1. “QUESTO È IL PAESE CHE AMO”: A 20 ANNI DAL DISCORSO DELLA “DISCESA IN CAMPO” 2. REGISTRATO NELLO STANZINO DEGLI ATTREZZI, NON AD ARCORE MA A MACHERIO, LA REGIA DI GASPAROTTI, LA SCRIVANIA E LA CALZA (CHE IL CAV. GIURA, “NON C’È MAI STATA”) 3. LA CASSETTA VHS INVIATA A TUTTI I TG, INTEGRALE FU TRASMESSA SOLO DA EMILIO FEDE 4. I 9 MINUTI E 25 SECONDI CHE RIVOLUZIONARONO LA POLITICA ITALIANA (VIDEO): ORMAI TUTTI PARLANO COME LUI, FRASI BREVI E LINEARI E BANALI, BEPE GRILLO HA IMITATO IL RIFIUTO DELLA POLITICA, PERSINO OBAMA MANDAVA I VIDEO ED EVITAVA I GIORNALISTI 5. LE REAZIONI DEI GIORNALI: “CLOWN”, “IL MALE FATTO UOMO”, ‘’REGALO A OCCHETTO”

1. VIDEO - IL MESSAGGIO DELLA "DISCESA IN CAMPO" DI BERLUSCONI - 26 GENNAIO 1994


2. IL VIDEO E LO SGABUZZINO LA VERA STORIA DELLA DISCESA IN CAMPO
Pino Corrias per il Fatto quotidiano

Come sacrosanta premessa ai suoi successivi vent'anni, il primo atto politico del dottor Silvio Berlusconi, 26 gennaio 1994, "L'Italia è il Paese che amo", trasmesso da tutte le tv del regno, fu una finzione. Una bugia ben allestita: il set dove registrò il celebre discorso non era il suo studio, ma uno sgabuzzino per gli attrezzi.

Non era Arcore, ma Macherio, il villone teosofico dove abitava Veronica. Appena fuori dall'inquadratura - due metri di scrivania, qualche libro, due fotografie ben incorniciate, due calamai d'argento e al centro il suo sorriso in puro marmo di Carrara - c'erano muri scrostati, sacchi di cemento, un piccone, molta polvere. "Non ci crede? Vuole vederlo?".

Era l'ultima domenica di aprile 1994, tre mesi esatti dal discorso della discesa in campo. Da un mese il Dottore era diventato Onorevole. Il presidente Oscar Luigi Scalfaro gli aveva dato l'incarico di formare il suo primo governo. Ma con il Quirinale era già in rotta di collisione. Berlusconi voleva Previti alla Giustizia. Scalfaro era inorridito e aveva detto di no. E poi voleva Di Pietro agli Interni. Ma anche Di Pietro era inorridito e aveva detto di no. Quella domenica, B. era rientrato nella sua nebbiosa Lombardia dopo una settimana piena di frustrazioni: "Roma rema contro, la vecchia politica rema contro".

In tarda mattinata era atterrato in elicottero dentro ai 600 mila metri quadrati del parco di Macherio per il pranzo con la sua seconda famiglia - Veronica più i tre figli, Barbara, Eleonora, Luigi - che mai mettevano piede ad Arcore, dove vivevano ancora Marina e Pier Silvio.

A quei tempi seguivo la nascente avventura politica di Berlusconi per La Stampa. Ero arrivato a Macherio dopo pranzo con il collega Vittorio Testa di Repubblica , che per indole avrebbe narrato di musica e di orchestre, ma per dovere si piegava alle tarantelle della politica. Vennero i soliti uomini armati a prelevarci al cancello: giganti silenziosi al volante di candide automobiline elettriche che finivano per renderli buffi anziché minacciosi. Ne giravano per tutta la collina, avanti e indietro, a rassicurare il padrone di casa che dai tempi del primo miliardo - conoscendo meglio di ogni altro gli amici degli amici
- ha sempre vissuto terrorizzato e blindato.

