moderata.

 

Il primo metodo operativo di trasformazione che andasse oltre la denuncia dello stagno culturale fu il tentativo di lanciare “outsider” di grandi capacità con assenza di cursus honorum tradizionale (che significa persone capaci, ma senza pedrigree, talvolta dei self-made-man della cultura): l’epitome può essere Vittorio Sgarbi, ma penso, piuttosto, all’ostilità riversata verso Mario Resca quando fu chiamato ai Beni culturali solo perché aveva lavorato da McDonald.

silvio berlusconi e la sua passione per i quadri 5

 

Al netto delle controversie giudiziarie, l’acquisizione di Mondadori poteva segnare la fine della devozionale e acritica egemonia della Einaudi di Vittorini, Pavese ecc. ecc. ma, come è noto, Berlusconi non avviò alcuna politica editoriale privilegiando l’attenzione ai conti di una industria culturale: i principali oppositori di Berlusconi – tipo Saviano – pubblicarono con Mondadori. Anche quando acquistò la Rizzoli, con successivo intervento dell’antitrust, è improprio prevedere che avesse voluto esercitare un predominio da pensiero unico culturale, piuttosto un predominio industriale. Come ha raccontato in un recente libro Marsilio il n.1 di Segrate, Gian Arturo Ferrari, molti autori si presentavano come raccomandati da Berlusconi ma, in realtà, al Cavaliere di loro non fregava assolutamente niente e lasciava gli editor totalmente liberi. Furono piuttosto case editrici piccole, come la SugarCo del socialista Massimo Pini, a fare politiche culturali anticomuniste.

 

silvio berlusconi e la sua passione per i quadri 4

Le celebri tre I per la scuola, ovvero inglese, internet e impresa rivelano tutta la riduzione della scuola a un apparato di mera preparazione al lavoro nella contingenza attuale, ovvero un esibito pragmatismo di stampo americano nel quale la costruzione sociale, sentimentale e, non dico filosofica, ma almeno di coscienza civica o religiosa di un individuo non avevano posto. Ma, al pari delle sue televisioni commerciali svelavano anche il volto paludoso dello stagno pedagogico in cui il Paese si trovava, con quelle protezioni sindacali nel mondo della scuola che consentivano prepensionamenti a quarant’anni e repliche stantie di programmi datati e l’assenza totale di competitività o controllo tra docenti e istituti. In fondo, quello della scuola era un quadro analogo a quello in cui versava la tv di Stato e i suoi programmi prima dell’avvento delle tv commerciali, che la costrinsero a svecchiarsi, ad aprirsi alla “insostenibile leggerezza dell’essere” dei magnifici anni Ottanta.

silvio berlusconi e la sua passione per i quadri 3

 

Per l’università il tentativo dei tentativi sarebbe stato togliere il valore legale del titolo di studio e mettere le università in competizione, sul modello americano. Ma le opposizioni da sinistra furono insuperabili. Tentò allora, con la riforma Gelmini – che vide la singolare opposizione sia di studenti che di baroni stretti in social catena – di innescare meccanismi di meritocrazia che ponessero fine a una cooptazione su base ideologica o, peggio, per familismo amorale, per cui i figli dell’élite finivano in cattedra con concorsi pilotati e per gli “underdog” non c’era (come non c’è) alcuna possibilità. N

 

 

silvio berlusconi e la sua passione per i quadri 1

acquero così i concorsi di abilitazione nazionale, l’Anvur e la Vqr come strumenti di controllo che i baroni, però, seppero subito fagocitare trasformando questi strumenti in una gigantesca macchina burocratica fintamente ispirata a logiche (pseudo) scientifiche di stampo anglosassone (riviste di classe A, numero di pubblicazioni ecc. ecc.). Risultato: ancora oggi il merito è aggirato e i concorsi universitari sono pilotati. Di fronte al mostro irriformabile, il berlusconismo preferì, allora, costruire percorsi alternativi ex-novo, dalla creazione di master legati al mondo del lavoro alle scuole aziendali. E qui ci ritroviamo alla logica delle tre I: il pragmatismo che si affianca al mostro evitandolo. Quindi, un genitore (ricco) se vuole che il figlio trovi davvero lavoro lo manda all’estero o in un master aziendale. Gran dei programmi nazionali o internazionali che girano intorno all’università – Erasmus, dottorati che estendono solo il potere dei docenti, summer school , scuole di specializzazione… – sono in gran parte fuffa.

gian arturo ferrari

 

Nel merito delle Arti il berlusconismo ha detto poco: le soprintendenze sono state sfidate solo da Matteo Renzi e, anzi, Berlusconi pareva orientato a una specie di estetica piccolo-borghese “dei bei tempi andati” con un vago rispetto per le antichità, l’archeologia e l’arte. Collezionista “spontaneista”, non modificò nemmeno le rigide leggi sui vincoli di esportazione e non credo che il Centrodestra abbia mai avuto strategie o ingerenze su direzioni e comitati scientifici di musei o curatele che andasse oltre al “sentite cosa dice Sgarbi”. Qui non ci fu alcun conflitto di interessi.

 

Fece qualcosa in più nella musica classica, forse per la passione che Fedele Confalonieri nutriva per Riccardo Muti, anch’esso una specie di arcitaliano da opporre alla genealogia sinistorsa Anni 70 – Abbado e Luigi Nono – Renzo Piano – Napolitano… Mediaset, infatti, fu tra i soci fondatori quando la Scala divenne fondazione di diritto privato e promosse la Filarmonica (anche in tv) negli anni in cui Confalonieri ne fu presidente. Tuttavia, Berlusconi fu alla “prima” della Scala una sola volta in vita sua, anche perché era tempio di quella altissima borghesia ambrosiana Ztl che lo trattava da parvenue.

gian arturo Ferrari Storia confidenziale dell’editoria italiana (Marsilio)

 

Verso la cultura cattolica ebbe una sorta di timoroso rispetto. Non solo aprì al cardinal Ravasi le porte della televisione ma si schierò per il mantenimento del crocefisso nelle scuole di un Repubblica laica. La difesa del crocefisso come «elemento identitario» (Berlusconi governò dopo la tragedia dell’11 settembre) era espressione di un policulturalismo alternativo al multiculturalismo globalista e, per questo, fu sostenuta anche dalla sinistra cattolica (ora orfanissima) in opposizione a una visione del mondo laicista e filomassonica del mondo, quella alla Soros.

gianfranco ravasi

riccardo mutiroberto saviano, copertina di gomorra

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