renzi referendum costituzione

RENXIT! SEI ITALIANI SU DIECI HANNO VOTATO SOPRATTUTTO CONTRO IL PREMIER CHE HA PERSO SOPRATTUTTO FRA I GIOVANI E NEL SUD - ANCHE NELLE REGIONI “ROSSE” UMBRIA E MARCHE, GLI SONO RIMASTE FEDELI UNA DECINA DI PROVINCE ALL'INCROCIO FRA EMILIA E TOSCANA - ILVIO DIAMANTI REPORT - VIDEO

 

Ilvo Diamanti per la Repubblica

 

matteo renzi dopo il referendum   matteo renzi dopo il referendum

Il referendum costituzionale, alla fine, si è tradotto in un referendum su Renzi, secondo le intenzioni dello stesso premier. Ma il risultato ha travolto anche lui, insieme alla riforma costituzionale. D’altronde, è una questione di “misure”. E la “misura” assunta dal No è al di là di ogni aspettativa.

 

I sondaggi, questa volta, non hanno sbagliato, sull’esito. Ma, appunto, sulle “misure”. Infatti, tutti i principali istituti demoscopici avevano previsto il successo del No, segnalando, però, un’ampia area di incerti, che avrebbe potuto rendere possibile perfino il sorpasso del Sì. Invece, il No si è imposto nettamente. E ha prodotto conseguenze immediate, anzitutto sul governo.

Ilvo DiamantiIlvo Diamanti

 

D’altronde, 6 italiani su 10 hanno votato contro la riforma, ma, anzitutto, contro Renzi. Troppi per non provocare le dimissioni immediate del Premier. Puntualmente rassegnate un’ora dopo la chiusura delle urne. Perché il significato “politico” del voto è indubbio. Sottolineato, anzitutto, dall’ampiezza della partecipazione elettorale. Quasi il 70%, in ambito nazionale.

 

 

RENZI D'URSORENZI D'URSO

Molto più elevata rispetto ai precedenti referendum costituzionali. Infatti, nel 2001 l’affluenza si era fermata al 34%, mentre nel 2006 era, comunque, distante dal livello raggiunto in questa occasione: 54%. Così è probabile, come si era già osservato, che il Sì abbia intercettato il consenso di larga parte degli elettori del PD. Anche se non di tutti. Nel complesso, intorno all’85%. Più di quanto venga rilevato dall’Istituto Cattaneo, che però utilizza un metodo diverso e fa riferimento al voto in alcune città alle elezioni politiche del 2013. Mentre il sondaggio condotto domenica da Quorum per Sky offre stime coerenti con il nostro.

 

RENZI E LA SCONFITTA NEL REFERENDUMRENZI E LA SCONFITTA NEL REFERENDUM

D’altronde, è indubbio che questo referendum abbia ulteriormente marcato l’impronta “personale” del PD. Convertendolo, in modo deciso e decisivo, nel PdR. Il Partito di Renzi. Che ora potrebbe indebolirsi, se non destrutturarsi. Producendo una nuova svolta rispetto alla tradizione e alla geografia elettorale del dopoguerra. Quando la DC, prima, e il Centro-destra Forza-leghista (come lo definì Edmondo Berselli), poi, apparivano radicati nel Nord Est e nella provincia del Nord.

 

Mentre la Sinistra delineava una sorta di “Lega di Centro”, ancorata nei territori della (cosiddetta) “zona rossa”. Ma il M5s, alle elezioni politiche del 2013, e il PdR, alle europee del 2014, hanno assunto una distribuzione “nazionale” dei consensi. In questa occasione, però, la storia “regionale” del voto, in Italia, sembra riemergere (come ha osservato Antonio Gesualdi). Visto che le poche province dove ha prevalso il Sì sono, appunto, localizzate “al centro” dell’antica zona rossa. Al centro del Centro. Soprattutto in Toscana. Perché, come ha rilevato ancora l’Istituto Cattaneo, “alla mobilitazione degli elettori per il No si è sommata una relativamente maggiore mobilitazione degli elettori per il Sì”.

 

RENZI SCONFITTORENZI SCONFITTO

Eppure anche in questo caso il segno del cambiamento si conferma. Anzitutto, perché la base fedele alle indicazioni di Renzi appare ridotta. Al “cuore rosso” (come lo ha definito Francesco Ramella) della zona rossa. Nel complesso: una decina di province all’incrocio fra Emilia Romagna e Toscana. Mentre in Umbria e nelle Marche - le altre “regioni rosse” - il No appare dovunque maggioritario. Come, peraltro, in altre importanti province toscane: Grosseto, Livorno, Lucca, Massa Carrara. E dell’Emilia Romagna: Ferrara, Parma, Rimini, Piacenza.

