Adriano Scianca per la Verità
sergio castellitto gabriele d'annunzio
Sarà che parliamo di Gabriele D'Annunzio, «l'orbo veggente», ma leggendo l'intervista di Sergio Castellitto su Repubblica di ieri viene davvero da commentare beati monoculi in terra caecorum. Sì, nell'epoca dell'accecamento talebano e intollerante, vedere un artista di sinistra che si sforza di provare, a modo suo, empatia e comprensione verso un intellettuale che proviene da sponde politiche e culturali diverse dalla sua fa quasi commuovere.
Castellitto ha appena interpretato il Vate nel film Il cattivo poeta, di Gianluca Jodice (prodotto da Ascent con Rai Cinema) che esce oggi nelle sale. Della pellicola ci sarà tempo e modo di riparlare. Quello che però qui è interessante far notare è l'operazione, il tema: un film su D'Annunzio ai tempi della cancel culture. Che, ricordiamo, «non esiste», ce lo ha assicurato anche Zerocalcare su Internazionale. Solo che nessuno ha avvertito quelli che, qualche giorno fa, a Trieste, sono andati a imbrattare di vernice gialla la statua dedicata al poeta.
Si potrà anche dire che un artista eccessivo, esondante, provocatorio come D'Annunzio sia paradossalmente ben onorato da questa raffigurazione postmoderna di un monumento grondante vernice, che ne accentua i caratteri divisivi, quindi politici. Ciò non toglie che l'intento degli aspiranti cancellatori fosse meno complesso: si tratta, appunto, di obliterare, rimuovere, azzerare. Questo è il clima in cui viviamo. Un clima in cui Giuseppe Laterza, dell'omonima casa editrice, può andare in tv (è successo ieri a Omnibus) a dire che forse non ripubblicherebbe i libri di Marco Gervasoni, benché scientificamente inappuntabili, perché contrario a chi «insulta».
Una volta la perquisizione mattutina a casa di un intellettuale e docente universitario avrebbe causato una sollevazione di tutto il mondo della cultura, oggi gli editori si accodano volenterosamente alle retate contro i propri autori, salvo poi coccolare quelli che invece si fanno fotografare accanto alle statue di Josip Broz Tito (è il caso dello storico e autore Laterza Eric Gobetti).
Ecco, dicevamo, in un clima del genere, in cui per esempio lo storico dell'arte Tomaso Montanari ritiene doveroso non vendere il libro di Giorgia Meloni perché considera Fdi come un avatar del «fascismo storico», fa piacere, come fenomeno in controtendenza, il Castellitto che riscopre il Vate:
«Se penso a D'Annunzio», ha detto l'attore, «con un paragone che può apparire sorprendente, mi viene in mente Pasolini. Può sembrare paradossale e Pasolini detestava D'Annunzio, come tutti gli intellettuali del dopoguerra, da Elsa Morante ad Arbasino. Ma i due sono accomunati da una capacità di fare del proprio corpo, della propria vita la vera grande poesia che hanno scritto. D'Annunzio diceva che bisognava fare della propria vita l'opera d'arte».
Per Castellitto, «oggi D'Annunzio è al di sopra delle discussioni politiche, appartiene alla cultura, alla grande letteratura, appartiene a tutti, grazie e anche a causa delle sue straordinarie contraddizioni». E i complessi rapporti tra il poeta e il regime? Anche qui, l'attore non si fa ingabbiare nel facile vicolo cieco. Il fascismo, dice, lo aveva «abbandonato» e «le sue riflessioni nell'ultima parte della vita non piacevano al regime», il che è solo parzialmente vero e non coglie comunque l'essenza della questione.
Ma è comunque interessante che Castellitto aggiunga: «Credo non ci sia stato artista più detestato, vilipeso nel dopo fascismo, classificato come poeta del regime». Dopo tanto ripetere che il fascismo ostracizzò D'Annunzio, finalmente qualcuno che aggiunge un'ovvietà troppo spesso dimenticata, e cioè che a ostracizzarlo davvero fu soprattutto l'antifascismo.
Va detto che, per non farsi mancare nulla, Castellitto ha anche risposto così a una domanda sul ddl Zan: «Condivido l'intervento di un uomo di sinistra che stimo, Luca Ricolfi: l'idea che, fatta salva la legittimità di ciò che quel ddl esprime, non possiamo nascondere che contiene delle contraddizioni. Purtroppo da un po' di tempo c'è stato un trasferimento a destra di quelli che sono stati i grandi valori della sinistra. Esiste una destra capace di parlare alla pancia delle persone in maniera diretta, concreta. Più di quanto, purtroppo o per fortuna a seconda dei punti di vista, oggi la sinistra sia in grado di fare».
statua di d'annunzio imbrattata zerocalcare
Concetti simili li aveva espressi il figlio Pietro, anche lui attore e regista, quando al Corriere della Sera aveva detto: «Mi chiedo per quale motivo continuiamo a prendercela coi ragazzi che fanno il saluto romano e non siamo riusciti a creare nuovi simboli. Così, criticando, campiamo di rendita, è questa la vera decadenza». E poi aveva definito il Me too un «monumento all'ipocrisia». Di questi tempi, parlare così è un modo come un altro per andare «a cercar la bella morte», parafrasando il bel titolo di un libro di nonno Carlo Mazzantini sulla Repubblica sociale di Mussolini. E così il cerchio si chiude.
ZEROCALCARE STRAPPARE LUNGO I BORDI gabriele d'annunzio 4