PROVE TECNICHE DI RIFORMA – SULL’ARTICOLO 18 RENZIE PENSA DI CAVARSELA CON UN INDENNIZZO AL POSTO DELL’OBBLIGO DI REINTEGRO – I CONTRATTI DI SOLIDARIETÀ SERVIRANNO ANCHE A FARE NUOVE ASSUNZIONI

1. “CONTRATTI DI SOLIDARIETÀ PER ASSUMERE”

R.Ma. per “la Repubblica

 

Matteo Renzi Matteo Renzi

Entra nel vivo l’esame del Jobs Act e comincia a delinearsi un nuovo mercato del lavoro: più flessibile non solo per i contratti di assunzione, cioè in entrata, ma anche nell’organizzazione interna delle aziende. Un passo verso il modello tedesco.

 

Ieri la Commissione Lavoro del Senato ha approvato un emendamento del governo che permette di far leva sulla riduzione dell’orario di lavoro sia per difendere i posti di lavoro in casi di ristrutturazioni aziendali (come è accaduto per esempio di recente alla multinazionale svedese dell’Electrolux) ma pure per accrescere i livelli occupazionali. Una spinta insomma all’uso dei contratti di solidarietà in chiave “espansiva”: meno orario, meno salario ma più posti di lavoro.

GIULIANO POLETTI GIULIANO POLETTI

 

Dal modello “solidaristico” tedesco a quello francese. Perché è stata approvata all’unanimità anche una norma che introduce le ferie solidali, già previste Oltralpe. Un lavoratore potrà cedere i giorni di riposo in più (eccedenti il numero previsto dal contratto nazionale) a un collega (maschio o femmina), genitore di un figlio che «necessita di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute».

 

Via libera anche al contratto di ricollocazione, già in fase di sperimentazione per gli esuberi previsti dall’ultimo piano di riorganizzazione dell’Alitalia da parte della Regione Lazio, con l’obiettivo di renderlo strutturale, garantendo l’effettivo reinserimento nel mercato a chi ha perso l’occupazione.

 

È passata in Commissione anche una norma che combatte lo scandalo delle dimissioni in bianco alla quali sono costrette spesso le lavoratrici. Sono stati introdotti criteri per garantire la data «certa e autentica» della scelta di dimettersi.

 

Maurizio Sacconi Maurizio Sacconi

E ora la discussione si sposterà sulle norme relative all’introduzione del contratto a tutele crescenti. È lì, dunque, che si dovrà sciogliere il nodo dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Lo ha detto chiaramente il presidente della Commissione Lavoro di palazzo Madama, Maurizio Sacconi (Ncd): «Dopo aver irrobustito le politiche di protezione attiva dei senza lavoro, ora ci attende la riforma dello Statuto dei lavoratori, con lo scopo di incoraggiare la propensione ad assumere, di aumentare la dimensione delle imprese, di accrescere la produttività del lavoro».

 

Cesare Damiano Cesare Damiano

Dichiarazione che implicitamente considera tra le norme da riscrivere pure l’articolo sui licenziamenti. D’altra parte questo è l’obiettivo dei partiti di centro e di destra della maggioranza, mentre non lo è per il Pd. Con il governo che non ha ancora deciso come schierarsi. Si dovrà cercare un accordo. La discussione riprenderà martedì. «L’obiettivo — ha detto il sottosegretario al Lavoro, Teresa Bellanova — è arrivare a una posizione solida nella maggioranza».

 

Secondo i piani del governo la legge delega (il Jobs Act, secondo la definizione che ne ha dato il presidente Renzi) dovrebbe essere approvato dalle due Camere tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre. Entro i primi mesi del 2015 dovrebbero poi arrivare i decreti sui quali stanno già lavorando gli uffici del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.

 

 

2. “LA TENTAZIONE DI RENZI SULL’ARTICOLO 18: USARE L’INDENNIZZO INVECE DEL REINTEGRO”

Roberto Mania per “la Repubblica

 

renzi porta a porta renzi porta a porta

La grande tentazione di Renzi si chiama indennizzo. Superare cioè definitivamente la possibilità prevista ancora dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori di reintegrare i lavoratori ingiustamente licenziati e affidare la soluzione della controversia a un risarcimento monetario. Che questo sia il suo orientamento, il premier l’ha detto chiaramente nell’intervista al Sole 2-4 Ore all’inizio di questo mese. Che questa sia una strada politicamente praticabile è però ancora tutto da verificare. Ecco perché, per ora, né Renzi né il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, scoprono davvero le carte.

