IL TETTO CHE SCOTTA - MENTRE ANCHE L’UE AVVIA LA STRETTA SUGLI STIPENDI DEI MANAGER, MUCCHETTI SCATENA IL SENATO CONTRO SCARONI, CONTI E CATTANEO. E CHIEDE A RENZI DI NON RINNOVARLI

1-IMPRESE, NIENTE TETTO UE REMUNERAZIONI MANAGER, MA VOTO VINCOLANTE AZIONISTI
Antonio Pollio Salimbeni per ‘Radiocor'

Niente tetto Ue alle remunerazioni dei manager delle diecimila societa' quotate nell'Unione europea, ma le politiche di remunerazione devono essere sottoposte al voto vincolante degli azionisti ogni tre anni e ogni anno gli azionisti avranno il diritto di votare il rapporto sulle remunerazioni in cui vengono spiegati i 'pacchetti' delle retribuzioni dei vertici aziendali. E' questa una delle proposte lanciate oggi dalla Commissione europea nel quadro di nuove misure con le quali si vuole migliorare la 'corporate governance'. Se ne occuperanno nei prossimi mesi Consiglio e il nuovo Parlamento.


2-BOIARDI DI STATO, 103 MILIONI IN NOVE ANNI
Luca Piana per ‘L'Espresso'

Il senso politico è chiarissimo. Il governo di Matteo Renzi è invitato da un ampio schieramento, che per una volta vede insieme Pd, Movimento 5 Stelle, Sel e Lista civica, a cambiare profondamente i vertici delle grandi aziende controllate dallo Stato. La mozione che arriva dalla Commissione Industria del Senato, presieduta da Massimo Mucchetti, chiede, ad esempio, che non vengano confermati presidenti e amministratori delegati che - tra l'altro - abbiano già effettuato tre mandati.

Una tagliola che basterebbe per far cadere i numeri uno di Terna, Enel ed Eni, rispettivamente Flavio Cattaneo, Fulvio Conti e Paolo Scaroni. Al di là delle raccomandazioni dei senatori, è però la relazione che ha concluso i lavori a riservare non poche stilettate - ma anche qualche considerazione favorevole - per gli uomini che, in alcuni casi, guidano i colossi di Stato ormai dal 2005.

Un argomento caldo è quello delle retribuzioni: Cattaneo, in otto anni e mezzo di mandato, si è visto garantire una remunerazione complessiva di 23,2 milioni di euro, vedendo i suoi introiti - fra stipendio, Tfr, stock option e bonus - salire dagli 1,4 milioni del 2006 ai 3,8 milioni del 2013, cifre rispettivamente pari a 21 e 47 volte il costo del lavoro medio nella sua azienda. Una cifra quasi modesta, se si considerano i livelli raggiunti da Conti e da Scaroni.

L'amministratore delegato dell'Enel, ad esempio, in nove anni ha raggiunto una remunerazione totale di 34,9 milioni di euro. Per lui, se si considerano i 3,9 milioni di euro maturati nel 2013, il rapporto rispetto al costo medio di un lavoratore dell'azienda è di 62 volte tanto. Se Alessandro Pansa, amministratore delegato di Finmeccanica non fa testo (è stato nominato solo un anno fa e ha mantenuto la retribuzione da direttore generale, rifiutando gli aumenti), il più pagato è però Scaroni. Per lui i tre mandati al vertice dell'Eni hanno fruttato la somma di 45 milioni di euro, con una remunerazione 2013 che - se si considera la quota annualizzata del trattamento di fine rapporto - si attesta a 5,6 milioni di euro. Ovvero 73 volte il costo medio pro capite delle maestranze italiane.

