Claudio Fabretti per www.leggo.it
giorgio gaber e dalia gaberscik
«Mio padre oggi? Prenderebbe di mira la caduta dei valori, la perdita del gusto. Ma non rinuncerebbe mai alla sua ironia». È un legame vivo, pieno di sentimenti e di ricordi, quello che unisce Dalia Gaberscik oggi imprenditrice di successo, a capo della società di comunicazione Goigest a suo padre, il Signor G, scomparso nel 2003. Il 25 gennaio Giorgio Gaber avrebbe compiuto 80 anni. E Dio solo sa quanto avremmo ancora bisogno del suo pensiero libero, della sua arguzia, del suo sguardo profondo sulle vicende umane.
Dalia, qual è il modo migliore di ricordare Giorgio Gaber?
«Dobbiamo seguire l'esempio straordinario che ha lasciato. In questo senso si muovono le iniziative del Piccolo Teatro, dove abbiamo organizzato anche serate con Luca e Paolo, Neri Marcorè e tanti altri, e quelle del Festival Gaber, la kermesse itinerante che da 5 anni ha base a Camaiore. Anche mio figlio Lorenzo sta facendo qualcosa».
Di che si tratta?
giorgio gaber e dalia gaberscik
«Gira tutto l'anno per le scuole superiori dove racconta chi era Gaber, i suoi spettacoli, le sue canzoni. E i riscontri degli studenti sono sempre molto positivi, anche sui social».
L'Italia di oggi, invece, non pare aver seguito i pensieri di suo padre.
«Direi di no. Negli ultimi anni della sua vita, papà criticava soprattutto il ribaltamento dei valori: Un tempo il figo era il medico del paese - diceva - oggi altri personaggi».
Tipo i tronisti?
«Ad esempio, sì».
In fondo però Gaber non è mai stato fedele alla linea, neanche quando militava a sinistra...
giorgio gaber e dalia gaberscik
«Sì, perché lui diceva che era di sinistra, non della sinistra. Distinzione sottile ma non troppo. Ebbe tanti problemi con il Movimento, specie dopo Polli d'allevamento. La sinistra gli chiuse i teatri, furono tempi duri».
Anche Io se fossi Dio gli costò parecchie scomuniche...
«In quella canzone non risparmiava nessuno, dal Pci ad Aldo Moro. Gli costò molte critiche, anche pesanti».
E poi con Destra-Sinistra anticipò la fine delle ideologie...
«Oggi sarebbe ancora più spaesato, ma non farebbe mancare il suo pensiero. Ecco, il bello era che la gente andava in teatro dicendo ora sentiamo cosa dice Gaber. Oggi è dura trovarne un altro così».
Che padre era?
«Era simpaticissimo. Le più grandi risate della mia vita me le sono fatte con papà. Era molto presente, affettuoso. Anche se la sua vita era sempre in tour: non faceva vacanze, viveva per il palco. Il resto del tempo lo dedicava alla famiglia e agli amici».
È vero che non beveva vino?
«Mai, neanche i dolci col liquore. In famiglia siamo tutti astemi».
L'immagine che resta: Gaber in impermeabile che, invece di andare a casa, rientra sul palco imbracciando la chitarra e continua a oltranza il suo show. Il teatro era la sua casa?
«Lui viveva in teatro, era maniacale: partiva la mattina, si mangiava un toast, proseguiva con le prove tutto il giorno, la sera faceva lo spettacolo, poi riceveva la gente in camerino, andava a cena a commentare, poi a casa. E la mattina riprendeva, sempre allo stesso modo».
In tv, invece, era meno a suo agio?
«Decisamente. Lui preferiva il rapporto diretto col pubblico. E faceva una gran fatica a entrare in sintonia con le indicazioni della Rai. Gli censurarono persino la canzone Goganga per via di un'ingenua pernacchietta. Ed è la mia preferita!».
Perché le piace?
«È divertentissima, con quel dialogo tra un medico e un povero paziente colpito da vari difetti di pronuncia. Alla fine guarisce, ma con la pernacchietta: era troppo per la Rai del 1968».
E tra i suoi spettacoli qual è il suo preferito?
«Più ancora del Signor G, a me piace Far finta di essere sani del 1973. Lì ha capito che quella sarebbe stata la sua strada, insieme a Sandro Luporini, il pittore e paroliere col quale ha firmato tanti suoi spettacoli».
A proposito di Luporini, lei ha sposato il figlio Roberto: c'è una continuità artistica anche in questo?
«Non è stato per i diritti d'autore! È stata una buffa coincidenza dovuta anche al tipo di vita che facevamo: fin da quando avevo 6 mesi, mi deportavano a Viareggio perché Sandro Luporini ci si trasferiva tutta l'estate. Alla fine è stato fatale trovare lì il fidanzato».
Come andò invece quando sua madre si candidò con Forza Italia?
«Mio padre le disse che non era d'accordo, ma che accettava la sua decisione. Mia moglie è una brava persona, la voterò, diceva».
Del suo lavoro, invece, cosa direbbe?
«Lo odierebbe. Lui detestava le mediazioni, voleva sempre essere libero. Io cerco di mantenere la sua determinazione, però».
A che punto sono i lavori del Teatro Lirico di Milano, che sarà intitolato a suo padre?
«Il Comune ha già deliberato. È un teatro pazzesco, nel cantiere abbiamo già presentato il disco di Fossati. Ora speriamo che riescano a concludere i lavori in tempi brevi».
Quale sarà l'omaggio più bello per gli 80 anni di suo padre?
«Quello di un condomino della casa di Milano dove abitava, in via Londonio 28. Il 25 alle ore 19 farà mettere una targa in onore di papà».
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DARINA PAVLOVA E OMBRETTA COLLI