UNA SCERIFFA A PALAZZO CHIGI – VITA E MIRACOLI DI ANTONELLA MANZIONE, IL CAPO UFFICIO LEGISLATIVO DI PALAZZO CHIGI MESSO LÌ DA RENZI PER COMBATTERE I MANDARINI – A CHI LA CHIAMA “LA VIGILESSA”, LEI RICORDA CHE È STATA DIRETTORE GENERALE DEL COMUNE DI FIRENZE
David Allegranti per “il Foglio”
Nella guerra contro le alte burocrazie “statali, parastatali e affini” ci voleva una che non fosse dell’ambiente. Che non avesse nulla a che fare con i parrucconi, con i tecnici della Camera e del Senato, con i meglio giuristi italiani, con quelli che a Palazzo Chigi chiamano i “mandarini”, come i burocrati cinesi. Una che quando la vai a intercettare a Forte dei Marmi, dove fa conversazione d’inglese perché il francese lo sa ma la lingua imperiale – direbbe Diego Fusaro – un po’ meno, ti risponde, come all’inviato di “Servizio Pubblico”, che lei è “una civil servant. Non parlo con i giornalisti, io lavoro e basta”. Non è una, insomma, che cede al fascino dell’inquadratura, anche se in realtà con qualche giornalista amico è bendisposta. Antonella Manzione, from Pietrasanta ma originaria di Forino, Irpinia, era ciò che serviva a Matteo Renzi alla guida del dipartimento degli Affari giuridici legislativi della presidenza del Consiglio. O meglio, a Renzi di Manzione ne servivano due.
MATTEO RENZI E ANTONELLA MANZIONE
Fratello e sorella, entrambi molto affiatati, al punto di condividere, anche se non in contemporanea, spostamenti di città in città e amuleti (un gufo regalatole il giorno precedente il primo esame all’università, concluso con un trenta e lode, che oggi tiene sulla sua scrivania a Palazzo Chigi; ma a casa in Versilia ne ha 300): Lucca, dove lei fa il capo dei vigili a Pietrasanta e lui il sostituto procuratore nella città più democristiana della Toscana; Firenze, dove lei è capo della polizia municipale e, successivamente, anche direttore generale di Palazzo Vecchio, e lui assegnato alla procura distrettuale e generale di Firenze, per due volte componente del Consiglio giudiziario fiorentino; e adesso Roma, dove lei è a capo del Dagl e lui sottosegretario all’Interno.
Renzi ha la panchina corta, le sue persone fidate sono poche e le sposta da un posto all’altro, quindi anche lei ciclicamente sembra essere destinata sempre altrove. Di recente, sui giornali era spuntata l’ipotesi di Manzione sottosegretaria alla presidenza del Consiglio, al posto di Graziano Delrio, appena diventato ministro delle Infrastrutture, poi l’idea è stata accantonata.
Domenico Manzione è già sottosegretario all’Interno con Enrico Letta, scelto sempre su indicazione del segretario del Pd quando ancora non era a Palazzo Chigi. Lo spiega lui stesso in tv: “Sono un tecnico considerato in quota renziana, quindi questo le fa capire com’è che io sia arrivato sin qui. Nel senso che ci arrivo per indicazione derivante da Renzi, basata su ragioni di conoscenza, di affetto di amicizia e di stima personale”. E’ il 2013 e Renzi si affanna a spiegare che il renzismo è una brutta malattia, che le correnti non esistono, “non chiamatevi renziani, non lasciate che il vostro impegno politico si definisca con il cognome di un altro. Non fatelo, siate ‘voistessiani’”.
A Lucca, Manzione è il vice di Giuseppe Quattrocchi, procuratore della Repubblica dal 1993 fino all’estate del 2008, anno in cui arriverà a Firenze. E qui serve uno zoom sul quella stagione fiorentina. In quei mesi succede di tutto: Renzi non è ancora sindaco, lo diventerà nel 2009 dopo aver vinto le primarie fiorentine contro l’establishment che lo ritiene un marziano e non lo vuole. La magistratura fiorentina gli dà (involontariamente eh) una mano. Con il cambio – via Ubaldo Nannucci, dentro Quattrocchi – i pm fiorentini riacquistano attivismo. Fioccano le inchieste. Una in particolar modo segnerà la politica e lo sviluppo urbanistico della città. Quella su Castello, zona a nordovest di Firenze. Doveva essere una colossale operazione urbanistica destinata a cambiare il volto della città.
