Aldo Cazzullo per Corriere.it
Inge Giangiacomo e Carlo Feltrinelli
Inge Feltrinelli, lei aveva due anni e mezzo quando Hitler prese il potere. Cosa ricorda del nazismo?
«L’odore del legno bruciato nella notte dei cristalli. Mio padre, Siegfrid Schönthal, era ebreo. Dovette fuggire in America. Per fortuna fui protetta dal nuovo compagno di mia madre, Otto, un ufficiale di cavalleria che rischiò la carriera per salvarmi».
Inge che nome è?
«Sta per Ingeborg. In svedese: amata».
E la guerra?
«Göttingen, la città universitaria dove vivevo, fu risparmiata dalle bombe. Ma la miseria era assoluta. Partii in bicicletta per Amburgo, la capitale dell’editoria. Conobbi Axel Springer. Ricordo un reportage dalla Spagna franchista: fame, donne velate di nero, poliziotti».
Nel ’53 andò a Cuba da Hemingway.
«Fu un viaggio avventuroso: non avevo un soldo. Partii da New York per Miami in autostop. Ma il volo per l’Avana costava 30 dollari: troppo. Un tassista ubriaco mi portò a Key West, guidando a zig-zag tra gli isolotti e l’oceano. Con 7 dollari atterrai a Cuba. I bambini morivano per strada, come a Calcutta. Un giorno Hemingway gettò per terra le monete dell’elemosina: lo rimproverai, litigammo».
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Lui la corteggiò?
«Un po’; ma io ero una brava ragazza tedesca, e non mi lasciai andare. Divenni amica della moglie, passai con loro due settimane. Ogni giorno uscivamo in barca con un esule delle Baleari, Gregorio Fuentes, il pescatore del Vecchio e il Mare. Ma non pescavamo quasi mai niente: il marlin che si vede nel nostro celebre autoscatto era vecchio di tre giorni. Poi andavamo alla Floridita, dove in onore di Hemingway facevano il Daiquiri doble a la Papa: praticamente un’insalatiera. A tavola però beveva solo Valpolicella, l’aveva scoperto sul fronte italiano della Grande Guerra. Un mattino lo trovai sveglio ad ascoltare la radio: era il 5 marzo 1953. Mi disse grave: “Stalin is dead”».
feltrinelli e omar sharif dottor zivago
Stalin è morto.
«Ernest ne fu sconvolto».
Funerale Giangiacomo Feltrinelli
E Picasso come fu?
«Galante, anche lui; ma io sempre brava ragazza tedesca. Era un piccolo diavolo affascinante e misterioso, un toro dagli occhi magnetici. Viveva in una villa vicino a Cannes, La Californie, in un disordine spaventoso, accudito dalla sua compagna Jaqueline, che gli era devotissima. Dopo la sua morte si suicidò».
Chagall?
«Un angelo. Un vecchio ebreo russo pieno di charme. Pareva un violinista dei suoi quadri».
Simone de Beauvoir?
«Per me era come la Madonna: avevo adorato Il secondo sesso. Aveva le unghie laccate di rosso, mi parlò con entusiasmo della Cina di Mao da cui era appena rientrata».
Giangiacomo feltrinelli a Berlino nel sessantotto
Leonor Fini?
«Amava le donne ma abitava con tre gay. Bellissimi».
A New York lei aveva fotografato anche John Kennedy, allora senatore.
John Kennedy che prova a spennare l'ereditiera Elisabeth Arden - foto © Inge Schoenthal Feltrinelli
«Mi imbucai a un party. Uomo straordinariamente sexy, passava di tavolo in tavolo per chiedere finanziamenti ad anziane signore. Lo fotografai mentre tentava di spennare Elizabeth Arden, coperta da un chilo di diamanti».
© Inge Schoenthal Feltrinelli / LUZ
Anche il ritratto di Churchill è «rubato» .
FIDEL CASTRO R GIAN GIACOMO FELTRINELLI GIOCANO A BASKET
«E anche lui era andato a chiedere soldi, al banchiere ebreo Bernard Baruch, che abitava sulla Quinta Strada. Tecnicamente ero maldestra; però sapevo cogliere quello che Cartier-Bresson chiama “il momento decisivo”. Come quando fotografai Greta Garbo che starnutiva al semaforo. Vendetti l’immagine a Life per 50 dollari, mi mantenni a New York per un mese».
Ritrasse Billy Wilder con un elmo prussiano in testa.
«Fu una sua trovata autoironica. Mi raccontò di quando negli anni 20 faceva il gigolo all’hotel Adlon di Berlino, ballando con le signore ricche».
Nel 1958 l’incontro con Giangiacomo Feltrinelli.
«Mi invitarono a una festa in suo onore ad Amburgo. Era il 14 luglio. Lo trovai solo, annoiato. Parlammo per tutta la notte su una panchina davanti al lago. Era diretto al Polo Nord, avrebbe dormito in tenda. Lo presi in giro perché si mangiava le unghie. Giorni dopo ricevetti una sua cartolina dalla Scandinavia. Diceva, in tedesco: “Ho le unghie lunghe come Pierino Porcospino”».
Com’era Giangiacomo?
«Dolce, colto, a volte aggressivo per vincere la timidezza. Solitario: era cresciuto con i precettori e la servitù. I custodi della villa dell’Argentario l’avevano fatto diventare comunista».
Insieme andaste da Castro.
