
TRA IL TRUMPUTINIANO SALVINI E QUEL MERLUZZO LESSO DI TAJANI FINISCE A STRACCI – LA SPACCATURA TRA LEGA E FORZA ITALIA NON SI DEVE SOLO ALLE POSIZIONI SUL PIANO DI RIARMO UE E SULL’EUROPA (CON LE STILETTATE DI TAJANI CONTRO I “POPULISTI QUAQUARAQUA’”) MA ANCHE SUL FRONTE INTERNO: IL LEADER DEL CARROCCIO È IMBUFALITO PER LA FUGA DEGLI ELETTI DELLA LEGA VERSO FORZA ITALIA (L’ULTIMO CASO E’ QUELLO DEL DEPUTATO DAVIDE BELLOMO MA SONO UNA TRENTINA I PASSAGGI DA UN PARTITO A UN ALTRO) – L’INCONTRO TRA MELONI E TAJANI ALLA VIGILIA DEL VERTICE DI PARIGI CON L’ESCLUSIONE DI SALVINI, IL NODO DELL’INVIO DELLE TRUPPE E LE MANOVRE IN VISTA DELLE REGIONALI: DAGOREPORT
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Articolo di Antonio Fraschilla per “la Repubblica” - Estratti
Dietro le tensioni tra Matteo Salvini e Antonio Tajani non ci sono solo i temi di politica estera, il rapporto Usa-Europa, o le questioni di casa nostra legate alla politica economica del governo. Come raccontano a microfoni spenti alcuni alti dirigenti di entrambi i partiti, ad alimentare le tensioni esplose in questi giorni ci sono argomenti più prosaici. Uno in particolare non piace a Salvini: la campagna acquisti messa in atto da FI verso alcuni dirigenti del Carroccio.
Con Tajani che sfrutta la virata a destra del Capitano e attrae i moderati del partito fondato da Umberto Bossi. «Un continuo accaparramento di nostri amministratori fin dall’insediamento di questo governo», sussurra un leghista, sottolineando come la goccia che ha fatto traboccare il vaso sia stato il passaggio, a legislatura in corso, del deputato Davide Bellomo: «Lascio un partito alleato con Orban e Afd, con l’estrema destra; intese che mi creano disagio», ha detto l’ormai ex deputato leghista accolto a braccia aperte da Tajani.
antonio tajani matteo salvini meme by edoardo baraldi
Ma, appunto, questo è solo l’ultimo casus belli. Dicono che in via Bellerio giri una cartellina, aggiornata, con i nomi di almeno una trentina di dirigenti passati a Forza Italia, e alcuni anche a Noi moderati, l’altro contenitore centrista molto più vicino alla premier Giorgia Meloni. I numeri più significativi sono quelli in direzione forzista. E sono soprattutto al Nord.
Qualche giorno fa ha annunciato il suo passaggio dalla Lega a FI l’assessore della provincia autonomia di Bolzano Christian Bianchi. In Valle d’Aosta invece ha lasciato il Carroccio il consigliere regionale Christian Ganis, anche lui lamentando «la deriva a destra» impressa da Salvini al partito. In Veneto è in corso la battaglia più forte tra Lega e forzisti, questi ultimi guidati dall’ex leghista Flavio Tosi, in pressing per incassare l’arrivo tra gli azzurri del consigliere regionale Enrico Corsi, dopo gli addii al Carroccio del consigliere regionale Fabrizio Boron, dell’ex vicepresidente della Regione Gianluca Forcolin e dell’ex deputato Paolo Paternoster.
Tosi fa scouting tra i delusi e ha già preso dalla sua parte anche gli ex leghisti lombardi Gianmarco Senna, Max Bastoni e Gianmarco Reguzzoni. In Piemonte danno in uscita dalla Lega l’ex consigliere regionale Gianluca Gavazza. A Milano ha lasciato la Lega la consigliera comunale Deborah Giovanati, insieme a cinque consiglieri nei Municipi: tutti verso FI. A Firenze è toccato all’ex consigliere regionale Jacopo Alberti, e sempre stessa destinazione.
