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DI TUTTA L’ERBA UN FASCIO - I FILATELICI CONTRO LA PROPOSTA DI LEGGE DEL DEPUTATO EBREO FIANO CHE VUOLE RENDERE FUORILEGGE I CIMELI DEL VENTENNIO FASCISTA - BOLAFFI: “PROIBIRLI SIGNIFICA NEGARE LA STORIA. E POI PERCHÉ VIETARE LE MEMORABILIA FASCISTE E NON QUELLE STALINIANE O MAOISTE?”

Mario Baudino per “la Stampa”                     

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Via i gadget, tutta quella paccottiglia mussoliniana che imperversa dovunque, via il Mascellone ebefrenico (come scriveva Carlo Emilio Gadda) da etichette e mercatini, per non parlare della rete. Si integri la legge Scelba associando questi commerci all' apologia di fascismo.

 

Sia dunque reato, per quanto riguarda fascismo e nazismo, propagandare «le immagini o i contenuti anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti». Questo dice la proposta di legge formulata da Emanuele Fiano, deputato Pd, esponente di spicco della comunità ebraica milanese.

 

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Ma al di là delle buone intenzioni, il cuore del problema è se si possa davvero cancellare il passato con un tratto di penna, per impedirgli di riemergere. Ed è un tema che va al di là degli orrendi cimeli mussoliniani, dei saluti fascisti, delle nostalgie inquietanti. Accanto a tutto ciò esistono ben altre testimonianze, che verrebbero travolte. Ad esempio nel campo della filatelia e in generale sul mercato del collezionismo e dell'arte, i cui protagonisti sono in allarme. Come si fa a distinguere tra paccottiglia e oggetti storici, tra documento «buono» e «cattivo»?

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Difficile impedire che un bando del genere cada anche su francobolli, monete, pubblicazioni, manifesti. Anzi, difficile «non scandalizzarsi»: è la reazione di Filippo Bolaffi, amministratore dell' omonima casa d' aste nata con la filatelia più d' un secolo fa. «E lo dico dal punto di vista di chi, ebreo, ha avuto un nonno partigiano (Giulio, il capo della divisione Stellina, in alta Val Susa, n.d.r.). Io non terrei mai in casa reperti del genere, ma proibirli significa negare la storia».

 

Vero è che siamo in un momento di revival mussoliniano. Scaduti i diritti editoriali a settant'anni dalla morte, ben cinque case editrici, di destra e di sinistra, hanno ripubblicato i dimenticatissimi diari della Grande guerra, usciti per la prima volta nel 1923. Ora i libri, si dirà, sono altra cosa. Ma quali libri? Si comincia con i busti e i gagliardetti, «e poi che facciamo, abbattiamo l' Eur? No, non condivido la proposta.

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Oltretutto, mi sembra che creerebbe ulteriore antisemitismo», commenta Bolaffi. Il mercato delle «memorabilia» mussoliniane è florido, e non solo in Italia. Un autografo può spuntare cento euro, una foto con dedica molto di più.

 

Si narra di un collezionista che acquistò per centomila euro la giacca di comandante della Milizia indossata dal duce; mentre la borsa con gli abiti di ricambio che Mussolini e Claretta avevano con sé nella fatale fuga in Valtellina, che si concluse con la fucilazione a Dongo, fu battuta all' asta nel 2011, anche se per poco più di seimila dollari.

 

E il «mitico» violino numero 1, il primo posseduto dal futuro capo del fascismo negli Anni Venti, passò di mano tempo fa, ceduto a uno studioso da Romano Mussolini, figlio musicista, per una cifra imprecisata. Il possesso di questi oggetti implica sovente un gesto di rivendicazione ideologica: ma lo stesso si può dire dei francobolli, dei manifesti, d elle monete? I francobolli non sono numerosi.

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«Ne esistono un paio con la testa del duce - spiega Filippo Bollati -; sono molto più numerose le emissioni del ventennio con aquile e fasci. Fanno però parte di un momento importante dal punto di vista filatelico, perché in quel momento l' Italia era all' avanguardia nel campo dell' aviazione, e nelle sue famose trasvolate Italo Balbo portò con sé anche corrispondenza».

Più vistoso, ovviamente, il capitolo manifesti.

 

«E' ovvio - continua Bolaffi - che i cartellonisti più importanti dell' epoca, si pensi a Boccasile, disegnavano anche manifesti di propaganda politica. Restano come tracce importanti della storia»; cancellarle significherebbe «negare il nostro passato». Va detto che le ricadute commerciali sarebbero irrilevanti. «Marginali - conclude Bolaffi - ma non è questo il problema. Perché vietare le memorabilia fasciste e non, che so, quelle staliniane o maoiste?». Anche in questo caso, mica erano stinchi di santo.

 

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