Marco Molendini per Dagospia
E' vecchia storia, fuori i miscredenti dal tempio. E' vero: Paolo Conte è un'anomalia nella programmazione della Scala. E' un'anomalia perché non c'è mai stato, perché nessun altro cantautore si è mai esibito sul sacro palcoscenico meneghino, perché il pop è altra cosa dal melodramma e appartiene a epoche diverse, perché il pubblico della lirica è ad alto tasso di conservazione.
Ricordo tanti anni fa le stesse argomentazioni usate quando alla Scala si esibì Keith Jarrett, ma il grande jazzista aveva nel suo curriculum anche frequentazioni classiche e quindi, alla fine, la discussione si ammosciò (a parte che fece un gran concerto). Tanto per la cronaca, anche Paolo Conte ama ascoltare musica classica e ama la lirica, ma non c'è dubbio che sia diventato Paolo Conte per le canzoni che ha scritto. Canzoni di qualità, è il pensiero praticamente unanime e non solo in Italia. E, dunque, se il pop entra alla Scala, lo fa con dignità.
Leggo che Pierluigi Panza, scrittore, critico d'arte, sostiene che il precedente sarebbe rischioso, visto che aprirebbe le porte a chissà quali artisti e che il metro della qualità non rappresenterebbe un parametro. E qui viene fuori il problema, perché nell'ambito di un linguaggio che è quello della musica popolare si nega che ci possa essere un metro qualitativo?
E' come dire che è tutto uguale, insomma la posizione esprime un atteggiamento culturalmente aristocratico che nega addirittura al direttore artistico della Scala la capacità di poter distinguere in quella melma che è la musica pop. La storia della canzone, invece, ha avuto momenti altissimi, altri bassissimi e dimenticabili (ne abbiamo avuto una testimonianza nella settimana appena passata) esattamente come tutte le altre espressioni artistiche.
E' vero, come sostiene Panza, «la storia dell'arte è piena di opere ritenute di qualità e poi scomparse» ma perché la lirica dovrebbe essere esente da questo rischio? E poi, se vogliamo dirla tutta, perché la Scala ha invitato Paolo Conte? Perché ha avuto un'improvvisa folgorazione?
O perché, forse sono stati fatti due conti, e qualcuno ha capito che invitare un grande autore di musica popolare può essere di richiamo almeno quanto molte rappresentazioni liriche che cercano la risonanza (e i titoli dei giornali) attualizzando il racconto.
PS. Si, fra Paolo Conte e Angelo Branduardi c'è una differenza qualitativa. Come c'è fra Jingle bells e Bob Dylan.
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