QUANTO E’ BUONO RENZI - “NON CACCIO NESSUNO, PURE SE NON VOTANO IL JOBS ACT, NON SONO GRILLO’’ – I BERSANIANI LO SGAMANO: “NON FAREMO IL REGALO DELLA SCISSIONE A RENZI”

Goffredo De Marchis per “la Repubblica

 

CUPERLO RENZI CIVATI CUPERLO RENZI CIVATI

«Io sono convinto che sia un bluff. Ma voglio andare a vedere». Con questo spirito Matteo Renzi ha sfidato l’altra sinistra: per verificare se esiste, se sa farsi partito. Nelle mosse della Cgil da tempo il premier vede una deriva politica e non solo sindacale. Come in quelle di Maurizio Landini, l’unico leader che il premier considera possibile per quell’area. E’ il momento di capire se hanno le basi per creare un soggetto alternativo al Pd.

 

La mano di poker che si è giocata in questo week end ha previsto una doppia prova di forza: la piazza di sabato e le parole durissime della Leopolda sui reduci e la nostalgia. I rapporti sono sempre più logorati, nessuno ha più il timore di pronunciare la parola scissione. Ma non è finita fin quando non è finita. E non siamo ancora arrivati al traguardo. Che però è vicino. Il terreno di scontro decisivo è il Jobs Act in discussione alla Camera. Ossia il lavoro, il tema dei temi per capire se la sinistra cambia nel profondo, se si dà un nuovo profilo culturale.

 

CONVENZIONE PD CUPERLO CIVATI RENZI CONVENZIONE PD CUPERLO CIVATI RENZI

Ai suoi collaboratori il premier ha detto che non vuole cambiare «nemmeno una virgola del Jobs Act a Montecitorio». La piazza e le sue richieste verranno saltate a pie’ pari. «Credo che alla fine lo sciopero generale ci sarà, ma non mi fermo».

 

Perché crede nella riforma e non solo. Esiste un problema di tempi. «Dobbiamo approvarla in fretta. I decreti delegati sono già pronti e il primo gennaio del 2015 scatteranno gli incentivi per le nuove assunzioni a tempo indeterminato. E’ una massa di denaro che non ho nessuna intenzione di tenere ferma, che va messa in circolo nell’economia».

 

La paura di Palazzo Chigi è che le opposizioni interne al Pd e fuori da quel perimetro puntino a guadagnare tempo, a organizzarsi con un po’ di calma e a dimostrare, dati alla mano, che l’azione del governo non porta a risultati concreti, tanto più sull’occupazione. Esattamente l’esito che Renzi vuole evitare a ogni costo. Da qui il desiderio di “vedere” il prima possibile quello che considera un bluff. Il conflitto va risolto subito.

CUPERLO RENZI CIVATI CONFRONTO SKYTG CUPERLO RENZI CIVATI CONFRONTO SKYTG

 

Per questo ha usato tutta la sua forza dialettica dal palco della Leopolda. «Io non sono Grillo», ripete ai fedelissimi. «Io non caccio nessuno e non ho fatto il mio discorso per spingere Fassina e Civati fuori dal Pd. L’ho fatto però perché voglio togliere il potere di veto ai frenatori».

 

Renzi ricorda il periodo in cui lui era in minoranza. «Tanti dei nostri avevano degli strani pensieri. Dicevano: andiamocene. Matteo Richetti per esempio. Io ho sempre tenuto la barra dritta: non andiamo da nessuna parte». Adesso, è il senso, tocca agli altri rispettare le regole dentro il Pd. «Quindi figuriamoci se mando via qualcuno, anche se qualcuno non dovesse votare i provvedimenti alla Camera. Saranno sì e no una decina, non mi pare un problema».

camusso fassina a romacamusso fassina a roma

 

E se la scissione alla fine si realizza? Il premier crede che i dissidenti non sappiano «dove andare ». Ma non esclude la possibilità. «Esco dalla Leopolda ancora più convinto che stiamo facendo le scelte giuste per l’Italia — dice ai collaboratori —. La gente mi dice “andate avanti” e chiede dei risultati. Vagli a spiegare che poi in Parlamento ci sono la Bindi e Gotor che impediscono il cambiamento e che dobbiamo fare i conti anche con loro».

 

Le persone normali, è il ragionamento di Renzi, «non distinguono il nostro Pd dal Pd che si mette di traverso. Ed è naturale che sia così. Non stanno lì a pensare che in Parlamento il Partito democratico non è quello del 41 per cento ma quello del 25 per cento, datato febbraio 2013».

landini a romalandini a roma

 

Allora i passaggi chiave per capire se è fattibile un allineamento delle anime democratiche senza strappi, senza un nuovo partito a sinistra che Renzi non teme, sono tre e si deve fare chiarezza entro l’anno: la legge di stabilità, la riforma elettorale e il Jobs Act. Su queste scadenze si gioca il futuro del Pd e probabilmente della legislatura.

 

Naturalmente, la minoranza scava la trincea. «Non faremo il regalo della scissione a Renzi», afferma Alfredo D’Attorre. Ma Stefano Fassina la evoca chiaramente in un’intervista all’Huffington Post, regalo o non regalo. Si è capito che ieri mattina la rottura ha avuto un’accelerazione, che Renzi sta forzando il momento delle scelte. La piazza San Giovanni dimostra anche che «l’atomo da scindere è piuttosto grosso», dice Pippo Civati in risposta alle polemiche alimentate dalla Serracchiani. Insomma, non mancano le condizioni per decidere se l’Italia può avere due sinistre o una sola.

 

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