Ma il 18 novembre 2008, i carabinieri del Ros mettono i sigilli a 168 ettari di proprietà della Fondiaria-Sai, a due passi dall’aeroporto di Firenze, dove dovevano nascere case e uffici per un 1.400.000 metri cubi e un parco di 80 ettari. Tutto bloccato dall’inchiesta della Procura fiorentina fino al dissequestro: il 6 marzo 2013 gli imputati (tranne uno) vengono assolti dal Tribunale di Firenze “per non aver commesso il fatto” (la Procura ha poi presentato ricorso).
Tra questi c’è anche Graziano Cioni, assessore-sceriffo alla Sicurezza della giunta Domenici, dato per favorito alle primarie e costretto al ritiro dal Pd dopo un avviso di garanzia. Nelle motivazioni della sentenza su Castello, il Tribunale di Firenze poi tira le orecchie ai pm fiorentini sul valore delle intercettazioni, finite peraltro copiosamente sui giornali locali: “Le telefonate – scrivono i giudici – devono essere vagliate con cautela estrema senza ritenere aprioristicamente che le cose dette in tali occasioni siano sempre la rappresentanza certa della verità sol perché gli interlocutori parlano senza sapere di essere ascoltati”.
Le inchieste riguardano l’amministrazione precedente, guidata dall’ex europarlamentare del Pd Leonardo Domenici, durante quella di Renzi le cose procedono tranquille. E, solo per la cronaca, fra quest’ultimo e Quattrocchi c’è un rapporto stretto, tanto che quando il procuratore capo andrà in pensione, diventerà consigliere alla legalità e alla sicurezza del nuovo sindaco, l’iper renziano Dario Nardella. “Dio sa quanto abbiamo sbagliato, ma con la lucentezza delle nostre razionali convinzioni. Di tutto io reco diretta e personale responsabilità”, dice “Pino” nel giorno del congedo da procuratore capo.
A Palazzo Vecchio Antonella Manzione arriva da Lucca, a chiamata diretta, nel 2009, scatenando l’opposizione, che contesta l’incarico e chiede, a lei, come ad altri, la sospensione degli stipendi. Fino al 2011 è comandante vicario di Massimo Ancillotti, che poi viene rottamato da Renzi, con il quale non mancano le asprezze, e torna a Roma. In quei mesi si salda il rapporto con l’allora sindaco di Firenze, che le conferisce anche una medaglia d’argento al valor civile per la gestione di un’operazione di sgombero, durata una settimana, dell’ex ospedale pediatrico di Firenze, occupato da 200 senzatetto.
Riconoscimento che le viene attribuito per “le capacità giuridiche e umane mostrate sgombero dell’ex ospedale Meyer”. La Manzione ha piglio e a Renzi piace. Già al liceo Carducci di Pietrasanta i compagni di scuola se la ricordano come una parecchio entrante. La carriera procede spedita, anche se a Roma la Corte dei Conti aveva inizialmente bocciato la sua nomina al Dagl perché priva dei requisiti: laurea a Pisa con 110 e lode, abilitazione alla professione di avvocato, abilitazione all’insegnamento di materie giuridiche ed economiche, master per diventare responsabile dei corpi di polizia municipale, prima classificata in quattro concorsi pubblici per qualifica dirigenziale: a Pietrasanta, a Tivoli, a Livorno e a Verona.
Tutti per far la comandante dei vigili; ma se la chiami “vigilessa”, lei s’offende: “Capendo la strategicità del ruolo che sono venuta a svolgere – ha detto in un’intervista al Messaggero a settembre per presentarsi a Roma – l’avevo messo nel conto. E’ folcloristico metterla così. Quell’incarico a capo della Polizia municipale di Firenze, con la responsabilità di mille persone, non lo rinnego anzi lo ricordo con grande orgoglio. Però ero anche allo stesso tempo direttore generale di Palazzo Vecchio, cui fanno capo circa cinquemila dipendenti, coordinatore del settore commercio e responsabile della Protezione civile”. Mica cotiche, insomma. Ed è così che una dirigente di provincia è entrata nel cuore della legislazione della Repubblica: da lei passano i decreti, i disegni di legge e i regolamenti proposti dal governo. Il suo compito è quello di renderli più snelli e di velocizzarne il percorso. La sua carriera, invece, per quanto veloce, ha qualche inciampo.