L'intervista si svolse in uno dei saloni della villa. Niente di memorabile, tranne l'improvvisa interferenza di Barbara che aveva 10 anni, arrivò di corsa a salutare con un coniglio in braccio. Il padre sobbalzò: "Ma così sporca tutto! Dovresti fargli uno shampoo". E Barbara: "Papà, non si fa lo shampoo ai conigli", disse e se ne andò di corsa. Veronica, a quei tempi silente, era un'ombra. Altre malinconiche cameriere comparivano e sparivano. Tutta la casa era in un silenzio opprimente, accentuato dall'umor nero del suo padrone che all'improvviso cambiò sguardo. Gli era tornata in mente una cosa: "Sul mio discorso registrato avete scritto un sacco di sciocchezze".

Per esempio? "Che chissà quali esperti di comunicazione avevo interpellato. E quanti studi, quanti sondaggi..." Invece? "Invece ho fatto tutto in una notte. E sapete dove? Proprio qui sotto, nel parco... Volete vedere?".

Come no. Usciamo. Sentiero sul pratone a scendere: "Guardate che fiori stupendi, qui segue tutto mia moglie". Ci fermiamo davanti a un box di cemento con attrezzi, carriola, polvere: "È qui", dice spostando un sacco e poi spingendo una porta di ferro. Entriamo: muri intonacati ma non dipinti, pavimento in terra battuta, una lampadina di servizio. Luce lattiginosa e polvere dappertutto. Possibile? Dice: "Laggiù c'erano la scrivania e la libreria. Qui dove stiamo noi, l'operatore con la telecamera. In quei due angoli le luci".

Sulle luci si è scritta e riscritta la faccenda della calza. La calza di nylon che, stesa sull'obiettivo, avrebbe reso calda l'atmosfera, morbido lo sguardo, invisibili le rughe. Sciocchezze anche quelle? "Tutte invenzioni. Basta con ‘sta storia della calza: cribbio, sembra che abbia fatto il discorso della Befana...". È tornato di buon umore, si guarda in giro, come rivedesse gli arredi: "Figuratevi se Gasparotti usava una calza!"

Roberto Gasparotti è l'operatore che dopo quella notte diventerà il custode della sua immagine. È già roba sua: viene da Canale 5. È toscano. Non ride, non parla. Sa come inquadrarlo senza che si vedano in primo piano le orecchie, perché sono troppo grandi e i capelli, perché sono troppo pochi. Quella notte usa un filtro aranciato e riflettori schermati di bianco. Prima di chiamare il capo per la registrazione, prepara la scrivania, i libri, le foto. Il Dottore scende alle 10 di sera. Sposta, aggiusta, aggiunge una piccola scultura di Cascella tra i libri. Quando tutto il finto sembra vero si siede e comincia a registrare.

Il testo del discorso viene da parecchie mani e da una sola testa, la sua. La prima bozza è di Paolo Del Debbio, toscano anche lui, partito in gioventù dall'Università pontificia con la vocazione per l'ultraterreno, approdato in età matura alla divina televisione. In seconda istanza la bozza passa a Gianni Letta, per levigarlo di virgole. Poi a Giuliano Ferrara che è il più colto del gruppo.

Lo leggono quelli del giro stretto: Fedele Confalonieri, Previti, Dell'Utri, Nicolò Querci. Lo legge Mike Bongiorno che il Dottore considera il suo personale misuratore di aspirazioni comuni e comune sintassi. Il discorso dura 9,30 minuti. Al sesto minuto lui e Gasparotti hanno concordato una zoomata breve e dolce per aggiungere intimità, scaldare l'eloquio un po' troppo ingessato. In quel momento è ancora un candidato, ma recita già da presidente.

Quel pomeriggio, racconta: "L'abbiamo registrato una dozzina di volte, fino alle 3 di notte. Quando le ho riviste ho scelto la prima. Tutto molto semplice, molto lineare, nessun esperto di comunicazione. L'esperto di comunicazione sono io".

Giusto, ma perché lo sgabuzzino? Berlusconi alza le spalle come a dire: è venuto così. Spegne. Risaliamo. "Divertente, no?". Istruttivo. Sebbene a quel tempo ancora non si sapesse che quel set di finzioni lui l'avrebbe esteso all'Italia intera. E per vent'anni, prima di spegnere la luce, lasciandoci le macerie.