Ma non finisce qui. Perché la relazione firmata da Mucchetti si spinge più in là. La gestione di Terna targata Cattaneo non ne esce a pezzi, anche se va considerato il ruolo delle tariffe garantite. «La capacità di investimento è migliorata, anche grazie al contributo premiante della regolazione», così appaiono «crescenti» i margini, osserva il presidente della Commissione Industria sulla società che gestisce la rete elettrica italiana. «Dalla nomina di Cattaneo, Terna ha dato un ritorno per gli azionisti (calcolato sommando l'andamento delle quotazioni del titolo più i dividendi, ndr) medio annuo del 15 per cento, contro il 13,2 per cento del gruppo più paragonabile», indicato nell'inglese National Grid, nonché triplo rispetto a quello del settore.

Più problematico il giudizio sull'Enel, un gruppo ben più grande e complesso di Terna. In questo caso il ritorno annuo per gli azionisti sotto la gestione Conti è stato del 2,5 per cento, meno del 3,6 per cento del settore a livello internazionale. I colossi tedeschi E.On e Rwe hanno fatto però peggio, con un ritorno negativo, mentre la francese Edf è alla pari. Mucchetti osserva però che il ritorno garantito dall'Eni deriva interamente dai dividendi, visto che sotto la guida di Conti i titoli Enel in Borsa si sono svalutati in media del 4,8 per cento l'anno. Dal punto di visita dell'espansione non c'è che dire.

L'ex monopolio pubblico nel 2005 aveva 34 miliardi di ricavi, oggi ne ha 81. «Il punto critico è rappresentato dal debito», si legge nella relazione, visto che tra acquisizioni all'estero e i forti dividendi pagati agli azionisti (tra cui il Tesoro) i debiti finanziari sono saliti da 12 a 39,8 miliardi di euro (ma avevano raggiunto un picco di 56 miliardi nel 2007).

«Negli ultimi due anni, con la presidenza di Paolo Andrea Colombo, la società ha ridotto drasticamente i dividendi per accelerare il rientro del debito», scrive il relatore, che semina qualche dubbio sui propositi enunciati dal numero uno dell'Enel: «Conti ha dichiarato di non nutrire la minima preoccupazione per il debito e di vedere la prospettiva di un ritorno a dividendi in crescita. Fino a quando i tassi d'interesse resteranno bassi e se l'economia riprende rialimentando i margini la scommessa può reggere.

Nel caso di un'inversione di tendenza sui tassi e di una prosecuzione della crisi della domanda elettrica in Italia e in Spagna, il debito può rappresentare ancora un problema». Anche per l'Eni la gestione di Scaroni, dal punto di vista del ritorno per gli azionisti non ha brillato. La media annua è stata del 4,2 per cento, contro un indice globale del 6,3 per cento. Hanno fatto peggio la spagnola Repsol e l'inglese Bp, mentre la francese Total ha garantito ai soci il 5,6 per cento annuo, l'olandese Shell l'8,6 per cento e l'americana Chevron addirittura il 12,4 per cento.

Mucchetti non risparmia al manager vicentino una tirata d'orecchie: «Nella relazione alla commissione Scaroni ha proposto un Tsr cumulato (l'acronimo inglese per il ritorno totale per gli azionisti, ndr) del 61 per cento contando a partire dal 16 maggio 2005, giorno nel quale, ha detto, il suo nome è stato fatto con immediati effetti benefici sulle quotazioni, anziché dal girono della nomina (1 giugno 2005). Si ritiene non accettabile come unico punto di vista quello dell'ad dell'Eni per più di una ragione», scrive il presidente della commissione Industria. Tra queste ragioni, il fatto che «in quelle settimane tutti i titoli ebbero un rialzo che consentirebbe un certo maquillage anche agli altri amministratori delegati, che hanno peraltro seguito il nostro ovvio criterio».

E soprattutto, rifacendo il calcolo, migliora il ritorno medio annuo dell'Eni (al 5,5 per cento) ma pure quello dell'intero settore internazionale (al 7,9 per cento). La questione economicamente più importante è sempre di come quel ritorno è stato garantito.

