O L’ITALICUM O TUTTI A CASA – IL PREMIER SPACCONE AVVERTE: “SE I SIGNORI DEL PARLAMENTO VOTERANNO CONTRO LA LEGGE ELETTORALE IL GOVERNO CADRÀ” – “HANNO L’OCCASIONE DI MANDARMI A CASA, LO FACCIANO”
Francesca Schianchi per “La Stampa”
lilli gruber e matteo renzi otto e mezzo
Se i «signori del Parlamento» voteranno contro la legge elettorale, se l’Italicum non dovesse passare, il governo cadrà: «Non sono per tenere la poltrona attaccata alle terga». Messaggio (chiarissimo) che il segretario-premier Matteo Renzi, ospite di Lilli Gruber a «Otto e mezzo», lancia ai deputati da lunedì impegnati sulla riforma del voto, in particolare alla minoranza del suo partito. Quella critica sulla legge, una «divisione che rispetto ma non capisco»: «Abbiamo fatto le primarie, l’assemblea di partito, l’assemblea di gruppo, la Direzione: cosa potevamo fare di più per la democrazia interna? Questa è la legge del Pd», ragiona lasciando gli studi de La7, «non è una questione tecnica, è politica: però allora ci dicano che gli stiamo sui cogl…».?
Convinto che la legge vada bene, perché «fa sì che chi vince governi», perché, come garantisce il ministro Boschi, «pur rispettando le idee diverse, non ha profili di incostituzionalità», Renzi intende portarla a compimento: «Possono mandarmi a casa ma non possono fermarmi». Pronto anche a mettere la fiducia, se occorre, «lo decideremo martedì».
E comunque deciso ad appendere a questa legge il destino del suo esecutivo: «Questo governo è nato per fare cose, se viene messo sotto sulla legge elettorale è come se il Parlamento dicesse “andatevene a casa”». E lui, a differenza dei «tutti o molti che mi hanno preceduto», lancia una frecciata, non è disposto a «barattare» il restare al governo col non fare le cose. «I signori del Parlamento hanno l’occasione di mandarmi a casa: lo facciano», sfida, anche se pensa che la legge passerà, e pazienza se dovesse avvenire con una maggioranza risicata, come paventato dal suo predecessore a Palazzo Chigi, Enrico Letta, se succede «offro un bicchiere di vino buono, sono anni che non passa».
All’ex premier improvvisamente molto critico sul suo governo dedica un paio di battute: liquida con un «non è forse l’immagine migliore ma succede a tutti» la definizione di «metadone» data da Letta della sua narrazione («gli è uscita proprio male, ma ho evitato la polemica», ripete uscendo) ma poi, nonostante le raccomandazioni del fedele portavoce Filippo Sensi di evitare polemiche, non si trattiene dal sottolineare velenoso che, lui come Romano Prodi, «hanno due libri in uscita, capisco il diritto di fare promozione…».
E proprio a Prodi, al fondatore dell’Ulivo e padre nobile del Pd, si rivolge senza nessun timore reverenziale: «Ho grandissimo rispetto per tutti, anche per chi in questi vent’anni ha avuto ruoli di responsabilità. Capisco chi dice rifacciamo l’Ulivo, ma io devo rifare l’Italia…». E l’ex premier, spiega, non consideri responsabile il governo italiano se non è stato scelto come negoziatore sulla Libia: «Le Nazioni Unite hanno scelto Bernardino Leon sulla base del presupposto che era meglio non scegliere un ex premier che aveva avuto forti rapporti con Gheddafi».?
A chi invece tende una mano è all’ex segretario Bersani, non invitato alla Festa dell’Unità di Bologna: «Hanno pensato di chiamare i ministri e non gli ex segretari. Ma ha ragione, hanno fatto male a non invitarlo», ammette. Salvo poi dedicare anche a lui una piccola stoccata, quando parlando di Berlusconi ricorda che «quando qualcuno gli ha permesso di scegliere il presidente della Repubblica, c’è stata l’impasse». «Nel 2013», aggiunge. Quando leader era Bersani.
PIERLUIGI BERSANI A SERVIZIO PUBBLICO