2. QUEI 9 MINUTI E 25 SECONDI CHE RIVOLUZIONARONO LA POLITICA
Mattia Feltri per "La Stampa"

Il giorno prima di rivoluzionare la prassi della comunicazione politica, Silvio Berlusconi telefonò al direttore del Tg2, Paolo Garimberti. Ricostruzione fedele del dialogo (dalla Stampa di allora, Massimo Gramellini): «Quanti minuti dura, dottor Berlusconi?». «Mah, francamente non lo so. Sto ancora facendo le prove. Saranno otto minuti, dieci al massimo».

«Dieci? Ma il tg della sera dura appena mezz'ora. E poi, con tutto il rispetto, dottore, se ho dato due minuti al Papa... Lei mi mandi la cassetta e io ne trasmetto una sintesi». «Non si disturbi, dottor Garimberti: se vuole la sintesi gliela posso preparare io». «Non è il caso, dottor Berlusconi. Alla sintesi ci pensiamo noi. Capisce: vorrei fare un servizio più articolato». «Mi rendo conto ma... Mi toglie una curiosità?». «Prego».

«Ma soltanto il Capo dello Stato ha diritto alla trasmissione integrale del discorso?». «E a reti unificate, per giunta. Quando al Quirinale ci andrà lei...». «Il problema è che questo è il mio esordio in politica e quindi voglio fare un discorso di programma. Ecco il motivo per cui non ho convocato i giornalisti: non voglio essere distratto né interrotto nell'esposizione del mio pensiero...».

Era il 25 gennaio del 1994. All'indomani il fondatore di Forza Italia avrebbe recapitato ai telegiornali la videocassetta da nove minuti e venticinque secondi con la quale («L'Italia è il paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti...») annunciava la «discesa in campo», come disse in scandalizzante gergo calcistico.

Berlusconi era rimasto chiuso ad Arcore per l'intera giornata a perfezionare il testo, studiare la scenografia e calibrare le luci insieme con Antonio Tajani e Gianni Pilo. Un bell'ufo anche quest'ultimo, l'uomo dei sondaggi che in organigramma è registrato alla voce «esperto di marketing politico». Dice robe del genere: «Cercheremo di indagare i flussi in libera uscita».

Le infiltrazioni in politica di termini commercial-ganassa dividono il mondo in chi sghignazza e chi grida al sacrilegio. Si ironizza molto sul sistema di spiegare il presente, prevedere il futuro e aggiustare i messaggi attraverso le indagini demoscopiche. Il mezzo è inconsueto al punto che il Corriere della Sera commissiona a Swg un sondaggio sulla credibilità dei sondaggi. Berlusconi non se ne cura. La prove vanno avanti fino alle tre del mattino. Alla fine si sceglie la prima di numerose registrazioni. Il 26, Berlusconi si sveglia alle 7, fa ginnastica, passeggiata nel parco, altra occhiata al video, pranzo con risotto e verdure bollite, pisolino pomeridiano.

Fuori da lì è tutto sottosopra. Il direttore del Tg1, Demetrio Volcic, dice di aver chiesto a Berlusconi la disponibilità a un dibattito, ma niente. A lui interessa soltanto la cassetta. «Le regole devono valere per tutti», dice Andrea Giubilo, direttore del Tg3. La Repubblica scrive che, se avesse qualcosa da dire, Berlusconi accetterebbe un'intervista collettiva con «Indro Montanelli e Claudio Rinaldi». Furio Colombo ricorda che «Ross Perot è sceso in campagna così».

Michele Santoro lo invita a «Il rosso e il nero» e sentite un po' Berlusconi: «Dibattiti e risse tv non mi interessano. Voglio parlare alla gente, voglio parlare di problemi». Vi ricorda qualcuno? Se non ci siete arrivati, ecco un secondo indizio: «Eh no, non chiamatemi onorevole. Non farò il politico come gli altri. Anzi, abolirei quella tradizione spagnolesca che attribuisce il titolo di onorevole».

Forse Beppe Grillo non sa di avere tanti punti in comune col Berlusconi degli inizi. Di sicuro non lo sa Barack Obama. In campagna elettorale i giornalisti lo seguivano e ricevevano delle gran pacche sulle spalle, ma le domande non erano ammesse: nel pomeriggio sarebbe arrivato il video con tutto ciò che il candidato alla Casa Bianca aveva da dire.