MATTEO RENZI E ANTONELLA MANZIONE
A Pietrasanta, da comandante dei vigili, fa scoppiare un macello. Nel 2002 presenta un esposto contro il sindaco di centrodestra Massimo Mallegni, che l’aveva fatta rimuovere da capo dei vigili. In procura c’è, in quel periodo, il fratello Domenico, che però ha spiegato di non essersi occupato direttamente del caso. Ne ha seguiti casomai altri, visto che la Procura di Lucca ha svolto anche indagini per corruzione, estorsione, associazione a delinquere, in un’inchiesta in cui era coinvolto anche Mallegni.
A firmare la richiesta d’arresto per l’allora sindaco sono Quattrocchi e Manzione, ma – ha spiegato una volta il sottosegretario all’Interno – “si è fatta solo una gran confusione. Io non ho mai seguito il processo nato dopo le denunce di mia sorella, ma solo la maxi inchiesta sulla corruzione a Pietrasanta dove Mallegni era uno degli imputati. Nonostante questo, per evitare ogni possibile fraintendimento, sono stato affiancato dal procuratore di Lucca, che allora era Giuseppe Quattrocchi che firmò con me tutti gli atti”. I legali di Mallegni da sempre spiegano invece che il contesto era lo stesso e che tutto è nato da quell’esposto e dai successivi 51 capi di imputazione piovuti sulla testa dell’ex sindaco.
Mallegni, comunque, che si è fatto quaranta giorni di carcere, poi è stato assolto e, ha detto lui nel 2010 presentandosi alle amministrative a Pietrasanta come consigliere comunale con un manifesto elettorale in cui compariva in manette, “nessuno deve pensare che nasconda il mio recente passato. Peraltro è costellato dal 31 gennaio 2006 a oggi di assoluzioni e di una sentenza di Cassazione che ha dichiarato quell’arresto illegittimo”.
Fratello e sorella hanno velleità letterarie. Ispirandosi al caso Mallegni, la Manzione ha anche scritto un romanzo. “Martina va alla guerra”, pubblicato da Polistampa, che ha vinto anche la selezione dei lettori (1.080 votanti online, oltre il doppio rispetto all’anno precedente) nel premio “miglior scrittore toscano” del 2011. A distanza di quattro anni, il libro viene ancora presentato in giro per l’Italia, se ne trova traccia in una Feltrinelli di Udine, un mese fa. Trecentotrentasei pagine di racconto di una cinquantenne che subisce mobbing, fa causa e cambia lavoro e città: la Manzione scrittrice ha uno stile assai poco felice, hanno notato i suoi recensori, in cui eccede in avverbi e inutile citazionismo: “Le sue reminiscenze letterarie la portavano a comprendere la disperazione di Dorian Gray che vede sfumare con l’inesorabile fluire del tempo il sogno dell’eterna giovinezza cristallizzato nel famoso ritratto che dà il titolo all’impareggiabile romanzo”.
O ancora: “Lo studio delle minacce che le derivavano dal mondo nella sua analisi di contesto non ne aveva selezionato il messaggio preoccupante, comunque neutralizzato nel diagramma immaginario dalla rilevanza attribuita erroneamente ai propri ritenuti punti di forza”.
A pagina 125 del romanzo, c’è pure un passaggio contro la rottamazione (si suppone che Renzi non lo abbia letto). “Un vecchio collega di lavoro, un dirigente che aveva fatto grande l’azienda e che all’arrivo di Gianluca ai vertici era stato ‘rottamato’, come si usava dire con gergo aziendalistico assai poco rispettoso della dignità della persona. ‘Rottamato’ come un veicolo dismesso, un’utilitaria fuori uso che non serve più e butti in una discarica”.
