1. “LA MAGISTRATURA MIOPE TALVOLTA UCCIDE”, SONO LE ULTIME PAROLE DI FRANCESCO MENETTO, PEDIATRA DI 65 ANNI, PRIMA DI LANCIARSI DA UN PONTE DI GENOVA, CONTRO L’ARRESTO DEL FIGLIO FARMACISTA, COINVOLTO IN UN’INCHIESTA DI MONZA SU FARMACI RUBATI 2. PAROLE DISPERATE, ALLE QUALI IL PROCURATORE DI MONZA CORRADO CARNEVALI HA PENSATO BENE DI RISPONDERE: “ORMAI DICONO TUTTI COSÌ. NON C’È ALTRO DA COMMENTARE”
1. GLI ARRESTANO IL FIGLIO E SI SUICIDA: “GIUDICI MIOPI” BUFERA SUL PROCURATORE: “ORMAI DICONO TUTTI COSÌ”
Giuseppe Filetto e Marco Preve per “la Repubblica”
Il dottore con la cravatta di Gatto Silvestro non ha retto l’onta di quella che riteneva un’ingiustizia. Si è lanciato dal ponte Monumentale, nel pieno centro di Genova e a pochi metri dal suo vecchio studio, prostrato e turbato dall’arresto del figlio, un farmacista finito ai domiciliari con l’accusa di aver commercializzato medicinali rubati.
Francesco Menetto, 65 anni, uno dei pediatri più noti del capoluogo ligure, che ha curato centinaia di bambini spostandosi al volante della sua Smart e indossando cravatte con i personaggi dei cartoni animati, prima di uccidersi ha lasciato alcuni scritti al figlio. E su una lettera compare una terribile accusa: «La magistratura miope talvolta uccide».
Una frase che poche ore dopo ha originato una replica altrettanto scioccante, quella del procuratore capo di Monza Corrado Carnevali: «Ormai dicono tutti così. Non c’è altro da commentare ».
Parole che hanno a loro volta hanno suscitato lo sdegno del viceministro della Giustizia, Enrico Costa: «Di fronte a questo tragico gesto che mi ha profondamente turbato, spero che le parole riportate come pronunciate dal Procuratore non siano state riportate in modo corretto, perché diversamente sarebbero parole fuori luogo».
Con Menetto, l’altra notte stava per lanciarsi dal ponte che affaccia sulla strada principale di Genova, via XX Settembre, anche la moglie. La donna, in stato confusionale, dopo aver visto il marito buttarsi, è stata però trattenuta dai poliziotti di una volante chiamati dall’inquilino di un palazzo. Due anni fa, un’altra figlia della coppia si era uccisa lanciandosi da un ponte.
Marco Menetto, che ieri mattina dopo il suicidio del padre ha ottenuto attraverso l’avvocato Umberto Pruzzo la revoca dei domiciliari, ha saputo alle quattro del mattino dalla polizia cosa era accaduto.
«È un dramma — ha detto — che non potevo neppure immaginare. Io sono più razionale anche nell’affrontare una vicenda del genere, mio padre invece non ha retto. Non credo che la magistratura sia responsabile, ma la nostra vicenda è emblematica di quanto certi provvedimenti vengano presi forse senza le dovute riflessioni. Senza pensare che si sta colpendo una persona incensurata. Non si può spiegare solo con l’ingiustizia il gesto di mio padre, ma lui era davvero sconsolato».
E poi conclude: «Mio padre curava i bambini, non ha fatto altro nella sua vita. Le accuse pesavano sull’onore della nostra famiglia. Abbiamo una sensibilità diversa da un comune delinquente ».
MINISTERO GIUSTIZIA Via Arenula
L’inchiesta che ha coinvolto Marco Menetto è quella della procura di Monza che, il 2 di aprile, aveva fatto registrare 19 arresti ad opera dei carabinieri del Nas. Al centro dell’indagine un traffico di farmaci rubati — anche degli antitumorali — reimmessi in circolazione in un mercato parallelo.
A Genova cinque persone erano finite agli arresti domiciliari. Tre dipendenti di una ditta farmaceutica, e poi Marco Menetto e la moglie Valentina Drago, titolari della farmacia San Giacomo che vendeva anche all’ingrosso.
Per la donna, il Tribunale del Riesame di Milano aveva deciso che non sussistevano i gravi indizi di colpevolezza e aveva annullato l’ordinanza di custodia subito dopo l’interrogatorio di garanzia. Lo stesso era accaduto per un altro arrestato, Matteo Gavini.
