SIAMO UOMINI O GENERALI? - L’ADDIO AI ROS DI GANZER, IL COMANDANTE CONDANNATO A 14 ANNI PER ESSERSI INVENTATO UN TRAFFICO DI DROGA PER POI SGOMINARLO - IL SUO CAPOLAVORO? AVER CONVINTO A COLLABORARE IL CAPOBRIGATISTA VENETO MICHELE GALATI - EFFETTI COLLATERALI DELLE SUE INDAGINI? DUE TENTATI RAPIMENTI FINITI NEL SANGUE - IL GENERALE ‘’ROS-OLATO’’ NON VEDE L’ORA DI DEDICARSI ALLA SUA GRANDE PASSIONE: L’ARTE CLASSICA…

IL RITIRO DEL GENERALE: RIFAREI TUTTO DA CAPO GANZER, UNA VITA AL VERTICE DEI SUPERINVESTIGATORI: ORA MI OCCUPERÃ’ D'ARTE

Giusi Fasano per il "Corriere della Sera"

La voce del generale Giampaolo Ganzer arriva dopo tanti squilli. «Sono alle prese con un'ultima riunione, informale. Da oggi - anzi no, a dire il vero da sabato - sono in fase di abbandono. Ho 63 anni e raggiunti limiti di età, come si dice. Lascio un Ros in piena salute e nelle mani di chi lo conosce bene...».

Nello scatolone finale c'è una tristezza difficile da ammettere, «siamo militari, sappiamo come controllare le emozioni». C'è l'addio ai suoi uomini, il benvenuto all'amico e successore, il generale Mario Parente. E ci sono i ricordi di una vita passata in divisa. Era il 1964 quando Ganzer, quindicenne che sognava di diventare un grande investigatore, entrò nella Scuola militare Nunziatella. «Se tornassi indietro rifarei esattamente lo stesso percorso. Ho scelto ogni passaggio della mia vita professionale e ciò che ho ricevuto in cambio mi ha sempre appagato. Tutto questo è inestimabile, mi creda».

La carriera, i successi investigativi negli anni difficili dei sequestri di persona, la capacità di «entrare in empatia», come dice lui, con fonti delicatissime da gestire e le grandi operazioni contro il narcotraffico. I tempi dell'amarezza sono recenti: condanna in primo grado a 14 anni per aver usato metodi illegali nella lotta ai trafficanti di droga.

Il generale sa che la domanda prima o poi arriverà, preferisce anticipare la risposta: «Sulla mia vicenda giudiziaria posso soltanto dire che ho agito sempre con coscienza, con tutte le capacità che ho potuto e sicuramente con correttezza. Il giudizio lo lascio agli altri e poi è in corso l'appello e io credo che i processi vadano fatti in aula, non con le dichiarazioni pubbliche. Accetterò quello che verrà come ho sempre fatto, è da tutta la vita che vivo rispettando le istituzioni perché io SONO (e il verbo è volutamente più carico, ndr) un uomo delle istituzioni».

Se passa in rassegna i ricordi, Ganzer si rivede giovane ufficiale nei suoi cinque anni al Nucleo investigativo di Udine, poi altri undici alla Sezione speciale anticrimine di Padova e, ovviamente, al Raggruppamento operativo speciale. Non saprebbe scegliere la sua inchiesta-capolavoro, ma «ai tempi dei sequestri di persona fra il Veneto e la Lombardia certo essere operativi come lo ero io voleva dire raccogliere i frutti delle grandi inchieste e questo per un militare è un motivo di orgoglio.

Nelle indagini sulla criminalità mi ha di sicuro soddisfatto il caso di Michele Galati, il capocolonna delle Brigate rosse in Veneto». Ganzer lo convinse a collaborare con la Giustizia: «Quello che ha raccontato, prima informalmente e poi davanti al magistrato, è sempre stato ritenuto affidabile», ne va fiero adesso.

Ci sapeva fare, il generale, con le fonti. Fu lui a convincere un altro grande pentito delle storie criminali di quegli anni: Antonio Zagari. Lo avvicinò per avere informazioni sul caso del sequestro Celadon, figlio dell'imprenditore del Vicentino che venne rapito e rilasciato dopo 831 giorni. «Lui non ci aiutò sul rapimento di Celadon» racconta Ganzer, «ma fu fondamentale per le informazioni, in anticipo, su altri sequestri e anche la sua collaborazione con la legge posso definirla come una grande soddisfazione professionale».

Quello che non è mai mancato, all'ormai ex capo del Ros, è il sostegno dei suoi uomini. «Se non fosse stato così avrei trovato giusto dimettermi». Sostegno. Nella sua vicenda giudiziaria, certo. Ma anche davanti a operazioni andate non proprio come dovevano e finite con una coda polemica. Il caso Snaidero, per esempio, l'imprenditore che la cosiddetta banda dei giostrai tentò di rapire in Friuli. Oppure il tentato rapimento di Antonella Dellea, a Varese. Finirono tutti e due nel sangue, il primo con due rapitori uccisi, il secondo con la banda intera sterminata.

«Ogni tanto ripenso ai fatti che ho seguito» spiega Ganzer «e al modo che avevamo di lavorare. Il nostro approccio d'indagine era sempre quello: lo studio di un caso o di un fenomeno attraverso i documenti, la sua analisi approfondita e la ricerca per individuare il tessuto connettivo di chi stavamo controllando». Da ieri il generale non è più nel suo ufficio al Ros, ma nemmeno più a Roma: «Credo che cambierò città e che potrò dedicarmi finalmente a due cose che amo molto, l'arte classica greca e romana e la storia antica».

 

GIAMPAOLO GANZER Giampaolo GanzerGiampaolo GanzerIL GENERALE MARIO PARENTE

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