Un lettore, tale Giuseppe F. Minasola, dopo l’articolo pubblicato sull’Espresso, scrisse pure una lettera in difesa della Manzione, così accalorata che lei stessa non avrebbe potuto fare di meglio: “Vorrei ricordare a questi giornalisti di serie C che la dott.ssa Manzione era già uno dei migliori Comandanti di Polizia Municipale d’Italia prima di incontrare il presidente Renzi e prima che il fratello iniziasse a fare politica. Quindi se oggi si trova a ricoprire l’incarico a palazzo Chigi è perché Renzi l’ha riconosciuta come persona valida così come ha fatto con altri/e. Purtroppo nella cultura giornalistica lo spoil system ed il valore delle persone faticano ad essere compresi. La parola rottamare, nel testo incriminato, è usata con riferimento ad un dirigente di azienda privata declassato ingiustamente e non ha niente in comune con la rottamazione renziana di certi matusalemme che hanno assediano le poltrone politiche e di potere…”.
Altrove, in un editoriale per il sito dell’associazione dei comandanti di polizia municipale Marco Polo, quando era capo dei vigili a Verona, la Manzione ha sperimentato il commento: “Vuoi vedere che diventare il Comandante di Verona mi ha reso un opinion leader – mi sono allora domandata. Poi, preoccupata di scatenare l’invidia degli dei, come temevano gli antichi, solo per pensare che a qualcuno potesse interessare il mio pensiero, ho pensato nuovamente (cogito, ergo sum!) che si trattava semplicemente di un messaggio augurale. Insomma, Natalia Estrada saluta e ringrazia l’associazione per il sostegno alla maratona Tv per la sicurezza stradale, ed io, che di Natalia non ho nulla, sennò non facevo il Comandante dei vigili, e di ‘estrada’ ne devo ancora percorrere tanta, ho il piacere e l’onore di essere tra i primi, o per meglio dire le prime, che si ritagliano spazio per un saluto su questo nuovo sito partorito dalle menti vulcaniche dei vertici Marcopolo… Le mie umane vicende, e chi non ne ha da raccontare, avrebbero potuto portarmi lontano da un lavoro che amo, con il dolore della mancata condivisione degli ideali cui ho sacrificato, o forse sarebbe più corretto dire ‘consacrato’, la mia leggenda personale, per dirla alla Paulo Coelho”.
renzi affacciato da palazzo chigi con maglietta bianca
Un anno dopo la pubblicazione del libro, l’ex sindaco Mallegni e due funzionari pubblici sono stati assolti dal tribunale di Genova “perché il fatto non sussiste”. Secondo l’accusa Mallegni, eletto con Forza Italia, voleva far togliere una multa a un’auto blu del comune fatta dai vigili guidati dalla Manzione. Motivo per cui lei, appunto, presentò l’esposto. Anche il fratello Domenico condivide la passione per la scrittura. Non solo per i testi giuridici, di cui è autore, ma anche per i romanzi. Nel 2011 è uscito “Il mio amico Chet. Storia un po’ vera un po’ no del processo a Chet Baker”.
Un legal thriller sul celebre musicista americano, che arrivò a Lucca negli anni Cinquanta e fu detenuto per sedici mesi al carcere di San Giorgio: “Malfermo sulle gambe e balbettando – come annotò nel solito rapporto informativo il brigadiere – lo sconosciuto dichiarava di chiamarsi Baker Chesnery Henry, suddito (così si diceva all’epoca) americano, residente a Viareggio, cornettista in un complesso che si esibisce nel locale La Bussola di Focette”. Un paio d’anni prima invece era uscito il noir d’esordio “Lost dog. Delitto con dubbio castigo”: “Un cane in meno ed un anello di troppo. Le parole della vicina degli Arden lo angustiavano dalla sera precedente. E non era la sola cosa a provocargli ansia. Non vedeva l’ora di rivedere Sara, si sentirne il profumo, di toccarla…”.
palazzo chigi visto da casa pazzaglia
Da quando è a Palazzo Chigi, la “manina” di Antonella Manzione viene avvistata ovunque, come a gennaio nella norma salva-Berlusconi (non è reato penale l’evasione fiscale al di sotto del tre per cento dell’imponibile) che sarebbe stata scritta, o inserita, dalla sceriffa. Alla fine però è stato Renzi ad accollarsi la responsabilità: l’ho voluta io, ha detto. Hai visto mai che la Manzione non trovi ispirazione per un secondo romanzo autobiografico. Twitter @davidallegranti