Estratto dell’articolo di Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
«Scommettiamo che Rosa e Olindo sono innocenti?», recita un’inchiesta tambureggiante di Antonino Monteleone su Italia1.
In attesa che Netflix faccia giustizia su Yara Gambirasio, per le Iene, per alcuni giornalisti che bivaccano nei talk tv, per il giudice Cuno Tarfusser, che ha avvallato la richiesta di revisione nonostante il no dell’intero ufficio giudiziario d’appartenenza, insomma per la giustizia televisiva sono innocenti. E invece Olindo Romano e Rosa Bazzi sono tornati nelle loro celle al carcere di Bollate e a quello di Opera.
[…] La stampa e la tv hanno il diritto e il dovere di indagare e sottolineare eventuali errori e incongruenze nelle sentenze, non di imbastire processi alternativi basati più sul sensazionalismo che non sui fatti accertati.
Per Milo Infante, che a «Ore 14» (Rai2) ha organizzato non si sa quante trasmissioni sulla scomparsa di Denise Pipitone, la colpa del mancato ritrovamento è di alcuni inquirenti. Dino Giarrusso ha fatto un po’ di carriera politica diventando famoso per un servizio televisivo delle Iene contro il regista Fausto Brizzi, nei confronti del quale la procura di Roma aveva poi chiesto l’archiviazione. Potrei citare altre decine di casi simili.
Chi stabilisce la verità, il giudice o il conduttore? I processi si fanno nelle aule di tribunale e vanno rispettati. La giustizia in uno stato di diritto è forte perché è fredda: si attiene ai codici. La giustizia televisiva è calda, vive di suggestioni, moralismi, supposizioni, spesso di motivi personali legati alla visibilità.
Eppure, per le Iene Rosa e Olindo sono innocenti. La loro verità va oltre quella dei Tribunali, come chiunque si eserciti nei talk, sui social, sui giornali incurante delle regole di uno Stato di diritto.
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