Il primo a trasmettere il vhs, in quel 26 gennaio, è naturalmente Emilio Fede e naturalmente l'integrale. Berlusconi è magro ed è ancora in possesso della faccia originaria. Ha l'uniforme della vita futura: camicia celeste, cravatta a pois, doppiopetto scuro. È tutto studiato e oggi non fa più impressione, ma allora si allibiva. Adesso la camicia bianca dei giovani leader scravattati è una divisa, né più né meno.

Certi slogan come «I care» sono la versione finta chic (più all'americano a Roma) di Forza Italia, nome che faceva un gran ridere e pure arrabbiare, perché l'incitazione calcistica doveva essere di proprietà pubblica. Insomma, le luci sono seppiate, una calza da donna Dior sul teleobiettivo ammorbidisce il quadro: un trucco attribuito dai giornali a Nicolae Ceausescu; alle spalle dell'oratore c'è una libreria di legno chiaro con volumi disordinati, come fossero consultati spesso, e fra i volumi foto di famiglia in cornici d'argento; sulla scrivania un tagliacarte di dimensioni minacciose, soprammobili, improbabili calamai. Sembra il salottino di rappresentanza di Aiazzone, scrive la Stampa.

Quello che non si vede è interessante: la moglie Veronica e la figlia Eleonora assistono dietro alla telecamera, fra i collaboratori, e a fianco di Berlusconi ci sono calcinacci e strumenti da muratore perché si registra in una zona marginale della villa di Macherio, dove i lavori sono in corso.

Non è vero che c'è il gobbo perché Berlusconi consulta spesso gli appunti che tiene nelle mani. Il termine più speso è libertà, sette volte, e cinque i derivati liberale, liberismo e liberaldemocratico; poi sei volte Italia, cinque volte Paese, cinque volte «scendere in campo». Parla di valori, di impresa, di speranza, di serenità, di modernità, di dignità, di famiglia. E di comunisti.

Sta ancora dalla parte dei magistrati. Per Eugenio Scalfari è un «clown» col volto ricoperto «di biacca e di cerone». Sul Corriere si legge un sarcastico «Uela, sun chi mi». «Nessuna parola difficile, poche subordinate, molti slogan, spruzzi di retorica, frasi fatte», scrive Curzio Maltese sulla Stampa. Giuliano Ferrara ha una battuta che apre il sipario sui due decenni a venire: il suo linguaggio casomai risulterà «sgradito nella cintura intellettuale di Capalbio, dove Occhetto ha la residenza di campagna».

Alla lunga gli avversari di Berlusconi adegueranno la sintassi e il lessico a quello banalotto ma diretto ed efficace del capo di Forza Italia, che a sua volta qualcosa ha imparato (e ripulito) dal vocabolario di Umberto Bossi. E quanto agli slogan, a sinistra sono diventati prolifici a causa del moltiplicarsi di correnti, fondazioni, primarie, competizioni elettorali.

Quella sera, indossata la tuta blu, Berlusconi segue i tg da Macherio. Poi sente al telefono Gianni Letta, la mamma, la zia suora. L'indomani è deluso: «I telegiornali della Fininvest sono il vero servizio pubblico. La Rai ha infilato commenti negativi, i commenti dei soliti: è una tv a disposizione dei soliti».

Poi legge i commenti. Sul Corriere, Angelo Panebianco prevede che Silvio Berlusconi diventerà «il Nemico assoluto, il Male fatto uomo, la cui presenza era in fondo necessaria per condurre alla fine in porto quell'operazione, per tanti versi incredibile, di Norimberga alla rovescia». Berlusconi è dunque «un grossissimo regalo fatto al cartello delle sinistre». E' un «Bau Bau» perfetto che «se non fosse esistito, Occhetto se lo sarebbe dovuto inventare».

 

Villa di MacherioCRAXI BERLUSCONI SIlvio Berlusconi e Veronica Larioun giovane berlusconi SILVIO BERLUSCONI E VERONICA LARIO berlusconi giovaneBerlusconi Silvioberlusconi veronica nipotino CHI 5 6berlusconi veronica nipotino CHI 1 2q silvio berlusconi giovane Chi01berlusconi veronica nipotino CHI 3 4q silvio berlusconi giovane Chi04silvio berlusconi veronica lario lap01Silvio Berlusconi e Veronica Larioph CHI silvio berlusconi veronica lario mano manoportofino01 silvio berlusconi veronica lario lap

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