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“Mi fermo, non ho le energie fisiche e mentali per portare avanti la mia musica” . Sangiovanni è esploso. O, forse, è imploso. Il 21enne ex Amici, dopo un Sanremo deludente, non riesce più a sopportare il peso del successo. O, come maligna qualcuno, del mancato successo. L’ultima canzone che ha portato Sangiovanni in cima alle classifiche è stata “Farfalle” e risale al 2022. Il 2023 è stato un anno in cui il cantante, nonostante abbia inanellato pezzi e collaborazioni con personaggi di rilievo (vedi Jovanotti e Gianni Morandi), non è riuscito a ripetersi.
Se il discorso non vi sembra inedito, il motivo c’è. Il mondo della musica italiana è costellato di stelle, stelline e meteore che, dopo aver brillato qualche stagione, si ritrovano a non sopportare onori e oneri della celebrità.
Lo ha raccontato bene Ghali: «Dopo il mio successo del 2016 […] a un certo punto ero annebbiato da tutto. […] Mi sono staccato un attimo dalla musica perché volevo smettere di rotolare, volevo fermarmi e ragionare, tornare alla mia essenza, che dopo un po’ ho perso sotto i riflettori tutti i giorni. Ho iniziato davvero molto giovane e il successo che ho avuto in quegli anni era senza precedenti, non avevo le spalle larghe abbastanza per poter reggere tutto».
Benjamin Mascolo di Benji e Fede ha rivelato: «Volevo autodistruggermi e sabotarmi, sentivo solo di voler sparire. Sono arrivato a non alzarmi da letto per giornate intere». Levante ha raccontato di aver fronteggiato una depressione post-partum mentre Fedez, dopo la malattia, ha rivelato di aver sofferto di depressione acuta.
E ancora. Theø, dei La Sad, ha raccontato il suo Festival così: «Sono stati giorni davvero difficili dove mi sono ritrovato ad affrontare nuove sfide con me stesso, mi sono sentito staccato dalla realtà, di proprietà della massa, tra parole d’amore e parole d’odio e per una persona che soffre di depressione non è facile affrontare tutto questo».
Salmo ha fatto ricorso agli psicofarmaci dopo essere «sprofondato in un buco nero», Kekko dei Modà ha rivelato la sua lotta contro la depressione: «Non riuscivo a piegare le gambe e a uscire dal letto». A Marracash è stata diagnosticata una sindrome bipolare, Gazzelle ha parlato di «anni tormentati e di paranoie che spesso invadono la mia testa». Angelina Mango al liceo soffriva di “ansia paralizzante”, Emma Marrone ha rivelato di essersi salvata da sola della depressione: «Volevo lasciare la musica, poi mi è apparso in sonno mio padre».
Alessandra Amoroso, dopo una shitstorm sui social all’apice della sua carriera, è fuggita in Colombia: «Mi sono concessa di non stare bene. Un amico mi ha convinto a tornare in Italia e ho ripreso il mio percorso di psicoterapia che mi ha aiutato a trovare una prospettiva nuova». E poi c’è il 21enne Blanco che due anni fa si è dovuto fermare durante un concerto per una fitta al petto. Pochi giorni dopo è stato lui stesso a rivelare di aver avuto un attacco di panico.
Ma cosa sta succedendo? Siamo di fronte a un’epidemia o molti “nuovi” artisti non sono in grado di gestire il successo arrivato, in alcuni casi, troppo presto? Sembra quasi che tanti non abbiano la tempra per reggere il peso del mancato gradimento di un pezzo o, ancora più banalmente, i messaggi degli hater sui social. E ancora: non sarà che, in mancanza di ispirazione, tirare fuori problemi di salute mentale sia un modo per ricevere l’empatia del proprio pubblico?
Certo, non bisogna dimenticare gli spietati meccanismi dell’industria musicale che si nutre dei ragazzi sfornati dai talent per poi abbandonarli dopo averli spolpati. E’ questo l’atto di accusa presentato dal rapper irpino Ghemon: «L'industria musicale attuale promuove un modo di pensare ed agire inquinato dal culto dei numeri e dei sold out che sta determinando più danni di quelli che il pubblico può vedere.
Risultati che nascondono un mondo di bugie e false aspettative in cui, purtroppo a rimetterci, sono un sacco di ragazzi. Sistematiche sono pratiche e frasi volte a smontare, se non a distruggere, l'autostima dell'artista per poterlo ridurre a materia senza certezze e perciò più plasmabile. Spesso si tratta di ragazzi giovanissimi che non sono strutturati per tenere botta a certi colpi».
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