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WIKILEAKS PER SEMPRE – COME FARA' JULIAN ASSANGE A USCIRE INDENNE DALL’AMBASCIATA DELL'ECUADOR A LONDRA E RAGGIUNGERE L’AEROPORTO PER ANDARE A QUITO?
1. “PRESTO ANDRÒ VIA DALL’AMBASCIATA» L’ANNUNCIO (E LA SFIDA) DI ASSANGE”
Fabio Cavalera per “Il Corriere della Sera”
«Lascerò presto l’ambasciata dell’Ecuador». Julian Assange conosce l’arte del giallo. E’ da due anni chiuso o «rinchiuso» nelle stanze della rappresentanza del Paese sudamericano che gli ha offerto asilo. Non può uscire perché, se ci prova, Scotland Yard che lo aspetta lì fuori 24 ore su 24 lo blinda e lo estrada in Svezia. Ma il fondatore di Wikileaks ha qualche problema di salute (pare di cuore, anche se lui resta in proposito sul vago). Ha bisogno di curarsi. E di ritrovare i ritmi della vita normale. Ventiquattro mesi fra quattro mura, sia pure con il massimo comfort televisivo, culinario e tecnologico, pesano.
JULIAN ASSANGE E AMAL ALAMUDDIN
E il «recluso» Julian Assange ha deciso di sfidare la polizia e la giustizia britannica. Il 43enne australiano è il coraggioso attivista che ha rivelato le segrete corrispondenze della diplomazia americana, con tutte le porcherie annesse. Scoop e scandalo mondiale. Ma è pure un soggetto che si fa scudo delle sue ambiguità caratteriali. E che ha imparato a usare bene le leve della comunicazione-spettacolo.
Così, quando ieri ha convocato all’improvviso i giornalisti nell’ambasciata ecuadoriana, ha saputo esibire le virtù di furbizia e di slalomista, qual è, che si destreggia fra silenzi e mezze ammissioni. Ma è comprensibile: fra lui e Scotland Yard è in corso una guerra dei nervi e il minimo errore si paga. Non poteva di certo svelare cosa significa «lascerò presto», consegnando una carta in mano al nemico. Se si camufferà. Se si farà caricare su un’ambulanza. Se uscirà da qualche tunnel sotterraneo. E quando.
Sono tutte ipotesi buone per elettrizzare la fantasia e la suggestione. Così come ha beffato l’amministrazione Usa scoperchiando il pozzo degli intrighi diplomatici di Washington (che ha giurato vendetta) Assange potrebbe pensare di sgambettare Scotland Yard (molto difficile) con uno stratagemma.
Una cosa è certa: di consegnarsi non ne ha la minima intenzione. La Svezia vuole interrogarlo in quanto due donne lo accusano di stupro. Ha chiesto e ottenuto l’estradizione e Londra, che non vede l’ora di disfarsi dell’indesiderato ospite, è ansiosa di eseguire la consegna. Vecchia e brutta storia. Lui è prontissimo, dice, a rispondere e a difendersi da questi sospetti ripetuti e odiosi. Ma non ci sta a diventare il pollo da sacrificare al cospetto della volontà di rappresaglia americana. Lo ha ripetuto ancora: se io mi presento spontaneamente per andare dai giudici svedesi, vengo preso, ammanettato e consegnato agli Stati Uniti dove l’Fbi «sta indagando da 4 anni e ha costruito un dossier di 4 mila pagine».
Insomma, c’è un complotto per metterlo a tacere e per «intimidire i giornalisti». E allora l’idea di arrendersi va scartata. Se esce dalla sede della rappresentanza diplomatica dove è rifugiato è solo per scappare e provare a raggiungere un territorio tranquillo. I tempi e i modi sono i prossimi capitoli della saga. A meno che Londra e Quito non raggiungano un «gentlemen’s agreement».
L’Ecuador protegge Julian Assange da un paio d’anni avendolo in casa, in ambasciata, e avendogli dato asilo. Il Paese sudamericano chiede al Foreign Office una sorta di lasciapassare: le autorità britanniche consentano a Julian Assange di uscire dalla «prigione», che è a due passi dai magazzini Harrods, gli diano la libertà di andare in aeroporto e di salire su un volo per Quito. Per ora la risposta è stata solo un lungo silenzio. Accompagnata dall’ordine a Scotland Yard, schierata attorno all’ambasciata, di intervenire se il biondo australiano dovesse avere la sciagurata pensata di concedersi una camminata.
