DA RODOTÀ-TA’ ALLA GABANELLI PRIMA CANDIDATI POI TRADITORI DEL M5S - ORE TREMA GINO STRADA?…

Mattia Feltri per "La Stampa"


Andate su YouTube e guardate il video di Salvo Mandarà. «Ho deciso di lasciare questo paese», dice. Sarà a settembre, probabilmente. Mandarà è il videomaker del Movimento 5 Stelle, e cioè diffonde in streaming i comizi di Beppe Grillo. Se ne va non soltanto per il vigliacco risultato elettorale delle comunali, ma perché ad Abbiategrasso, dove abita, «le istituzioni non esistono più».

E infatti suo figlio non è andato a scuola per quindici giorni e nessuno l'ha avvertito. Siamo messi così, dice. Se ne va, più in generale, perché Nicola Mancino è «un mafioso di merda» e quereli pure tanto lui, Mandarà, sarà già all'estero e avrà ottenuto «asilo politico». Ci crede e lo dice: «Asilo politico».

Non soltanto Mancino merita la qualifica escrementizia, ma anche lo Stato e il popolo, e del resto i riferimenti scatologici paiono a oggi il collante più serio dentro un non-partito con «il circuito che si è interrotto», come cantava qualche anno fa Grillo con Mina. Nel giro di poche giorni, infatti, a livello di materiale da evacuazione sono stati posti, dalla capogruppo Roberta Lombardi, i colleghi che girano le sue mail alla stampa (detti anche «stronzi») e, da Beppe Grillo, Antonio Venturino, che si tiene i soldi da deputato siciliano («pezzo di», più precisamente), oltre allo Stato e al Parlamento.

Non è una questione di turpiloquio: Grillo ne ha fatto la sua cifra. È che il turpiloquio così frequente, rancoroso, sempre meno abile scorciatoia della comicità, sembra segnalare una difficoltà puramente logica. Stefano Rodotà, quando arrivò terzo alle Quirinarie, era un'ottantenne che alla notizia era «diventato un bambino»; ora è un'ottantenne scongelato e miracolato, un maestrino dalla penna rossa. Rodotà era uno che «è stato fuori dal giro», ora è uscito dal «freezer dopo vent'anni di batoste». Rodotà era stato «scelto dal popolo», diceva Grillo, e non votarlo equivaleva al colpo di Stato.

Tutti in piazza disse, anche se lui non si fece vedere. Il popolo, si sarebbe scoperto in seguito, erano poco più di 4 mila e 700 elettori via web. Ma il tambureggiante ritmare «RodotàRodotà» rappresentava la pacifica scarica di mitra dell'«Italia migliore», che deiezione ancora non era. Lo è oggi: è tutta colpa sua, ha scritto Grillo, se le amministrative sono andate come sono andate. «Cittadini ingrati», ha detto il vicepresidente a cinque stelle dalla Camera, Luigi Di Maio.

E il candidato a sindaco di Siena, Michele Pinassi, ha pronunciato la terribile requisitoria: «Che schifo. Speravamo in un minimo di riconoscenza. Invece niente. Neppure un grazie». Uno spettacolare ribaltamento di prospettiva secondo cui non è il Movimento ad aver perso un sintonia con gli elettori, ma sono gli elettori a non meritarsi una siffatta guida.

Tutti hanno ricordato, ieri, che non soltanto Rodotà è passato dalla posizione di santo laico a quella di vecchio malmostoso: sorte non dissimile è toccata a Milena Gabanelli, che le quirinarie le aveva vinte. Un paio di puntate di Report addosso ai Cinque Stelle, ed è transitata o tornata - traditrice! - al nemico. Il senatore Lello Ciampolillo non ha escluso «eventuali azioni anche in ambito giudiziario», scordando il proposito da campagna elettorale di depenalizzare la diffamazione. «Bastonato Gianni Alemanno, passiamo al M5S», scrive Grillo sul blog, mentre «risulta immune Marino del Pd».

Capito la Gabanelli? La presidentessa ideale della Repubblica passata all'abbattimento dell'avversario su commissione? Lungo lo Tsunami Tour Grillo fa l'accorato: «Non creare il sospetto... è brutto il sospetto...». Il sospetto da cui sono stati accolti - al cospetto dei cinque stelle - gli altri parlamentari, i giornalisti, e di cui sono circondati banchieri, burocrati, sindacalisti, tutti i mostri assassini delle agitate notti grillesche, adesso è un sospetto mascalzone. Davvero è complicato stare dietro a Grillo. La sua teoria dell'incompetenza al potere - perché i professionisti della politica sono inevitabilmente corrotti nell'animo - svapora se l'incompetente è Isefa Idem: portare una canoista al governo «è da scemi».

Uno vale uno ma neanche tanto. Se Pippo Civati (Pd) tenta l'aggancio ai grillini è il tipetto a cui tirare «un bastone da riporto» ma nessun contatto, nonostante due giorni fa fosse tutta colpa di Pier Luigi Bersani se i colloqui Pd-M5S erano falliti. Romano Prodi è uno che «ha perso più battaglie del generale Cadorna a Caporetto», che poi Cadorna a Caporetto una ne ha persa. Alla Camera, sempre più parlamentari del Movimento si aggrappano ai giornalisti come fossero zattere nell'oceano. Sperano succeda qualcosa. Spifferano. Sono i traditori, le spie, secondo lessico corrente.

(Dottore.../se nel frattempo volesse darmi con una certa sollecitudine.../un ansiolitico/un antibiotico/ omeopatico / o quello che c'è.../ Perché ho il circuito che s'è interrotto/ un tour psichiatrico tra me e me...). Da Dottore, duetto Mina Grillo del 1996.

 

 

 

MILENA GABANELLI NELLA REDAZIONE DI REPORT FOTO LUCIANO VITI PER SETTE Stefano Rodota edoardo baraldi grillo rodota gabanelli GINO STRADA Beppe Grillo PIPPO CIVATI E STEFANO RODOTANicki Vendola ROMANO PRODI jpegcasaleggio

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