 

Il round importante si sta giocando al Senato. Da martedì la discussione sul Jobs Act, che contiene le linee della riforma del mercato del lavoro che le istituzioni europee considerano necessaria per ridurre i nostri deficit competitivi, si concentrerà sull’articolo 4, cioè quella norma che, tra l’altro, delega il governo a prevedere «eventualmente in via sperimentale» il contratto a tutele crescenti. Ed è tra le righe di questa disposizione che si apre lo scontro nella maggioranza sull’articolo 18.

 

renzi porta a portarenzi porta a porta

Perché i centristi di Scelta civica e la destra dell’Ncd propongono di superare definitivamente l’istituto del reintegro, mantenendolo solo per i licenziamenti discriminatori, e introdurre per tutti un indennizzo monetario il cui ammontare è destinato a crescere con l’anzianità di servizio aziendale del lavoratore interessato. Una via che Palazzo Chigi considera eccessivamente costosa ma che, tuttavia, con l’introduzione di un sistema di tutele più ampio rispetto all’attuale, così come prevede il Jobs Act, potrebbe effettivamente rappresentare la base per costruire la soluzione. Il nodo è però politico.

 

Il Pd, al Senato e soprattutto alla Camera, dove in commissione lavoro, a cominciare dal presidente Cesare Damiano, è foltissima la rappresentanza dei deputati di formazione Cgil, vede questa ipotesi come fumo negli occhi. E rilancia con un modello diverso: contratto a tutele crescenti, con i soli primi tre anni di assunzione privi della garanzia dell’articolo 18. La conferma del lavoratore dopo i tre anni di prova verrebbe “premiata” con un significativo sgravio fiscale. Resterebbe in generale la funzione deterrente della norma dello Statuto dei lavoratori, e, in particolare, a parte i primi tre anni di sospensione, rimarrebbe inalterata nella formula soft introdotta con la legge Fornero di due anni fa.

 

GIULIANO POLETTI IN SENATO FOTO LAPRESSE GIULIANO POLETTI IN SENATO FOTO LAPRESSE

Davanti al muro contro muro nella maggioranza, il pallino è chiaramente nelle mani del governo. Il quale potrebbe decidere di individuare la soluzione nel decreto delegato che arriverà prevedibilmente l’anno prossimo, oppure trovare fin dalla prossima settimana, o addirittura in questo fine settimana, un accordo con i partiti della sua maggioranza per poi presentare i relativi emendamenti.

 

Dice Cesare Damiano: «Dobbiamo avere “visibilità” su tutto. Non possiamo avere davanti diversi punti bui». L’ex ministro del Lavoro, oggi esponente della minoranza laburista del partito, chiede un accordo politico. «Altrimenti - aggiunge - si corre il rischio di trasformare la delega sul lavoro in una specie di pallina da ping pong che passa dal Senato alla Camera e viceversa. Questo perché, è bene che si sappia, una eventuale soluzione concordata al Senato senza il preventivo consenso della Camera è destinata a non andare molto avanti. Ripeto, serve un accordo politico impegnativo che vincoli tutti: Renzi, Poletti e le commissioni parlamentari ».

 

Il ruolo di mediatore è stato affidato a Poletti che non si è mai esposto sull’articolo 18. Ha detto che non è di certo il cuore della riforma e che, in ogni caso, ciò che alla fine dovrà essere considerato sarà «l’equilibrio» dell’intero Jobs Act. In linea con quanto Renzi ha dichiarato al Sole quando alla domanda se la soluzione fosse quella del superamento della reintegra obbligatoria prevista dall’articolo 18 ha risposto: «Quella è la direzione di marcia, mi sembra ovvio. Sarà possibile solo se si cambierà il sistema delle tutele».

Articolo 18 BOMBAArticolo 18 BOMBA

 

Ma non c’è solo l’articolo 18 che divide la maggioranza. C’è la richiesta del centro-destra di prevedere il demansionamento del lavoratore e anche quello del suo controllo a distanza. Con il Pd disposto a ragionare (guardando ai possibili scambi con l’articolo 18) purché non si intacchi nel primo caso la retribuzione e nel secondo si sorvegli l’impianto non chi ci lavora. E presto Renzi, che ieri sera ha incontrato Poletti e il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, dovrà decidere quando scoprire le sue carte.

 

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