SALVINI & DI MAIO, CRONACA DI UN AMORE MAI NATO - RONCONE: “SE QUALCUNO VI DICE CHE SONO ANDATI D’ACCORDO ANCHE PER UN GIORNO SOLTANTO, VI RACCONTA UNA BUGIA. HANNO FINTO, SI SONO SOPPORTATI, HANNO CERCATO UN EQUILIBRIO E, PER UN PO’, IL GIOCHINO HA PERSINO FUNZIONATO - LA VERITÀ È CHE, CON IL TRASCORRERE DEI MESI, COME IN TUTTE LE COPPIE NATE UN PO’ PER CASO, SONO EMERSI I VERI CARATTERI. PERCHÉ SALVINI E DI MAIO, ANCHE UMANAMENTE, SONO MOLTO DIVERSI…”
Fabrizio Roncone per www.corriere.it
Prima di raccontare cos’è successo l’altro giorno a Palazzo Chigi, una cosa. Se qualcuno vi dice che Matteo Salvini e Luigi Di Maio sono andati d’accordo anche per un giorno soltanto, vi dice una bugia. Liberi di crederci: ma è una bugia. Salvini e Di Maio hanno finto di andare d’accordo, si sono sopportati, hanno cercato un equilibrio e, per un po’, il giochino ha persino funzionato (a fine luglio, TvBoy li disegnò su un muro di via del Collegio Capranica, dietro Montecitorio, stretti in un bacio gay).
Del resto l’occasione di stare al governo era, e probabilmente ancora è, troppo ghiotta per entrambi. E poi comunque la politica, spesso, è fatta di amori fasulli. Nessuno faccia troppo lo schizzinoso. Ti metti insieme, ci provi. Ti giuri il falso sottovoce. Alla fine va come deve andare.
Ecco, appunto: l’altro giorno, a Palazzo Chigi, arriva la notizia dell’ennesima sparata di Matteo Salvini. Vuole la Tav. La vuole e basta. Ogni mediazione salta di nuovo. Accidenti — pensano quelli dello staff di Luigi Di Maio — ora chi glielo dice a Giggino? (insistono a chiamarlo così: ma c’è dell’affetto, della tenerezza; anche se poi il giorno che Giggino ne pizzica uno, è chiaro che lo caccia a pedate). Cronometrano.
Dieci secondi dopo averglielo detto, si sentono le urla di Di Maio: «Quello ha chiuso con me! Capito? Chiu-so! Chiu-so! Chiu-so! Vuole fregarmi? Ma sono io che frego lui! Gliela faccio diventare un incubo la storia della Diciotti!». Trema, Giggino. Con la cravatta slacciata e più nessuna voglia di essere perfettino e calmino, e invece la voce che gli va via mentre la faccia diventa bianca come la camicia. Dategli un poco d’acqua, calmatelo, questo si sente male — cominciano a dirsi in dialetto napoletano stretto gli uomini del suo staff.
SALVINI CON IL PUPAZZO DI DI MAIO
Uno di loro, adesso, riflette: «La corda è tesa da mesi. Bisogna solo capire quando si spezzerà. Certo la storia della Tav rischia di intrecciarsi a quella della Diciotti, è chiaro». (Diciotti, la nave dei migranti che da ministro dell’Interno Salvini bloccò, attirandosi l’accusa di sequestro di persona: il Parlamento deve ancora pronunciarsi sull’autorizzazione a procedere nei suoi confronti). A questo punto — secondo alcuni osservatori — anche l’opera di mediazione del premier Giuseppe Conte, a lungo preziosa, rischia di diventare complicata.
salvini e di maio murales by tvboy
La verità è che, con il trascorrere dei mesi, come in tutte le coppie nate un po’ per caso, sono emersi i veri caratteri. Perché Salvini e Di Maio, anche umanamente, sono molto diversi (li separano tredici anni: canzoni diverse, film diversi, libri diversi — okay, certo, lasciamo stare i libri). Però: Salvini sempre con un po’ di barba, l’aria appiccicosa e in felpa, oppure con la giacca della polizia, dei vigili del fuoco, allo stadio con il giubbotto di CasaPound; Di Maio con i suoi abiti grigi tutti uguali, la riga ai pantaloni, la riga alle basette, sbarbatino, l’aria profumata.
Uno sovrappeso che divora panini con la salsiccia e gocciolanti maionese come un camionista turco e l’altro che invece resta magretto, filetto e rucola, seduto da Maccheroni, una trattoria frequentata dai politici della Prima Repubblica; uno che ha fidanzate discrete, che nemmeno sembrano fidanzate, e l’altro che invece si lascia con Elisa Isoardi e l’intero Paese apprende il pettegolezzo attraverso un selfie che i due si scattano a letto, mezzi nudi.
E poi: Salvini sempre netto, tagliente, o è bianco o è nero, e la possibilità di contare sui consigli di Giancarlo Giorgetti, profondo conoscitore della giungla politica romana. Di Maio che, invece, è costretto a telefonare ogni volta a Davide Casaleggio e poi, se si volta, trova Barbara Lezzi, celebre per vedere l’Italia a «370 gradi», e Danilo Toninelli («Tontinelli» per il sito Dagospia). Così, per dire, sulla crisi venezuelana. Il gran capo della Lega, brusco: «Luigi, con chi stai?».
E l’altro un po’ incerto, convinto che «in Venezuela ci sia già stato Pinochet» e pure stretto dalle voglie terzomondiste di Alessandro Di Battista (assai ingombrante, prima di lasciarci senza i suoi strepitosi teoremi su tutto: dalla Tap che «chiuderemo in 15 giorni», alla Tav, i cui sostenitori sarebbero stati collusi con la ‘ndrangheta, e per quest’ultima genialità, querelato).
Di Maio decide di mandare Lino Banfi all’Unesco e cinque minuti dopo il commento di Salvini, che non trattiene un ghigno ironico, è questo: «E Jerry Calà? E Renato Pozzetto? E Umberto Smaila?». Ma pure Di Maio, a volte, è duro: «Matteo non fare il bimbo». Oppure: «Vediamo chi ha la testa più dura».
I giornali riescono quasi sempre a raccontare nel dettaglio i punti di attrito, spesso si va per retroscena, gole profonde, Giuda occasionali: così si apprendono liti furibonde per la voglia dei Cinque Stelle di nazionalizzare tutto, acqua, Alitalia, autostrade, ma è tosta anche la battaglia che si tiene per la conquista della Rai o per la nomina dei vertici delle varie partecipate.
Però resta abbastanza memorabile quella volta che Di Maio andò nel salotto televisivo di Bruno Vespa e spifferò l’inferno che era in corso con Salvini, ricorderete la storia della «manina» che aveva modificato un passaggio importante nel testo della manovra finanziaria. Come sempre, come in tutte le storie d’amore che finiscono, più ci pensi, più ti tornano in mente i ricordi brutti. Quelli belli, solo dopo. Con il tempo. A volte.