Menetto si è sempre difeso sostenendo la sua buona fede. La sua attività, legale, era quella dell’importazione parallela di farmaci di marca che all’estero costano meno. Per ogni partita, i numeri di serie vengono verificati con la banca dati del Ministero della Sanità per controllare che non appartengano a lotti rubati. Il passaggio sarebbe stato fatto, dicono gli indagati, e la risposta sarebbe stata negativa.
Il farmacista ha raccontato alla polizia l’ultimo incontro con il padre: «Sono venuti lui e mia mamma a cena a casa mia ( le famiglie abitano in una villa divisa in due appartamenti, ndr) abbiamo guardato la televisione e poi hanno detto che uscivano perché mio papà aveva un visita urgente ». Verso l’una e mezza il pediatra ha mandato un sms al figlio che però stava dormendo. «Apri il cassetto del mobile, troverai una busta. È importante». Dentro c’era un biglietto di scuse, indicazioni per un testamento, contanti e l’accusa ai magistrati.
2. ARRESTANO IL FIGLIO SI UCCIDE ACCUSANDO I PM LA REPLICA SHOCK: “DICONO TUTTI COSÌ”
Piero Colaprico per “la Repubblica”
IL senso della misura una volta era importante e spiace che l’abbia perso, almeno ieri, un magistrato come Corrado Carnevali, uomo tutto d’un pezzo, carriera cristallina. Nessun essere umano può entrare nel suicidio di un altro. Uccidersi è qualche cosa che sfugge alle regole razionali.
Alle regole che ci aiutano a distinguere bene e male. Ma quando un padre si uccide e lascia un biglietto con su scritto «magistratura miope a volte uccide», come si può replicare, come ha fatto il magistrato, «ormai dicono tutti così»? Dovrebbe prevalere il senso della pietà e il silenzio sarebbe appropriato: anche se si reputano ingiuste, non si risponde alle parole di un uomo che si toglie la vita.
Nessuno può entrare nella storia drammatica di una famiglia flagellata già in passato da un altro suicidio. Ma certo il medico di Genova e sua moglie dovevano essere profondamente sconvolti dall’inchiesta sul figlio, un farmacista messo agli arresti domiciliari accusato di una truffa sui medicinali: la coppia aveva addirittura progettato un doppio suicidio. Dovevano mettere fine insieme alle loro vite, immaginando forse così di rendere ancora più eclatante la loro protesta contro la magistratura. Fortunatamente, la donna si è poi sottratta a questo patto di morte con il marito.
Con il dolore, con la sofferenza psichica, hanno spesso a che fare i magistrati, specie quelli che si occupano di diritto penale. Non si danno ragioni e torti, come nel civile. Non si «paga» e non si risarcisce come nel commerciale. Il diritto penale ha a che fare con la carne, il sangue, il dolore, gli anni di carcere. Il penale indaga sull’essenza più oscura degli esseri umani. Il dottor Carnevali la conosce, si è occupato di malavita organizzata, di corruzione, di gang, di colletti bianchi, di omicidi. Stupisce allora che il procuratore capo di Monza si sia lasciato andare a parole così inopportune, anche se poi sono state temperate dalla frase «siamo profondamente dispiaciuti ».
Certo in quel «dicono tutti così» c’è il segno di un clima, di un Paese che ha visto intorno alla magistratura una battaglia di delegittimazione potente e insistita, che ha visto molti politici dare sempre e comunque la colpa alla magistratura, accusare i giudici di complotti politici, parlare di «toghe rosse», di procure come «cellule tumorali», di inchieste come soprusi. E c’è una magistratura che si chiude a riccio, esasperata, come si è visto due settimane fa, quando Claudio Giardiello ha ucciso tre persone, tra le quali un giudice, dentro il palazzo di giustizia di Milano.
Molti dicevano la stessa cosa che ha detto ieri il procuratore monzese, «Ci colpiscono perché siamo nel mirino». Un eccesso di vittimismo?
C’è stata in Italia una complessa opera di reciproche delegittimazioni che negli ultimi vent’anni, quelli dominati da Silvio Berlusconi come attore protagonista dello scontro con la magistratura, hanno portato a una nebbia sempre più fosca e a un conflitto strisciante: ma nessun clima può giustificare una reazione così sbagliata, niente dovrebbe far dimenticare l’umanità e il rispetto della vita. Forse nemmeno questo suicidio accompagnato dalla mancanza di pietas servirà a cambiare di qualche virgola il clima di questo inizio di millennio. O forse potrebbe avviare una riflessione collettiva. L’importante sarebbe almeno non dimenticare, ma anche questa amnesia generale è diventata una caratteristica italiana: qui la memoria viene mantenuta soprattutto dalle vittime.