L’Ecuador non dispera comunque di trovare una soluzione. Il ministro degli esteri Ricardo Patiño ha annunciato che proverà di nuovo a sfondare il muro britannico e a cercare una soluzione. Così come stanno, le cose non reggono più. Si tengono Assange in ambasciata per l’eternità? Il fondatore di Wikileaks da par suo alza la posta: lascerò presto la «prigione». Nulla di più. Guai a chiedergli dettagli. Ma è un guanto di sfida? L’ennesima sfida? Se lo è, è pure una telenovela. Manca ancora il colpo di scena.
2. “COSÌ LA CERCHIA DEI LEGALI PROVA A FARLO USCIRE DA LONDRA”
Viviana Mazza per “Il Corriere della Sera”
Nessuno può dire davvero se Assange lascerà presto il suo rifugio-prigione. Quel che è certo è che l’annuncio di ieri fa parte di una strategia lanciata dalla sua cerchia di consulenti per assicurarsi che esca al più presto. Una strategia fatta di cavilli legali, di politica, ma anche di immagine. Contattati dal Corriere , il portavoce (da sempre) di Wikileaks Kristinn Hrafnsson e l’avvocato newyorkese Carey Shenkman spiegano che l’obiettivo è far sì che il governo inglese «rompa l’assedio» intorno all’ambasciata dell’Ecuador e garantisca ad Assange il passaggio sicuro all’aeroporto, dove si imbarcherebbe per Quito che gli ha garantito l’asilo.
La conferenza stampa di ieri mirava a lanciare un appello più che ad annunciare un’intesa col governo inglese, ed era prevista da tempo per coincidere con la visita di Patiño a Londra. Il fondatore di Wikileaks si era consultato con quella decina di avvocati (su un totale di «alcune dozzine» da lui assunti) che fan parte della sua cerchia ristretta, capeggiati da Baltasar Garzón (che accusò Pinochet e indagò Berlusconi) e dall’inglese Gareth Peirce, che ottenne la libertà per i «quattro di Guildford» e ispirò il film «Nel nome del padre» (lei è Emma Thompson).
Non è un caso che Assange abbia citato i cambiamenti nelle leggi inglesi sull’estradizione: il parlamento ha approvato nuove norme in luglio che vietano l’estradizione se l’individuo non è stato incriminato (cosa che la Svezia non ha fatto nell’accusa di stupro contro Assange). Londra ha precisato che la legge non è retroattiva e dunque non si applica ad Assange ma dal punto di vista dell’immagine i suoi legali puntano sul fatto che era una legge sbagliata. «La legge era viziata, il parlamento l’ha capito», dice Hrafnsson. «Ora serve la volontà politica di correggere gli errori».
l ambasciata dell ecuador a londra
Dal punto di vista legale la priorità è la Svezia: i legali si giocano tutto in una corte d’appello dove, nelle prossime settimane, tenteranno di far rimuovere il mandato d’arresto contro Assange. Se anche dovessero vincere, però, non bisogna aspettarsi che il fondatore di Wikileaks sia libero. Il timore più grande è che Londra lo consegni comunque agli americani, per le accuse di aver divulgato segreti governativi.
«Sappiamo che c’è un’inchiesta in corso ma non sappiamo se c’è un mandato di estradizione segreto dice Shenkman —. Assange e Wikileaks potrebbero essere implicati perché hanno aiutato Snowden a ottenere asilo politico». L’avvocato newyorkese Jacques Semmelman, uno dei maggiori esperti di estradizione, dice al Corriere che i trattati in vigore renderebbero difficile agli Usa pretendere la consegna di Assange perché è prevista una chiara esenzione per i casi politici. Difficile ma non impossibile. «I suoi avvocati, un team abilissimo, lo stanno consigliando molto saggiamente sia sulla scena legale che su quella dell’opinione pubblica».
julian assange in modalita cowboy per westwood fara il modello a londra
3. “TV, LIBRI, LIQUORI E UN TAPIS ROULANT NELLA “PRIGIONE” DI LANDON PLACE”
Vittorio Sabadin per “La Stampa”
L’ambasciata dell’Ecuador si trova in un appartamento al piano terreno di un bell’edificio georgiano in mattoni rossi, alle spalle di uno dei luoghi più frequentati di Londra, i grandi magazzini Harrods. La casa è abitata da altri inquilini, che da due anni non ne possono più. La polizia sorveglia l’ingresso e le strade laterali, un agente è a guardia dell’ascensore, giornalisti e operatori tv arrivano improvvisamente in massa; personaggi famosi, seguiti dai fotografi che loro stessi hanno avvertito, vanno e vengono.