«Volevamo pubblicare le sue memorie. I bambini cubani ora erano calzati e vestiti. Ci diedero una casa meravigliosa, piena di bottiglie di Chateau Rothschild, ma Giangiacomo si rifiutò di berle. Aspettammo Fidel per una settimana. Quando finalmente convinsi mio marito ad andare al mare, lui arrivò. Giangiacomo mi voleva ammazzare».
Che impressione vi fece?
«Carismatico, voce stridula, ideologicamente un po’ confuso. Sulla terrazza teneva le galline e un canestro per giocare a basket, con Giangiacomo fecero qualche tiro. Ci rimproverò perché avevamo ospitato Virginio Piñera e altri intellettuali cubani omosessuali, e noi gli tenemmo testa. Alla fine il libro non uscì, Castro non trovò il tempo di finirlo. Abbiamo ancora un suo manoscritto».
Lo pubblicherete?
«No. È noiosetto».
In Italia come fu accolta?
«Gli scrittori erano tutti antitedeschi. Mi adottarono Vittorini e sua moglie, Ginetta: un vulcano, una Anna Magnani bionda, che preparava una cassoeula eccezionale. A casa Vittorini conobbi Montale, silenzioso e gentilissimo, e la Duras».
Poi Giangiacomo cominciò a preparare la rivoluzione.
«Aveva capito che non avrebbe cambiato il mondo con i libri, o l’avrebbe cambiato troppo lentamente. Tentai di fermarlo. Lui mi lasciò. Nel mio diario scrissi: “He’s lost”, è perduto».
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Che idea si è fatta della sua morte?
«Certo non è stato un incidente».
Fu ucciso?
«Sì».
Da chi?
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«Non lo so. Era un uomo scomodo. Troppo scomodo, troppo libero, troppo ricco; troppo tutto. Era tenuto d’occhio da cinque servizi segreti, inclusi Mossad e Cia. E ovviamente quelli italiani. Forse sono stati loro. Lui sapeva di Gladio e dei loro depositi di esplosivi. Per difendersi da Gladio fondò i Gap, reclutando ex partigiani e giovani rivoluzionari. Temeva un golpe di destra; e non era una paura immaginaria».
Fu un delitto politico, quindi?
«Certo. I giornali pubblicarono la foto del cadavere di uno sconosciuto: lo riconobbi subito. Tra i poliziotti lo riconobbe il commissario Calabresi. Venne qui a casa alle sei del mattino, a interrogare il portiere. Solo dopo mi portarono all’obitorio. È uno dei tanti misteri italiani irrisolti. Come la morte del nostro amico Pasolini. Anche lui un uomo scomodo».
Anche l’assassinio di Pasolini fu un delitto politico?
«Secondo me sì. Certo Pelosi non era solo».
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Lei salvò la casa editrice.
«Mi aiutò Roberto Olivetti: nel weekend arrivava da Ivrea a controllare i conti. E poi avevamo collaboratori fantastici. Stipendio uguale per tutti, dai capi ai fattorini. Fummo i primi in Europa dopo gli spagnoli a pubblicare Cent’anni di solitudine, e ne vendemmo 300 mila copie».
Com’era Garcia Marquez?
«Un piccolo colombiano di commovente sensibilità. Prima frequentava solo alberghetti di quarta categoria; il successo lo cambiò. Lo incontrai a Cuba con Castro: si occupava di cinema e viveva come un tycoon hollywoodiano, tra lampade Tiffany e telefoni bianchi; il trionfo del kitsch. Tra Gabo e Fidel c’era competizione. Castro lo ammirava: grazie a lui scoprì la letteratura, prima non aveva letto nulla. Garcia Marquez lo pativa. Si sfidavano in gare di barzellette. Una provocazione continua».
Lei è stata amica di Günter Grass. Cos’ha provato quando ha scoperto la sua giovinezza hitleriana?
«Sono stata molto delusa. Ma non rinnego l’amicizia».
Allen Ginsberg?
«Venne a trovarci a Villadeati, nel Monferrato. Aveva un volto orribile ma un corpo stupendo, non a caso girava sempre nudo. La moglie di Edoardo Sanguineti ne era scandalizzata: “Ci sono i bambini!”».
Nadine Gordimer, Doris Lessing?
«Siamo state molto vicine. Come con Vasquez Montalban, che mi portava a pranzo al mercato della Boqueria o nelle taverne di Barcellona. Ora sono tutti morti. Tra i Nobel è rimasta solo Hertha Müller: ci telefoniamo ogni settimana per commentare l’attualità».
Cosa pensa della Merkel?
«Tipico prodotto tedesco, anzi della Ddr: solida, antipatica; poco charme, poca comunicativa. Ma è la donna più importante del mondo, e fa bene a tener testa a Erdogan, che non può permettersi di dire che i tedeschi sono rimasti nazisti; questo è uno slogan razzista turco. Spero però che le elezioni le vinca Schulz».
Voterà alle primarie del Pd?
«Sì. Per Renzi. Ha commesso errori, ma ha portato una ventata di energia».
E Grillo?
«Un pazzo simpatico e imprevedibile: per questo mi piace. Però rimasi male quando venne all’inaugurazione della Feltrinelli di Genova e invitò la gente a rubare i libri».
Come vede il futuro dell’Italia?
«Con grandi potenzialità. I giovani sono straordinari: vedo come partecipano alla vita della nostra Fondazione. Sono entusiasta del progetto di Viale Pasubio: 13 chilometri di libri! È uno dei simboli della nuova Milano, che può trainare la rinascita del Paese».
Inghe Feltrinelli - Copyright Pizzi 7str11 inge feltrinelli CARLO FELTRINELLI