''VOI ITALIANI SIETE GIÀ NEL DOPO-MACRON''. EMMANUEL CARRÈRE PARLA DEL LIBRO CHE RITIENE IL MIGLIORE, ''VITE CHE NON SONO LA MIA'', APPENA RIPUBBLICATO A 10 ANNI DALL'USCITA, IN CUI PARLA DELLA STRAGE DELLO TSUNAMI IN ASIA E DEI LUTTI IN FAMIGLIA, MA ANCHE DI LIMONOV, TRUMP, PUTIN, E DELLA SITUAZIONE POLITICA. ''QUALCHE ANNO FA, HO AVUTO UNA PROFONDA DEPRESSIONE E SONO STATO RICOVERATO. PER DIVERSI MESI HO AVUTO PAURA CHE…''
Giuseppe Fantasia per www.huffingtonpost.it
Per uno come Emmanuel Carrère, scrittore francese tra i più amati in tutto il mondo, “scrivere è trovare le forme più varie e possibili per descrivere il dialogo tra sé stessi e gli altri”. “Può assumere la forma di un’identificazione negativa, ma altre volte è assolutamente il contrario”. Lo spiega all’HuffPost a Lignano Sabbiadoro, dove è ospite e vincitore della 35esima edizione del Premio Hemingway.
Con i suoi romanzi – da La settimana bianca a Il Regno, da L’avversario a Limonov, quello che l’ha fatto conoscere al grande pubblico, pubblicato in Italia, come tutti gli altri, da Adelphi – c’è sempre quella sua capacità di guardare nel profondo dell’animo umano e di fare del suo sguardo Letteratura. “Vite che non sono la mia” (2009), ripubblicato in questi giorni dopo dieci anni, è il suo libro più empatico e più temerario, quello in cui l’autore sceglie di mettersi da parte per dare voce al dolore degli altri.
“È un libro sulla vita e sulla morte, sulla povertà e sulla giustizia, sulla malattia e soprattutto sull’amore”, ci spiega fissandoci negli occhi dopo lunghe pause di riflessione. È in splendida forma e ha una leggera abbronzatura, risaltata dall’abito casual chic che ha lo stesso colore di alcune copertine cult dei libri Adelphi .
“È un libro in cui tutto è vero”, aggiunge con un tono di voce decisa. Questo – chi lo legge lo sa bene - accade in quasi tutti i suoi romanzi. “La realtà è sempre una fonte preziosa d’ispirazione. Non è che mi piace di più la realtà – precisa - ma è quello che mi piace fare e so fare meglio”. Il libro in questione è un’opera che si fa carico di altre esistenze nel corpo a corpo con quell’informe che è la vita. Lo ha scritto dopo due episodi che lo hanno segnato nel profondo, a cominciare dal devastante tsunami in Sri Lanka del 2004.
Lo scrittore si trovava proprio lì in vacanza e, pur risparmiato con la sua famiglia dalla brutalità dell’evento, ne subì le drammatiche conseguenze, assistendo al dolore di una coppia francese per la perdita della loro figlioletta di quattro anni. L’altra dolorosa vicenda è poi quella vissuta subito dopo, che avrebbe portato alla morte per cancro della sorella della sua compagna. “A quel punto, dice, c’era un solo modo per ricevere il dolore degli altri: farlo diventare il proprio”. Questo è il compito che si è assunto riuscendo così a scrivere senza mai cadere nell’enfasi, mettendo a fuoco con la precisione ossessiva di un reporter ogni minimo particolare.
EMMANUEL CARRERE E PROPIZIO AVERE OVE RECARSI
È per questo che è così legato a questo libro?
“Penso sia il migliore che ho scritto…è quello che ho più amato. Forse perché mi è sembrato di aver reso un “servizio” decidendo di raccontare tanto dolore, dopo la tragedia collettiva dello tsunami del 2004 alla quale avevo assistito e dopo la tragedia personale della scomparsa di mia cognata, la sorella di mia moglie”.
Qual è il suo rapporto con il dolore e il lutto?
“Ho 61 anni e per una straordinaria fortuna non ho ancora sperimentato i grandi lutti della vita, sono ancora vivi i miei genitori e le persone a me care: confrontarmi con due potenti e devastatrici esperienze del lutto è stato come vivere questo passaggio per procura”.
È soddisfatto della situazione politica del suo Paese?
Ci pensa una decina di secondi prima di risponderci, (ndr)
“Qualche anno fa, ho avuto una profonda depressione e sono stato ricoverato. Per diversi mesi ho avuto paura che potessi ricaderci di nuovo. Poi, certo, ho paura di tutte le paure razionali, che non succeda nulla di male ai miei figli, cose del genere, ma in quel caso era diverso”.