L'Eni lo ha fatto grazie a massicci dividendi, visto che nel periodo il titolo ha perso mediamente l'1,9 per cento l'anno. E anche su come sono stati generati i profitti che hanno consentito la distribuzione dei dividendi, sugli ultimi anni Mucchetti mostra qualche perplessità: «L'utile del 2013, 5,2 miliardi, è sostenuto da rilevantissime plusvalenze nette, tra cui la cessione della russa Artic Gas, di parte dei giacimenti in Mozambico e di altre attività patrimoniali, che saranno meglio leggibili quando sarà reso noto il bilancio.

Del resto, anche i conti del 2012 erano a loro volta sostenuti dalle plusvalenze sulla cessione di Snam e della prima quota nella portoghese Galp. Va detto poi che tutti i settori sono in perdita, meno l'upstream (l'estrazione degli idrocarburi, ndr) che comunque guadagna meno. Il gruppo più simile all'Eni, la francese Total, è andata meglio come risultato globale e come risutlati settoriali, tutti in attivo».

 

 

Roberto Speranza e Massimo Mucchetti Cremonesi Mucchetti Speranza Fulvio Conti e Paolo Scaroniimage Flavio Cattaneo Flavio Cattaneo pansa alessandro RENZI E PADOAN

Ultimi Dagoreport

donald trump elon musk

DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO ALLA CASA BIANCA DI TRUMP VENGA CONDIZIONATO DAL KETAMINICO ELON MUSK, CHE ORMAI SPARA UNA MINCHIATA AL GIORNO - GLI OPERATORI DI BORSA VOGLIONO FARE AFFARI, GLI AD PENSANO A STARE INCOLLATI ALLA POLTRONA DISTRIBUENDO PINGUI DIVIDENDI, NESSUNO DI ESSI CONDIVIDE L’INSTABILITÀ CHE QUEL “TESLA DI MINCHIA” CREA A OGNI PIÉ SOSPINTO - DAGLI ATTACCHI ALLA COMMISSIONE EUROPEA AL SOSTEGNO AI NAZISTELLI DI AFD FINO ALL’ATTACCO ALLA FED E AL TENTATIVO DI FAR ZOMPARE IL GOVERNO BRITANNICO, TUTTE LE SPARATE DEL MUSK-ALZONE…

matteo salvini giorgia meloni piantedosi renzi open arms roberto vannacci

DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL MARTIRE DELLE TOGHE ROSSE E LO HA COSTRETTO A CAMBIARE LA STRATEGIA ANTI-DUCETTA: ORA PUNTA A TORNARE AL VIMINALE, TRAMPOLINO CHE GLI PERMISE DI PORTARE LA LEGA AL 30% - E "IO SO' E TU NON SEI UN CAZZO" NON CI PENSA PROPRIO: CONFERMA PIANTEDOSI E NON VUOLE LASCIARE AL LEGHISTA LA GESTIONE DEL DOSSIER IMMIGRAZIONE (FORMALMENTE IN MANO A MANTOVANO MA SU CUI METTE LE MANINE MINNITI), SU CUI HA PUNTATO TUTTE LE SUE SMORFIE CON I “LAGER” IN ALBANIA - I FAN DI VANNACCI NON ESULTANO SALVINI ASSOLTO: VOGLIONO IL GENERALE AL COMANDO DI UN PARTITO DE’ DESTRA, STILE AFD - I DUE MATTEO...

