Stefano Della Casa per “la Stampa”
In tempi di coronavirus, la tv generalista ha prodotto un divismo inaspettato. Secondo chi monitora i canali tematici in chiaro, due attori hanno dominatola primavera: Edwige Fenech, che ha risvegliato vecchie passioni e trovato nuovi fan, e Luc Merenda.
Il bel francese, arrivato nei primi Anni 70 in Italia dopo una carriera nelle arti marziali, se la ride da Montpellier dove vive adesso: «Di nuovo divo? Beh, meglio tardi che mai, ma fa sempre piacere. In fin dei conti ero arrivato in Italia dopo un film con Alain Delon ( Sole rosso, ndr.) che non mi era piaciuto, così come non mi era stato troppo simpatico Delon. Qui ho iniziato con un western diretto e interpretato da uno stuntman, Alfio Caltabiano, che mi scelse perché sapevo cadere come lui, mi considerava un fratello minore».
action tinto brass luc merenda
Poi è diventato poliziotto
«Sì, e questo è dovuto soprattutto a quel genio di Luciano Martino, il produttore che era il compagno proprio della Fenech. Lui faceva dei polizieschi che mi piacevano perchè erano duri e raccontavano l' Italia di quegli anni. La polizia accusa: il servizio segreto uccide è il primo film in cui si parla di golpisti nei servizi segreti: e come sappiamo forse quella fu la piaga più tremenda del vostro paese in quegli anni».
Lei non andava troppo per il sottile, nella scelta dei ruoli.
«Mi piacevano i film in cui si raccontava quello che leggevo sui giornali. La città è sconvolta, ad esempio, parla dei rapimenti di bambini e di come le loro famiglie, a volte, ci speculassero. Il poliziotto è marcio racconta un poliziotto corrotto. È di Fernando Di Leo, altro grande amico: il titolo creò tanti problemi al film ma lui non volle cambiarlo e io ero d' accordo. Italia ultimo atto, un anno prima del rapimento Moro racconta di un gruppo di estremisti che rapisce un ministro e causa un colpo di stato. Un film duro, disturbante. Mi piacevano quei film, mi sembrava un modo per dire a tutti: attenti, l' Italia è un bellissimo paese ma è pieno di contraddizioni. Se si tira troppo la corda può succedere di tutto ».
Quando la stagione del poliziesco è finita ha iniziato a fare altro.
«Se vuoi essere un attore non devi essere prigioniero di un ruolo. Così quando Tinto Brass mi propose Action! storia di un attore che vuole cambiare e si trova nelle mani di un regista di film hard, non ho esitato. Brass era un grande intellettuale, un genio, ma aveva avuto un sacco di problemi con Caligola, che gli fu sottratto dal produttore americano Bob Guccione, e aveva deciso di prodursi da solo: quel film è venuto fuori sgangherato ma con dei momenti fortissimi: Alberto Lupo che dice un sacco di parolacce, Adriana Asti benzinaia ninfomane... Poteva essere un film memorabile, ma forse Brass ha esagerato».
E poi la commedia.
«I film più belli sono quelli con Paolo Villaggio, un talento straordinario anche se una persona spigolosa. In Superfantozzi appaio in varie epoche come avversario del povero Fantozzi e Neri Parenti, il regista, mi diceva con grande precisione quello che dovevo fare. In I pompieri faccio il comandante del glorioso corpo dei pompieri canadesi e mi presento con la bandiera degli Stati Uniti Va beh, sono dettagli, il regista Capitani diceva che lo spettatore di quei film non si domandava se le bandiere fossero giuste e aveva ragione di certo lui».
Un film meno noto che ricorda con piacere?
«Duri a morire di Joe D' Amato che poi diventerà il regista di porno più famoso d' Italia. Ero un mercenario che litiga con altri mercenari. Giravamo a Santo Domingo, un posto bellissimo ma se la produzione non ha soldi può diventare un incubo. Mai visti tanti insetti, il soffitto della mia stanza era uno spettacolo da entomologo».
Perchè ha smesso?
«Io sono un orso, non mi piaceva frequentare i colleghi, non facevo vita mondana. A un certo punto mi sono stufato, ho voluto cambiare vita, sono diventano antiquario. Però quando Eli Roth, uno dei migliori registi della nuova Hollywood, mi ha proposto un cameo nel suo Hostel ho accettato subito. E quando torno in Italia, mi fanno sempre un sacco di feste. Mara Venier, che ho incontrato per caso quest' inverno a Roma durante il premio Afrodite, mi ha abbracciato e baciato con lo stesso affetto che aveva per me nel 1976 quando giravamo con Ugo Tognazzi Cattivi pensieri. A proposito, in quel film c' eravamo sia io sia la Fenech. In tv potrebbe davvero fare il botto».
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