Nella società che la circonda, è soddisfatto della situazione politica che sta vivendo la Francia? Cosa ne pensa di Macron?
“Non mi entusiasma affatto, ha molti difetti, ma comunque preferisco votare lui, magari un po’ turandomi il naso perché non so cosa potrebbe arrivare dopo”.
E dell’Italia?
“Beh, anche voi non ve la state passando benissimo. Se è per questo, voi siete già nel dopo Macron!”.
COPERTINA DEL LIBRO DI CARRERE SU LIMONOV jpeg
Ha appena finito di girare un film: di cosa si tratta?
“Sì, è vero, abbiamo finito di girare da poco e ora c’è il montaggio. Si tratta di un film tratto da un libro che in Francia ha avuto grande successo, Le Quai de Quistreham, scritto sotto copertura dalla giornalista Florence Aubenas che si è finta a lunga una donna delle pulizie precaria, sulla linea che collega la Francia all’Inghilterra. Ha interpretato dieci anni fa lo stato d’animo dello strato sociale francese in crisi: precari e disoccupati, quelli che sono poi diventati i i ‘gilet gialli’. Juliette Binoche ne è la protagonista, gli altri ruoli sono affidati ad attori non professionisti. E’ stata un’avventura interessante e piena di sorprese umane”.
Cosa ne pensa dei Gilets Jaunes?
“Il fenomeno dei gilet gialli esprime una rivolta e una collera che non vogliono trovare sbocco istituzionale per questo sono un fenomeno socio-politico interessante ma anche allarmante. Credo però sia necessario che esprimano quello che hanno dentro”.
Ne L’avversario (2000) raccontava la vera storia del finto medico francese Jean-Claude Romand, un uomo “normale e tranquillo” fino al 1993, quando si trasformò in un pluriomicida della moglie, dei due figli e dei suoi genitori. Diede fuoco alla sua abitazione e cercò invano di uccidersi. Dopo 26 anni di carcere, tornerà libero. Le piacerebbe incontrarlo?
“È un uomo malato di malattia, scrivo nel libro. Se lui vuole incontrarmi, ok, ma io non lo cercherò. In diciotto anni di sotterfugi e menzogne, è davvero incredibile che non sia stato scoperto (Romand aveva anche un finto impiego da ricercatore presso l’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ndr). È un enigma della realtà, nulla di fatalistico”.
Come è potuto succedere?
“Se lo è chiesto e se lo chiede anche il giudice. Si dice che spesso la realtà superi la fantasia, ma in questo caso, con quel mio romanzo, la finzione era obbligata a dare verosimiglianza, altrimenti non poteva funzionare. Nella realtà c’è stata questa componente ed ha funzionato”.
“Limonov (2012), la biografia romanzata di Eduard Limonov, è il suo romanzo più conosciuto e amato. Cosa ha rappresentato per lei?
“Come dice lei, è quello che mi ha dato il successo. Quando ho cominciato a pensare di scriverlo mi dicevano che era un’idea idiota. Perché avrei dovuto scrivere di un piccolo fascista? Adesso, invece, ho l’orgoglio professionale di aver identificato questo soggetto e penso che fosse davvero un buon soggetto”.
Lo conobbe, come racconta, a Parigi, e che rivide a Mosca. Uno scrittore che all’inizio aveva ammirato, ma poi detestato perché scoprì che aveva combattuto nella ex Jugoslavia assieme ai cetnici e alle Tigri di Arkan e per aver fondato un partito para-nazista e stalinista in Russia. Quella attuale di Putin come la vede?
“La Russia di Putin non è cambiata, ma siamo sicuri che sia una cosa negativa? In qualche modo Putin è un fattore di stabilità, ci sono giovani russi che non hanno mai conosciuto un governo diverso”.
Di Trump ha detto invece “di essere affascinato”: ci spieghi meglio.
“Lo seguo sui social, in tv e negli articoli a lui dedicati sui giornali. C’è un’assenza totale di autocontrollo. Non sono e non siamo oramai stupefatti da lui che si crede supereroe. Quello che mi chiedo è: cosa farà ancora?”.
tsunami indonesia 10 anni dopo 3
Sta scrivendo un nuovo libro?
“Sì, ma preferirei non parlarne, perché è ancora tutto in divenire”.
Cos’è per lei la vita?
(Ci pensa un po’, ndr)
“La vita è un dialogo tra il nostro io più profondo e il mondo esterno: non è straordinaria?”.