RENZI - timeRENZI - time

 

Così oggi il PdR appare minoritario. Fra gli elettori e ancor più sul piano territoriale. D’altronde, il grado di fiducia nei confronti di Renzi, rilevato da Demos due settimane fa, coincide con il risultato raggiunto dal Sì: 41%. Pressoché uguale il dato relativo alla fiducia nel governo. Una coincidenza, forse, casuale. Ma non troppo. Soprattutto se riproduce – in diversa misura – la distribuzione territoriale: del voto e dell’affluenza. Elevata nel Centro-Nord. Bassa nel Mezzogiorno. Dove la differenza rispetto alle europee del 2014, il momento di maggiore affermazione per il PD e per Renzi, appare molto ampia. Segno evidente del significato attribuito al voto da alcuni ambienti (in)sofferenti verso il Premier e il suo governo. Il Mezzogiorno, appunto. Scosso dalla crisi. Ma anche i giovani. I più convinti del significato (anti) “personale” del referendum. I giovani: in cerca di futuro. In fuga dall’Italia.

 

Questi appunti segnalano i problemi “politici” incombenti.

 

vignette anti renzivignette anti renzi

Per il PD e per Renzi anzitutto. Dunque, per il PdR. Che è stato sconfitto e dubito che possa “riprodursi” com’è adesso. Ma difficilmente potrà, comunque, tornare ad essere il PD. Cioè, il partito di prima. Perché, ormai, è un “Partito del Capo”, inserito in una “Democrazia del Leader” (per echeggiare le formule coniate da Fabio Bordignon e Mauro Calise). Ma non è chiaro chi e come lo possa “soccorrere”. Mentre non si vedono altri leader, altri Capi credibili, nel PD. E fuori. Dopo Renzi. Oltre a Renzi.

 

Le altre forze politiche dovranno, a loro volta, trovare una missione. Autonoma. Oltre l’antipolitica, interpretata e intercettata – con efficacia - dal M5s. Oltre il berlusconismo senza Berlusconi, tentato senza convinzione da Forza Italia. Mentre la Ligue Nationale di Salvini dovrà, infine, sperimentare la propria reale capacità di attrazione “oltre i confini del Nord” e del Nordismo. Per candidarsi alla leadership della Destra. E del Paese. Tuttavia, nel Fronte del No, non è possibile individuare nuovi motivi di “coalizione”, dopo il referendum. Oltre l’antirenzismo.

RENZI REFERENDUM RENZI REFERENDUM

 

È, dunque, lecito attendersi una stagione - non breve – di instabilità. Perché questo Paese, oggi, appare senza leadership. Senza colori. E senza Un Nemico.

Ma con un Bicameralismo e con un Senato solidi. Destinati a durare a lungo.

 

Ultimi Dagoreport

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - COSA FRULLAVA NELLA TESTA TIRATA A LUCIDO DI ANDREA ORCEL QUANDO STAMATTINA ALL’ASSEMBLEA GENERALI HA DECISO IL VOTO DI UNICREDIT A FAVORE DELLA LISTA CALTAGIRONE? LE MANGANELLATE ROMANE RICEVUTE PER L’OPS SU BPM, L’HANNO PIEGATO AL POTERE DEI PALAZZI ROMANI? NOOO, PIU' PROBABILE CHE SIA ANDATA COSÌ: UNA VOLTA CHE ERA SICURA ANCHE SENZA UNICREDIT, LA VITTORIA DELLA LISTA MEDIOBANCA, ORCEL HA PENSATO BENE CHE ERA DA IDIOTA SPRECARE IL SUO “PACCHETTO”: MEJO GIRARLO ALLA LISTA DI CALTARICCONE E OTTENERE IN CAMBIO UN PROFICUO BONUS PER UNA FUTURA PARTNERSHIP IN GENERALI - UNA VOLTA ESPUGNATA MEDIOBANCA COL SUO 13% DI GENERALI, GIUNTI A TRIESTE L’82ENNE IMPRENDITORE COL SUO "COMPARE" MILLERI AL GUINZAGLIO, DOVE ANDRANNO SENZA UN PARTNER FINANZIARIO-BANCARIO, BEN STIMATO DAI FONDI INTERNAZIONALI? SU, AL DI FUORI DEL RACCORDO ANULARE, CHI LO CONOSCE ‘STO CALTAGIRONE? – UN VASTO PROGRAMMA QUELLO DI ORCEL CHE DOMANI DOVRA' FARE I CONTI CON I PIANI DELLA PRIMA BANCA D'ITALIA, INTESA-SANPAOLO…