giorgia meloni - matteo salvini - open arms

DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI GRIDERA' ANCORA ALLE “TOGHE ROSSE” E ALLA MAGISTRATURA “NEMICA DELLA PATRIA”? -L’ASSOLUZIONE È DI SICURO IL PIÙ GRANDE REGALO DI NATALE CHE POTEVA RICEVERE GIORGIA MELONI PERCHÉ TAGLIA LE UNGHIE A QUELLA SETE DI “MARTIRIO” DI SALVINI CHE METTEVA A RISCHIO IL GOVERNO – UNA VOLTA “ASSOLTO”, ORA IL LEADER DEL CARROCCIO HA DAVANTI A SÉ SOLO GLI SCAZZI E I MALUMORI, DA ZAIA A FONTANA FINO A ROMEO, DI UNA LEGA RIDOTTA AI MINIMI TERMINI, SALVATA DAL 3% DI VANNACCI, DIVENTATA SEMPRE PIÙ IRRILEVANTE, TERZA GAMBA NELLA COALIZIONE DI GOVERNO, SUPERATA PURE DA FORZA ITALIA. E LA DUCETTA GODE!

roberto gualtieri alessandro onorato nicola zingaretti elly schlein silvia costa laura boldrini tony effe roma concertone

DAGOREPORT - BENVENUTI AL “CAPODANNO DA TONY”! IL CASO EFFE HA FATTO DEFLAGRARE QUEL MANICOMIO DI MEGALOMANI CHE È DIVENTATO IL PD DI ELLY SCHLEIN: UN GRUPPO DI RADICAL-CHIC E BEGHINE DEL CAZZO PRIVI DELLA CAPACITÀ POLITICA DI AGGREGARE I TANTI TONYEFFE DELLE DISGRAZIATE BORGATE ROMANE, CHE NON HANNO IN TASCA DECINE DI EURO DA SPENDERE IN VEGLIONI E COTILLONS E NON SANNO DOVE SBATTERE LA TESTA A CAPODANNO - DOTATA DI TRE PASSAPORTI E DI UNA FIDANZATA, MA PRIVA COM’È DI QUEL CARISMA CHE TRASFORMA UN POLITICO IN UN LEADER, ELLY NON HA IL CORAGGIO DI APRIRE LA BOCCUCCIA SULLA TEMPESTA CHE STA TRAVOLGENDO NON SOLO IL CAMPIDOGLIO DELL’INETTO GUALTIERI MA LO STESSO CORPACCIONE DEL PD -  EPPURE ELLY È LA STESSA PERSONA CHE SCULETTAVA FELICE AL GAY PRIDE DI MILANO SUL RITMO DI “SESSO E SAMBA” DI TONY EFFE. MELONI E FAZZOLARI RINGRAZIANO… - VIDEO

bpm giuseppe castagna - andrea orcel - francesco milleri - paolo savona - gaetano caltagirone

DAGOREPORT: BANCHE DELLE MIE BRAME! - UNICREDIT HA MESSO “IN PAUSA” L’ASSALTO A BANCO BPM IN ATTESA DI VEDERE CHE FINE FARÀ L’ESPOSTO DI CASTAGNA ALLA CONSOB: ORCEL ORA HA DUE STRADE DAVANTI A SÉ – PER FAR SALTARE L'ASSALTO DI UNICREDIT, L'AD DI BPM, GIUSEPPE CASTAGNA, SPERA NELLA "SENSIBILITA' POLITICA" DEL PRESIDENTE DELLA CONSOB, PAOLO SAVONA, EX MINISTRO IN QUOTA LEGA – IL NERVOSISMO ALLE STELLE DI CASTAGNA PER L’INSODDISFAZIONE DI CALTAGIRONE - LA CONTRARIETA' DI LEGA E PARTE DI FDI ALLA COMPLETA ASSENZA IN MPS - LE DIMISSIONI DEI 5 CONSIGLIERI DEL MINISTERO DELL'ECONOMIA DAL “MONTE”: FATE LARGO AI NUOVI AZIONISTI, ''CALTARICCONE" E MILLERI/DEL VECCHIO - SE SALTA L'OPERAZIONE BPM-MPS, LA BPER DI CIMBRI (UNIPOL) ALLA FINESTRA DI ROCCA SALIMBENI, MENTRE CALTA E MILLERI SAREBBERO GIA' ALLA RICERCA DI UN'ALTRA BANCA PER LA PRESA DI MEDIOBANCA-GENERALI...