Assange e Amal Alamuddin article D A x
Julian Assange si è rifugiato nell’ambasciata nel giugno del 2012, subito dopo che la Corte Suprema britannica ha respinto il suo ricorso contro l’estradizione in Svezia, dove lo attende un processo intentato da due discusse ragazze, in disaccordo con lui non sul fare sesso, ma sul come farlo. Molti pensano che in Svezia se la caverà, ma che sarà estradato subito dopo negli Stati Uniti, dove invece vorrebbero metterlo in galera e buttare via la chiave.
Sarah harrison A Londra nel 2010 con Assange
Quando ha accettato l’immunità che l’Ecuador gli offriva, Assange non pensava di stare per così lungo tempo nell’ambasciata, né che la vita nel piccolo appartamento di Landon Place sarebbe stata così dura. Ora non ne può più, e se ne vuole giustamente andare. Le sue prigioni sono state documentate dalla giornalista del «Daily Mail» Sarah Oliver, che è diventata una confidente e lo va spesso a trovare.
Le piccole stanze delle vecchie case inglesi sono meravigliose se si deve bere un tè davanti al caminetto mentre fuori piove e tira vento, ma possono diventare un incubo per chi è costretto a viverci senza mai poter uscire. Assange all’inizio ha attrezzato la sua camera con computer e telefonini, pensando di poter continuare a gestire WikiLeaks come prima. Il mondo sembrava essere dalla sua parte: venivano a trovarlo Yoko Ono e Lady Gaga, la stilista Vivienne Westwood e numerose altre celebrità. Dal Wasabi più vicino arrivava ogni sera il take away di sushi, sulla libreria dell’Ikea c’erano bottiglie di liquore («così non penseranno che sono musulmano», ha detto alla Oliver) e tutto si sarebbe in qualche modo presto aggiustato.
SARAH HARRISON E JULIAN ASSANGE
Ma non è andata così. Dopo qualche settimana, i giornalisti che lo assediavano se ne sono andati. È stato ridotto il numero di poliziotti che lo sorvegliavano 24 ore al giorno, superando complessi problemi logistici, come quello di dove andare in bagno. Per un po’ gli agenti avevano usato le «restrooms» di Harrods: un sollievo durato poco, perché il grande magazzino permette solo ai clienti di usarle e fa sempre rispettare i suoi codici di comportamento.
Gli amici di Assange hanno cominciato a mandargli oggetti che avrebbero potuto aiutarlo a sopportare meglio quella vita da recluso. Il regista Ken Loach gli ha regalato un tapis roulant, un altro amico un pallone da calcio, altri un lampada abbronzante che compensasse la mancanza di esposizione al sole. Assange l’ha usata per la prima volta poco prima della sua apparizione al balcone dell’ambasciata, un anno fa. Aveva sbagliato le regolazioni dell’apparecchio e il suo volto era per metà pallido e per l’altra metà rosso come un’aragosta o «come una vittima di Cernobil», ha detto infelicemente a Sarah Oliver.
Prima di uscire sul balcone, dove le televisioni di tutto il mondo lo aspettavano, si è sottoposto a una seduta di make-up che nascondesse le scottature sotto un po’ di fondotinta.
SARAH HARRISON DONNA DI ASSANGE
Nelle poche ore libere da telefoni e computer, Assange gioca da solo a calcio nel corridoio dell’ambasciata con il pallone che gli hanno regalato. Prima dei problemi al cuore, correva per cinque chilometri al giorno sul tapis roulant di Ken Loach. Guarda molta televisione e film che scarica dal web: tra i suoi preferiti, le «Idi di marzo» di George Clooney e una storia sui diritti civili degli aborigeni australiani: «This Is How You’ll Make Yor Bed In Prison».
Non si perde una puntata di «West Wing», o degli altri sceneggiati televisivi sulla conquista del potere in America nei quali si cita il suo WikiLeaks come un nemico da abbattere, il più pericoloso di tutti, perché ha tolto il velo che proteggeva il re e l’ha mostrato nudo. Di fianco al letto, ha raccontato, tiene un dispositivo di emergenza così misterioso che ha proibito alla Oliver di descriverlo nei suoi articoli.
Non si può vivere così per due anni senza uscire di senno, e per Assange è arrivato il momento di andarsene. Non si sa come né quando lo farà. Ma se il potere lo insegue e lui cerca di scappare, la gente starà dalla sua parte, come sempre è avvenuto.