donald trump ursula von der leyen giorgia meloni

DAGOREPORT - UN FACCIA A FACCIA INFORMALE TRA URSULA VON DER LEYEN E DONALD TRUMP, AI FUNERALI DI PAPA FRANCESCO, AFFONDEREBBE IL SUPER SUMMIT SOGNATO DA GIORGIA MELONI - LA PREMIER IMMAGINAVA DI TRONEGGIARE COME MATRONA ROMANA, TRA MAGGIO E GIUGNO, AL TAVOLO DEI NEGOZIATI USA-UE CELEBRATA DAI MEDIA DI TUTTO IL MONDO. SE COSÌ NON FOSSE, IL SUO RUOLO INTERNAZIONALE DI “GRANDE TESSITRICE” FINIREBBE NEL CASSETTO, SVELANDO IL NULLA COSMICO DIETRO AL VIAGGIO ALLA CASA BIANCA DELLA SCORSA SETTIMANA (L'UNICO "RISULTATO" È STATA LA PROMESSA DI TRUMP DI UN VERTICE CON URSULA, SENZA DATA) - MACRON-MERZ-TUSK-SANCHEZ NON VOGLIONO ASSOLUTAMENTE LA MELONI NEL RUOLO DI MEDIATRICE, PERCHÉ NON CONSIDERANO ASSOLUTAMENTE EQUIDISTANTE "LA FANTASTICA LEADER CHE HA ASSALTATO L'EUROPA" (COPY TRUMP)...

pasquale striano dossier top secret

FLASH – COM’È STRANO IL CASO STRIANO: È AVVOLTO DA UNA GRANDE PAURA COLLETTIVA. C’È IL TIMORE, NEI PALAZZI E NELLE PROCURE, CHE IL TENENTE DELLA GUARDIA DI FINANZA, AL CENTRO DEL CASO DOSSIER ALLA DIREZIONE NAZIONALE ANTIMAFIA (MAI SOSPESO E ANCORA IN SERVIZIO), POSSA INIZIARE A “CANTARE” – LA PAURA SERPEGGIA E SEMBRA AVER "CONGELATO" LA PROCURA DI ROMA DIRETTA DA FRANCESCO LO VOI, IL COPASIR E PERSINO LE STESSE FIAMME GIALLE. L’UNICA COSA CERTA È CHE FINCHÉ STRIANO TACE, C’È SPERANZA…

andrea orcel francesco milleri giuseppe castagna gaetano caltagirone giancarlo giorgetti matteo salvini giorgia meloni

DAGOREPORT - IL RISIKONE È IN ARRIVO: DOMANI MATTINA INIZIERÀ L’ASSALTO DI CALTA-MILLERI-GOVERNO AL FORZIERE DELLE GENERALI. MA I TRE PARTITI DI GOVERNO NON VIAGGIANO SULLO STESSO BINARIO. L’INTENTO DI SALVINI & GIORGETTI È UNO SOLO: SALVARE LA “LORO” BPM DALLE UNGHIE DI UNICREDIT. E LA VOLONTÀ DEL MEF DI MANTENERE L’11% DI MPS, È UNA SPIA DEL RAPPORTO SALDO DELLA LEGA CON IL CEO LUIGI LOVAGLIO - DIFATTI IL VIOLENTISSIMO GOLDEN POWER DEL GOVERNO SULL’OPERAZIONE DI UNICREDIT SU BPM, NON CONVENIVA CERTO AL DUO CALTA-FAZZO, BENSÌ SOLO ALLA LEGA DI GIORGETTI E SALVINI PER LEGNARE ORCEL – I DUE GRANDI VECCHI DELLA FINANZA MENEGHINA, GUZZETTI E BAZOLI, HANNO PRESO MALISSIMO L’INVASIONE DEI CALTAGIRONESI ALLA FIAMMA E HANNO SUBITO IMPARTITO UNA “MORAL SUASION” A COLUI CHE HANNO POSTO AL VERTICE DI INTESA, CARLO MESSINA: "ROMA DELENDA EST"…