SOLO COINCIDENZE? – ZANONATO BLOCCA L’IMU E L’AUMENTO DELL’IVA E LETTA E SACCOMANNI RIAPRONO IL DOSSIER SULLA VENDITA DI ENEL, ENI E FINMECCANICA

Massimo Riva per "l'Espresso"

Dice il ministro Zanonato che sicuramente sarà abolita l'Imu sulla prima casa e anche cancellato l'aumento dello scaglione Iva dal 21 al 22 per cento. Nessuno sa con quali risorse alternative sarà coperto il conseguente buco nei conti pubblici, ma l'impegno del governo su queste richieste della sua ala berlusconiana risulta così categorico.

Nel frattempo sia il premier Letta sia il ministro Saccomanni hanno riaperto l'antica partita della cessione sul mercato dei residui pacchetti azionari (il 30 per cento circa) di Enel, Eni e Finmeccanica. Fra le due questioni, a prima vista, non c'è alcun collegamento di logica contabile, ma la concomitanza temporale fra i due annunci suggerisce di stare in guardia. Il rischio è che sotto traccia stia maturando la tentazione di un corto circuito fra dossier dismissioni e le promesse su Imu e Iva.

Di una fuoriuscita dello Stato dal capitale delle tre maggiori aziende pubbliche si parla da tempo. Al fine - si assicura - di usare il ricavato per ridurre la montagna oppressiva del debito pubblico secondo una visione ragionieristica impeccabile: meno patrimonio contro meno debito. Finora non si è proceduto su questa strada a causa di non trascurabili perplessità politiche.

In Eni ed Enel sta la chiave dei rifornimenti energetici del paese, in Finmeccanica - al netto dei malaffari recenti e passati - c'è una parte importante della presenza italiana sia su mercati ad alta tecnologia sia su comparti strategici come quello degli armamenti. Su terreni così delicati può lo Stato accontentarsi di esercitare il suo controllo senza detenere azioni, ma ricorrendo a quel controverso strumento giuridico che va sotto il nome di "golden share"?

Il quesito è sensato, ma oggi appare aperto più in astratto che in concreto. E ciò per la semplicissima ragione che la vendita di Enel, Eni e Finmeccanica a fini di riduzione del debito sarebbe un'opzione poco conveniente in termini contabili. Agli attuali corsi di Borsa il ricavato supererebbe di poco la ventina di miliardi, tirandosi dietro anche la perdita di oltre 600 milioni annui di mancati dividendi. Cosicché si finirebbe col perdere il controllo di importanti cespiti industriali per tagliare il debito di un magro 1 per cento: somma insignificante sia agli occhi dei mercati sia quanto a minori costi del servizio del debito.

E, infatti, dentro il governo si sta guardando a ipotesi alternative di leva finanziaria sui pacchetti delle tre grandi aziende. Una di queste sarebbe quella di usare il valore delle azioni detenute dallo Stato come collaterale di nuovi prestiti che, poggiando su simili garanzie, potrebbero spuntare tassi d'interesse ben più bassi di quelli attuali sul debito.

Ma anche qui sorge un bel problema: che accadrebbe sui mercati di fronte all'emissione di questi titoli privilegiati? Il rischio serio è che il risparmio ottenuto da un lato verrebbe ampiamente superato dall'altro a causa della richiesta di rendimenti assai più elevati sulla parte rimanente del debito. Insomma, l'ingegneria finanziaria è un campo ricco di controindicazioni che non possono essere aggirate con meri esercizi di fantasia.

Resta perciò da capire dove voglia andare a parare davvero il governo Letta riaprendo il dossier dismissioni. Che vi siano impellenti necessità di cassa è fuor di dubbio. Non si vorrebbe però che il ricorso a cessioni o ipoteche di cespiti patrimoniali obbedisse non all'esigenza di ridurre volume e oneri del debito pubblico, ma all'inconfessabile fine di trovare finanziamenti temporanei per scelte politiche di parte corrente: tanto peggio se assai opinabili come quelle, appunto, su Imu e Iva.

Avvalora simile dubbio increscioso il fatto che lo stop su queste due imposte sia appena stato riconfermato in termini ultimativi dal ministro Zanonato senza che sia stato ancora sciolto il nodo delle risorse compensative. Ecco perché appare necessario richiamare un'elementare regola di buona condotta contabile: ogni intervento sul patrimonio non può avere fine diverso dal taglio dell'indebitamento.

 

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