Anche nelle Marche c’è stata una vera fuga dalla Lega verso gli azzurri con tanto di benedizione di Tajani: hanno lasciato il partito di Salvini i consiglieri regionali Mirko Bilò e Giovanni Dallasta e la consigliera Lindita Elezi. In Umbria il consigliere regionale Stefano Pastorelli ha salutato i colleghi leghisti per iscriversi al gruppo di FI, questa volta con la benedizione del deputato nazionale azzurro Raffaele Nevi.
ANTONIO TAJANI - MATTEO SALVINI
La scorsa estate nel Lazio aveva fatto rumore l’addio al Carroccio di Giuseppe Cangemi, vicepresidente del consiglio regionale, anche lui in direzione dei berlusconiani: poche settimane prima aveva lasciato la Lega per andare in FI anche il consigliere regionale Angelo Tripodi. E con loro è approdato tra i berlusconiani anche il sindaco di Ladispoli Alessandro Grando.
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Ma attenzione, Salvini è irritato certo con Tajani perché la gran parte delle fughe hanno avuto come punto di approdo proprio la casa forzista. Ma dall’inizio della legislatura ci sono stati altri saluti di leghisti, andati però nell’altra sigla moderata del centrodestra: quella guidata da Maurizio Lupi. In via Bellerio però il nemico vero, per via della concorrenza, è considerato soprattutto uno: e si chiama Forza Italia.
MELONI
Tommaso Ciriaco per repubblica.it - Estratti
antonio tajani, giorgia meloni e matteo salvini in senato foto lapresse
(…) Meloni ha bisogno di condividere con i partner la posizione che consegnerà a Francia e Gran Bretagna, pronte a impegnarsi sul terreno.
È un punto cruciale, quello della partecipazione a un’eventuale spedizione continentale. La recente apertura dei “volenterosi” europei ad una missione di pace sotto le bandiere delle Nazioni Unite, che dovrà essere ovviamente benedetta dalla Russia, è un punto di svolta. Che alla fine la missione nasca davvero dentro il perimetro dell’Onu, o che invece si limiti ad essere coalizione internazionale di peace-keeping, è un dettaglio che conta relativamente, a questo punto: l’Italia, in qualche modo, sarà della partita. Con osservatori, o magari con militari lontani dal fronte. In ogni caso, Roma non può restare a guardare.
giorgia meloni antonio tajani matteo salvini
Gli Stati Uniti, d’altra parte, sembrano procedere speditamente e senza coinvolgere l’Unione europea. Ecco perché le principali capitali sono costrette a lasciare da parte i tatticismi delle prime fasi e concentrarsi su ciò che unisce. Aprendo ad una missione Onu, ad esempio, Francia e Regno Unito hanno reso evidente un dato chiaro fin dal primo momento: invieranno soldati solo con il consenso di Mosca. Allo stesso modo, Roma continua a frenare, consapevole però che alla fine un’adesione all’operazione sarà inevitabile, viste anche le pressioni di colossi come Leonardo e Fincantieri.
Di fronte a Macron e Starmer, comunque, Meloni dirà che l’ombrello delle Nazioni Unite resta una soluzione ragionevole. Ma la premier si concentrerà soprattutto su un punto: le garanzie di sicurezza per l’Ucraina (e per l’Europa). L’Italia sostiene la necessità di attivare un meccanismo simile a quello dell’articolo cinque della Nato, che impone l’intervento anche militare in supporto ai membri dell’alleanza sotto attacco. In questo senso, Meloni ricorderà che Kiev si è espressa a favore di questa ipotesi. E potrebbe richiamare anche la cauta apertura a questa opzione espressa dall’inviato di Trump per l’Ucraina, Steve Witkoff.
antonio tajani matteo salvini giorgia meloni
Tutto è in rapido movimento. E a Roma, come a Parigi e a Berlino, nessuno riesce a pesare davvero le intenzioni di Vladimir Putin. Tutti, però, temono che Mosca sia tentata di allungare i tempi della mediazione. Una tattica che potrebbe irritare Washington e determinare effetti imprevedibili. Per questo, l’Europa deve farsi trovare pronta.
giorgia meloni antonio tajani matteo salvini
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